C’è un modo più affascinante ed
efficace di qualunque altro di rivivere la Storia e afferrarne l’essenza: trasformare lo
studio in investigazione, la passione in immedesimazione; riversare la ricostruzione
documentaria e i dati archeologici nell’indagine psicologica degli eventi, e
mettersi fisicamente in viaggio alla ricerca del passato.
È quello che fa Paolo Rumiz in questo
libro straordinario - risalente a qualche anno fa, ma destinato a trasformarsi in un classico, se già non lo è diventato - ponendosi sulle tracce di un personaggio come Annibale,
capace di segnare la storia della nostra penisola e di tutto il Mediterraneo, e
di restare segretamente annidato nella fantasia popolare, nei nomi dei luoghi,
nei simboli di un passato certo lontanissimo, ma meno remoto di quanto
comunemente si pensi: in fondo, nota l’autore, solo 36 nonni ci separano dall’epoca
del comandante cartaginese.
Scortato dai testi di Livio e di
Polibio, e via via da storici, archeologi, semplici appassionati, e da una
serie di donne e uomini per lo più inconsapevoli della loro capacità di evocare
l’impronta dell’antico, Rumiz ripercorre tutta la vicenda di Annibale visitando
i luoghi che fecero da cornice alle varie tappe della sua esistenza. Si sposta
così dai resti di Cartagine, teatro dell’infanzia del futuro generale, a Cartagena,
in Spagna, dove venne concepita sua leggendaria impresa; rifà l’epica marcia
del suo esercito fino a oltre le Alpi e lungo tutta la dorsale appenninica, e
si sofferma sui luoghi delle sue battaglie più memorabili dal Trasimeno a
Canne; ricostruisce i tredici anni di permanenza di Annibale in Italia - con il
panico che dilaga a Roma -, il suo rientro in patria, la sconfitta contro
Scipione a Zama e la successiva fuga verso Oriente, braccato dai romani ma
sempre imprendibile, fino all’Armenia, fino alla Bitinia e all’epilogo
definitivo: la scelta obbligata del suicidio dopo il tradimento di Prusia che
lo ospitava.
Paolo Rumiz
Durante questo pedinamento a
distanza di due millenni di una figura che spesso sembra solo un’ombra, ma in
alcuni momenti pare più concreta e vicina che mai, Rumiz mette in discussione
alcuni dati storici acquisiti, e laddove la storia e l’archeologia hanno
lasciato dei vuoti cerca di riempirli con la logica, e talvolta persino con
intuizioni che fanno leva in maniera assai sagace sulla psicologia del generale
come la si desume dalle decisioni da lui prese di cui è rimasta testimonianza,
e sulla lettura degli indizi che i territori d’Italia, Europa e Asia minore e
la loro gente parrebbero conservare del suo passaggio ancora oggi, dopo duemila
e duecento anni.
Ne viene fuori il ritratto
commovente di un personaggio gigantesco
che ci appartiene – e appartiene alla storia di tutto il Mediterraneo – almeno
quanto i romani, i quali cercarono invano di cancellarne il ricordo, ma che
solo grazie a lui maturarono quella solidità e quella spregiudicatezza mentali,
militari e politiche che furono capaci di renderli padroni di tutto il mondo
antico.
Voto: 8
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