domenica 17 giugno 2018

Stig Dagerman, "Autunno tedesco", Iperborea


 Il libro, uscito per la prima volta nel 1947, è frutto di un reportage portato a termine nell'autunno del 1946 nella Germania coperta dalle macerie - materiali e spirituali - lasciate dalla Seconda guerra mondiale e dal crollo del nazismo.
 Si tratta di uno straordinario esempio di analisi e di "penetrazione" di una realtà socioculturale complessa compiuto togliendosi dal naso le lenti del pregiudizio e del luogo comune: una lezione per chiunque si occupi di giornalismo, di sociologia o di politica.
 Il giovane scrittore anarchico (morto poi suicida nel 1954, a soli 31 anni) offre al lettore, fin dal primo capitolo, un'immagine icastica della prostrazione di un'intera nazione, un'interpretazione critica dell'atteggiamento dei vincitori (gli americani, gli inglesi e i russi che occupavano il territorio tedesco nell'immediato dopoguerra) nei confronti degli sconfitti, e una intelligente chiave di lettura del malessere e del disorientamento ideologico di un popolo che si vorrebbe facesse pubblica, collettiva ammenda della propria colpevole adesione al nazismo.
 Dagerman comincia infatti col descrivere un giornalista inglese che entra con schifiltosa prudenza in una cantina di Amburgo - fredda, buia e allagata dalle piogge torrenziali degli ultimi giorni - occupata da diverse famiglie con bambini ridotte in uno stato di estrema miseria; e sarcasticamente rappresenta la scandalizzata sorpresa dell'uomo quando scopre che gli ospiti dello scantinato, alle sue incalzanti domande, rispondono sinceramente che si stava meglio prima, sotto Hitler, che ora, sotto il dominio alleato.
 Da qui parte un viaggio che, città dopo città, rappresenta le condizioni di assoluta depressione della Germania di allora, tenendo conto delle evidenze del reale e non di ciò che il lettore occidentale vorrebbe sentirsi dire; le riflessioni che ne derivano sono improntate a un buon senso che riesce ad andare oltre il residuo rancore nei confronti di chi è stato nazista.
 Così, si designa ciò che i tedeschi sono costretti a mangiare non come indescrivibile - termine abusato da tutti i giornalisti occidentali - ma come semplicemente disgustoso; si fa notare come la fame feroce e persistente faccia passare in secondo piano qualsiasi considerazione di ordine politico-filosofico, e non crei le condizioni per una reale resipiscenza di chi ha sostenuto la logica delle scelte politiche di Hitler; si sottolinea come le condanne a morte degli ex gerarchi seguite al processo di Norimberga suscitino soltanto indifferenza e cinismo nella popolazione; si giunge a definire lo stato d'animo del tedesco medio come un misto di rancore verso gli Alleati, di disprezzo per se stesso, di apatia e di una "generale tendenza a far confronti a discapito della situazione attuale".

 Stig Dagerman

 Uno dei fenomeni più tristi della Germania del 1946 è  costituito dall'ostilità e dal disprezzo verso i profughi e i migranti interni: quella folla di individui e famiglie che provengono dall'est del Paese, o che, durante i mesi del 1943 e del 1944 in cui città come Amburgo Essen o Francoforte venivano sottoposte a terribili bombardamenti, erano sfollati nella relativamente più tranquilla Baviera, e che ora sono stati espulsi dal nuovo Governo bavarese, e vivono sulle carrozze marcescenti dei treni merci su cui sono stati deportati, e non hanno un posto dove andare, e non hanno nulla da mangiare, e sperimentano la disperante condizione dell'essere stranieri in patria.
 Vi sono poi le giovanissime ragazze tedesche che si prostituiscono per fame ai militari americani; ma, per quanto umiliante possa essere il loro comportamento, quasi nessuno se la prende con loro, perché "la miseria toglie l'abitudine di fare i moralisti a spese altrui". Così come neppure i ladri sono guardati con disprezzo: in certe situazioni non è immorale rubare, perché il furto significa soprattutto "ridistribuire più equamente le disponibilità, e non privare qualcun altro delle sue ricchezze".
 Persino la politica, nel clima surreale della Germania del dopoguerra, è del tutto incapace di vivere di slanci e di suscitare passioni: la generazione che è cresciuta sotto il nazismo pare precocemente invecchiata e ingrigita, e le ragioni del dissidio tra CDU, Socialdemocratici e Comunisti lasciano per lo più indifferente la grande maggioranza della popolazione; solo la paura di finire sotto il giogo dell'Unione Sovietica spinge molti a schierarsi contro il Comunismo.
 Un argomento di grande interesse è quello del processo di denazificazione, portato avanti dalle Spruchkammern, che hanno il compito di individuare e punire i militanti e i sostenitori del passato regime. Le udienze di questi tribunali sono spesso seguite come spettacoli teatrali: il fatto è che, come spesso succede in questi casi, i pesci piccoli vengono perseguiti, mentre chi ha grandi responsabilità riesce per lo più a sfuggire a qualsiasi sanzione. Capita così che il vecchio professore che in qualche occasione esaltava il regime, o il piccolo contabile fedele alle gerarchie possano essere puniti con la confisca del proprio appartamento (che verrà poi destinato a un perseguitato politico o a una vittima del nazismo), e che il grande funzionario, o anche solo il capo-fabbricato, abituato a denunciare alle autorità ebrei o tedeschi troppo tiepidi nei confronti della retorica hitleriana, la facciano franca.
 Esemplare il caso del padre del piccolo Hans, un bimbo incontrato in un villaggio di campagna poco fuori Darmstadt: l'uomo, un giurista, già pubblico ministero per i tribunali nazisti, dopo la disfatta ha acquistato il podere più grande del villaggio, e se la passa infinitamente meglio degli ex prigionieri dei lager, costretti in case pericolanti e maltenute. Trasformatosi in contadino, ogni sera va a fare legna nel bosco poco fuori dall'abitato dove, nell'aprile del 1945, i nazisti hanno impiccato dei bambini: erano membri della milizia popolare, arruolati ancora da ragazzini, che nel precipitare delle cose avevano deciso di abbandonare il loro posto per tornare a casa dalla mamma, e per questo erano stati considerati disertori.
 Con tutto ciò, la cosa più preziosa che ci insegna Dagerman è questa: bisogna avere sempre rispetto per la sofferenza, chiunque la subisca e qualunque cosa l'abbia causata, e tenere conto di come essa possa trovare riscatto solo con il tempo, a ragguardevole distanza dagli eventi che l'hanno provocata; da vicino, infatti, è quasi irrappresentabile per chi la sente, e quasi incomprensibile per chi ne è testimone.

Voto: 7,5

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