venerdì 17 novembre 2017

Marco Patucchi, "Maratoneti. Storie di corse e corridori", Baldini e Castoldi


 Libro pubblicato una prima volta da Dalai nel 2010, e riedito quattro anni dopo per i tipi di Baldini e Castoldi, Maratoneti è una celebrazione dell'intrinseca bellezza della corsa di Maratona, e di quella che potremmo chiamare la sua attitudine mitopoietica, cioè la sua naturale disposizione a trasformarsi in un terreno fertile sul quale possono nascere storie, in affascinante contiguità con i territori dell'epica, della lirica, della filosofia.
 Perché la Maratona è più di una gara, o di una semplice pratica sportiva: la Maratona è sempre un'avventura, per la sua lunghezza e per l'imprevedibilità del suo svolgimento; la Maratona è un cimento, perché non si può affrontare senza un'adeguata preparazione, e perché implica il ricorso a tutte le energie psicofisiche a cui l'individuo che la percorre può far appello; la Maratona è una specie di ordalia perché, anche se si è preparati nel modo migliore, non si può mai essere sicuri di ottenere il risultato sperato; la Maratona è una singolare forma esperienza di sé, perché, durante lo sforzo prolungato che comporta, induce a un'intima immersione nelle profondità della propria coscienza e, contemporaneamente, evoca un singolare stato di astrazione dall'ambiente circostante e dalla fatica che il proprio corpo sta compiendo.
 Del resto lo stesso mito fondativo di questa disciplina consiste in una surreale trasfigurazione in chiave eroica dell'incruenta impresa di un guerriero, o meglio, di un emerodromo - uno di quei messaggeri aggregati all'esercito greco che si facevano latori dei dispacci dei loro comandanti percorrendo a piedi grandi distanze.
 Da un'analisi attenta delle fonti, pare che l'uomo passato alla storia col nome di Filippide, nel 490 a.C., fosse stato incaricato da Milziade di percorrere gli oltre 200 chilometri che separano la baia di Maratona da Sparta per chiedere agli spartani di prestare il proprio aiuto all'esercito ateniese contro i persiani di Dario che minacciavano l'Attica, in nome del destino comune di tutta la Grecia. Il grande sforzo di Filippide risultò alla fine superfluo; Milziade attaccò battaglia e sbaragliò i persiani senza attendere il soccorso degli spartani. E tuttavia la leggenda trasformò l'infaticabile messaggero nell'uomo che, dopo la vittoria, avrebbe coperto di corsa la distanza tra la piana di Maratona e Atene al solo scopo di annunciare ai propri concittadini attanagliati dall'angoscia il trionfo e lo scampato pericolo, per poi spirare nelle braccia di chi lo aveva accolto subito dopo aver portato a termine il proprio compito.
 Filippide, da ingranaggio della macchina logistica della guerra, divenne così il messaggero di pace per eccellenza, e i 42 km e 195 m che separano Maratona da Atene fissarono il paradigma dell'aurea misura della corsa che ne perpetua il ricordo.
 Da allora, su quella distanza hanno continuato a nascere miti e ad essere consacrati eroi. Miti attraversati da tutte le emozioni e da tutte le distorsioni alle quali l'animo umano è disposto - dal pathos, alla comicità, dall'esaltazione al rimpianto, dall'orgoglio alla disperazione -; eroi definiti come tali non necessariamente o non tanto dalla loro attitudine vincente, quanto dalla loro capacità di interpretare l'esperienza della Maratona in modo esemplare, o singolare, o bizzarro: come un distillato d'umanità.
 Basta pensare alla svizzera Gabriela Andersen-Scheiss, che alle Olimpiadi di Los Angeles del 1984 ci mise oltre cinque minuti a percorrere, piegata in due, gli ultimi 500 metri della gara, e nonostante avesse accumulato un ritardo di oltre mezz'ora sulla vincitrice, ricevette dallo stadio il giusto tributo per la sua impressionante dimostrazione di forza di volontà.
 O al bosniaco Islam Dzugum capace di preparare la Maratona olimpica di Atlanta 1996 nelle strade della città di Sarajevo assediata dalle truppe serbe, sotto il tiro dei cecchini.

