sabato 23 giugno 2018

Isabella Leardini, "Una stagione d'aria", Donzelli editore


  L'ultima raccolta della poetessa riminese Isabella Leardini è suddivisa in sei sezioni: l'eponima Una stagione d'aria, costituita da 12 poesie; Cantare del mattino, che conta 9 poesie; Le figlie pazze del freddo, di 7 poesie; Nel buio del mare, della quale fanno parte 9 poesie; L'usurpatrice, anch'essa di 7 poesie; e L'anello, che conta 11 componimenti, nel novero dei quali spiccano per estensione e per l'interna strutturazione in strofe quello intitolato proprio "L'anello" e quello che ha per titolo "Irene". In tutto, 55 liriche.
 La cantabilità della poesia, che prende slancio dall'uso frequente dell'endecasillabo - a sciogliere i nodi e a recuperare i guizzi sostanziati dall'utilizzo di versi di un'altra misura - e sulle ali di assonanze abilmente distribuite soprattutto nella parte finale dei componimenti, è uno dei caratteri più evidenti e stilisticamente significativi del libro.
 La piacevolezza del canto, infatti, diluisce fantasie, malinconie, riflessioni, ricordi, e li rende palatabili, generalizzabili, più facili da ricordare e da interiorizzare. Le note personali, dalla chiara radice autobiografica, in questo modo, riescono ad assumere un tenore universale. 
 I temi trattati, del resto, sono tali da permettere a ciascuno di riconoscervisi: l'inafferrabilità del tempo che passa - con il corollario del rimpianto per l'infanzia, l'età della vita che sembra sottrarsi al fluire del tempo -, il senso di esclusione rispetto al complesso del consorzio umano, l'indefinibile mistura di dolore e di felicità costituita dall'amore, l'ineliminabile paura della perdita della persona amata, l'ansia di vedere se stessi e la persona amata infallibilmente riconosciuti come coppia indissolubile, la distanza esistente, in tutte le cose, tra le nostre aspirazioni e la realtà fattuale.
 Tali argomenti e tali sentimenti si ipostatizzano in una serie di immagini ricorrenti, come quella della ringhiera del balcone, che insieme è punto privilegiato d'osservazione, parapetto protettivo, limite disperante che impedisce di andare oltre la nostra natura (si veda E' da tutta la vita che tu guardo: "sono la fan che stringe la ringhiera / per non cadere nel vuoto degli anni"; o anche Gli spaventi senza fiato dell'estate: "le mani sempre strette alle ringhiere / come chi veglia solo per pregare"; o ancora, Noi che abbiamo la natura: "Stiamo comunque appese al davanzale / appoggiate come vasi fioriti").

Isabella Leardini

 Il mare, il cielo, il sole, l'estate della riviera romagnola, da parte loro, rappresentano spesso il correlativo oggettivo dell'inesausto desiderio di bellezza, di felicità e di assoluto che ci tumultua dentro, ma deve costantemente fare i conti con i limiti materiali della nostra condizione (come in Vuole giocare per tutta la notte: "Un'estate che ti fa e che ti somiglia / questo nido d'estate da cui cado / al primo temporale che la scuote"; o in Il cane che ai miei piedi guarda l'alba: "I desideri fragili che allungano / le mani dell'estate sono ancora / nascosti come i nidi tra le foglie / sono rimasti in alto e senza voli"; o ancora in Lo spettacolo dei fuochi a mezzogiorno: "Il vero amore all'inizio non nuota / entra in acqua con i piedi sui sassi").
 A fare da controcanto a tutto questo, l'arrivo dell'inverno, con le sue piogge, con il freddo, con la neve; a creare un'atmosfera più malinconica, ma forse più autentica, nella sconfitta ineluttabile delle nostre illusioni che simili immagini finiscono per allegorizzare (si guardi ad esempio Pensavo che saremmo stati: "Le rondini non sanno partire / sono le figlie pazze del freddo / e forse stanno qui da qualche parte / continuano a ripetere che questo / è il loro autunno radioso d'aria / mentre le prende piano la neve").
 Due le poesie che mi sono piaciute più di tutte, e che riporto qui sotto nella loro interezza. La prima è contenuta nella prima sezione, Una stagione d'aria:

Lasciamo l'infanzia e il suo brillare
quando le scorribande della vita
si fermano aggrappate sulla fronte
a splendere di più contro la luce.
Quando il buio viene uguale, senza scosse
la vacanza è un gioco breve di abbandoni
non uno stato, una stagione d'aria.
E' il teatro di presagi dei bambini
quel dondolare i piedi ad aspettare
l'istante esatto in cui la sera arriva.

 L'altra è parte di Cantare del mattino:

Guardami sono l'ultima a restare
orfana nella fila che si svuota
tra i nomi chiamati a giocare.
Quello che resta solo in piedi al centro
impara il vento che sbatte i desideri
mentre aspetta la riscossa del suo nome.
Amami ripetono ogni giorno
mentre si specchiano contro le vetrine
chiamami, come un respiro solo in bocca.
Chi abbandona per ultimo la fila
per sempre vuole vincere anche l'aria
quell'aria di chi ha perso ancora prima
che inizi la partita.

Voto: 6,5

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