 Marco Patucchi impegnato nella Maratona

 O ancora, all'incredibile caso del giapponese Shizo Kanakuri che, durante la Maratona di Stoccolma delle Olimpiadi del 1912 (a cui si era presentato come uno dei favoriti), stremato, entrò nel giardino di un'abitazione della periferia cittadina in cui si stava svolgendo un pic-nic per chiedere qualcosa con cui rifocillarsi; sedutosi su una poltrona, in quel giardino Shizo si addormentò, e al suo risveglio, resosi conto che la gara era ormai terminata, decise di sottrarsi alla vergogna del ritiro evitando di riunirsi alla spedizione dei suoi connazionali, e rientrando in Giappone dalla Svezia da solo, in nave. Dato per disperso dagli organizzatori, fu rintracciato soltanto 50 anni dopo da un giornalista svedese; nel 1967 fu invitato a Stoccolma per completare la corsa interrotta nel 1912, che finalmente concluse, a più di 80 anni d'età, con il tempo finale di 54 anni, 8 mesi, 6 giorni, 5 ore, 32 minuti, 20 secondi e 3 decimi. Un record e una vita.
 Ed è significativo che anche i campioni veri, in questa specialità, vengano consacrati al mito per qualcosa che va oltre le loro vittorie: come Abebe Bikila, l'etiope vincitore della Maratona olimpica di Roma del 1960 - scalzo, con le fiaccole a illuminare le antiche rovine dell'Appia e dei Fori Imperiali - e di quella di Tokyo del 1964, che fu il vero ispiratore del grande movimento podistico che divenne il simbolo del riscatto sportivo dell'Africa nera; come Emil Zatopek, forse il più grande mezzofondista di sempre, uno degli emblemi della Primavera di Praga soffocata dalla prepotenza dei carri armati sovietici; o come Sohn Kee-Chung, il coreano vincitore delle Olimpiadi di Berlino del 1936, costretto a rappresentare sul podio l'odiato invasore giapponese, risarcito molti anni dopo, durante la Cerimonia di apertura delle Olimpiadi di Seul del 1988, dal privilegio di correre - ormai ottuagenario - verso il braciere con la fiaccola di Olimpia in pugno nel nome della sua vera patria.
 Così, la stessa aura dei campioni olimpici, di Gelindo Bordin, di Stefano Baldini, di Haile Gebreselassie, o di un atleta di livello assoluto come l'americano Alberto Salazar, può circonfondere in questo libro personaggi come Luca Coscioni, professore universitario e maratoneta, emblema della lotta contro la Sla, o come la podista epilettica Diane Van Deren, o come il maggiore della Royal Military Police Phil Packer, che completò con l'aiuto delle stampelle la Maratona di Londra del 2009, un anno dopo aver perso l'uso delle gambe per una lesione alla spina dorsale subita in Iraq.
 Fra i protagonisti delle storie raccontate da Marco Patucchi - tristi o gioiose, concentrate nello spazio di una corsa o dilatate lungo tutta una vita imbevuta dalla passione per la corsa -, però, il mio preferito è senz'altro Alan Turing, il progenitore del computer e il principale teorico dell'intelligenza artificiale, che correva - come diceva - per liberare la mente (e correva forte: il suo record sulla Maratona era solo 11 minuti superiore a quello del vincitore delle Olimpiadi di Londra del 1948!): lui che contribuì in modo forse decisivo alla vittoria alleata nella Seconda guerra mondiale decriptando i messaggi cifrati di Enigma, la macchina per le comunicazioni interne usata dai nazisti, e che immaginò per primo il mondo digitale in cui oggi siamo immersi, fu indotto al suicidio nel 1954 (a soli 42 anni) da una condanna alla libertà vigilata e alla castrazione chimica comminatagli per la sua omosessualità in un'Inghilterra considerata allora all'avanguardia della civiltà, ma in cui essere gay era ancora un vergognoso reato.
 La lettura di questo testo è peraltro in ogni parte piacevolissima e a tratti persino commovente.
 L'unico appunto che occorre fare alla riedizione del libro è il mancato intervento sulla storia di Samuel Wanjiru, vincitore della Maratona alle Olimpiadi di Pechino nel 2008, forse l'atleta più talentuoso della sua generazione, indicato qui come il probabile futuro recordman mondiale della distanza. In realtà Wanjiru ha perso tragicamente la vita nel 2011 in un bislacco incidente domestico, precipitando dal balcone della sua abitazione mentre era inseguito dalla moglie che lo aveva scoperto in compagnia dell'amante.
 Un'altra storia originale da aggiungere alle tante fiorite intorno alla Maratona e al suo mondo.

Voto: 6,5

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