domenica 20 gennaio 2019

Jon Krakauer, "Estremi", Corbaccio


 Il rischio che si corre con libri come questo, nati dalla raccolta di scritti eterogenei ed extravaganti - usciti dalla penna di uno scrittore pure notevole in tempi diversi, e concepiti per le occasioni più disparate -, è quello dell'eccessiva difformità: anche quando non si tratta di materiali non troppo curati e non particolarmente interessanti, la scarsa coerenza del progetto d'insieme può talvolta urtare o deludere il lettore. 
 Questa pubblicazione, invece, appare sicuramente eterogenea, ma non in modo fastidioso. Gli articoli presi in considerazione sono stati stesi da Jon Krakauer per varie riviste, ciascuna con una vocazione e un pubblico differente, in un periodo che va dai primissimi anni novanta (quando ancora non erano usciti Into the Wild Into Thin Air, i due libri che resero Krakauer famoso) al 2014. 
 Tutti questi scritti testimoniano non solo le capacità come giornalista dell'autore - che si dimostra in grado di articolare un'inchiesta mettendo a confronto tesi e opinioni diverse e presentando i numerosi aspetti di un fenomeno o di un problema, senza peraltro trascurare di prendere personalmente posizione -, ma anche la varietà dei suoi interessi: si va da pratiche sportive particolari come il surf alla vulcanologia, dalla speleologia all'ambientalismo, senza naturalmente dimenticare la passione principe per l'alpinismo; il tutto osservato dalla prospettiva particolare di chi ritiene che la ricerca dell'avventura costituisca un impulso profondo che alberga in ciascuno di noi, e vuole approfondire le implicazioni sociologiche e antropologiche di questa innata inclinazione.
 Inoltre, che indaghi sulla morte di Mark Foo, avvenuta presso lo spot di Mavericks, pochi chilometri a sud di San Francisco, nel dicembre del 1993 (L'ultimo volo di Mark Foo), o sulla pericolosità del monte Rainier per molti abitanti dello stato di Washington (All'ombra del vulcano), che si occupi del fascino inarrivabile del parco naturale dei Gates of the Artic, in Alaska (I cancelli dell'Artico), o dei rischi del mestiere degli sherpa che lavorano al servizio delle spedizioni commerciali sulle pendici dell'Everest (Morte e rabbia sull'Everest), Krakauer utilizza sempre la sua capacità di alternare l'abbandono al meccanismo di immedesimazione nei protagonisti della storia che sta raccontando, e l'assunzione di una distanza critica dagli eventi narrati utile a giudicarli con maggiore oggettività per trasmettere al lettore la sensazione che ciò di cui si sta parlando riguardi anche lui, e che valga la pena prestarvi la massima attenzione. 
 I pezzi più intriganti fra quelli riprodotti, a mio parere, sono due, e risalgono entrambi alla prima metà degli anni novanta. Si tratta di Amarli fino alla morte  e di Fred Beckey è ancora in circolazione
 Il primo parla della diffusione, in alcune regioni degli Stati Uniti, dell'abitudine di trattare i disturbi comportamentali degli adolescenti considerati "difficili" iscrivendoli a corsi di sopravvivenza che dovrebbero "rieducarli", insegnando loro a cavarsela da soli a contatto con la natura selvaggia; il secondo ripercorre la vicenda biografica di una delle figure mitiche dell'alpinismo nordamericano dagli anni quaranta in poi, Fred Beckey.
 L'idea di combattere il disagio giovanile e tutte le sue conseguenze (l'isolamento, la depressione, l'indisciplina, il consumo di sostanze stupefacenti, ecc.) recuperando un sano contatto dell'individuo con la natura nella sua basilare rudezza è di per sé affascinante. Il problema è che negli Stati Uniti operano da tempo organizzazioni che sfruttano commercialmente le attrattive di questa idea proponendo di inserire - in cambio del pagamento di decine di migliaia di dollari - gli adolescenti ribelli in programmi di recupero basati sulla cosiddetta wilderness therapy senza avere le qualifiche minime necessarie per elaborare progetti di questo tipo. 

Jon Krakauer

 Infatti, molte di tali società, nate soprattutto nello Utah, e imperniate su una visione del mondo che coniuga l'etica iperconservativa dei mormoni e l'applicazione in ambito educativo di istanze disciplinari di tipo militare, si limitano a concepire programmi per cui i ragazzi problematici vengono spediti in zone impervie con poco cibo e poca acqua, e spinti ad affrontare severissime prove di resistenza con l'inadeguato supporto di supervisori spesso impreparati, il cui compito principale sembra quello di redarguire, di punire o addirittura di maltrattare i giovani che più faticano a sottomettersi a questo regime. Nessuna assistenza medica e psicologica viene affiancata a tale approccio metodologico
 La durezza di questi campus, così, si spinge talvolta al punto tale da mettere in pericolo la tenuta fisica e mentale dei ragazzi più fragili, tanto che si sono dati casi di alcuni adolescenti morti per via delle privazioni a cui erano stati costretti. Di fronte a questi casi terribili, un autentico amante della wilderness come Krakauer non può che giungere alla conclusione che simili esperienze non sono adatte a tutti, e che il contatto con la natura selvaggia risulta davvero formativo solo quando è una scelta volontaria - specie nell'età evolutiva -, e quando è affrontato con le dovute cautele, non certo quando è un'imposizione o, peggio, una sorta di castigo.
 Più scanzonato è l'articolo dedicato a Fred Beckey, scritto nel 1992, quando l'ultimo grande alpinista romantico, alla soglia dei settant'anni, era ancora in piena attività. 
 Krakauer inizia narrando la leggenda, diffusa negli ambienti alpinistici, secondo la quale Beckey possedeva un "little black book" in cui aveva annotato la dislocazione e le caratteristiche di tutte le pareti non ancora scalate nelle catene montuose nordamericane; da lì parte poi il racconto di un'ascensione effettuata insieme al mitico scalatore, già anziano ma assolutamente inarrestabile, che diventa il pretesto per tracciarne un indimenticabile ritratto e per ripercorrere le tappe principali della sua avventurosa esistenza. 
 Fred Beckey si chiamava in realtà Friedrich Wolfgang Beckey, era nato a Dusseldorf nel 1923 ed era emigrato con la famiglia negli Stati Uniti nel 1925. Aveva cominciato a scalare alla fine degli anni trenta, e da allora la sua "fame" di pareti non si era più esaurita. Il suo "periodo d'oro" è collocabile tra la fine degli anni quaranta e la metà degli anni sessanta; in questo intervallo di tempo, Beckey realizzò la prima salita dell'immenso torrione roccioso del Devils Thumb, in Alaska, scalò il Mount Deborah, il Mount Hunter, lo sperone nord-ovest del McKinley (alcune delle montagne più difficili degli Stati Uniti), e la parete ovest della South Howser Tower nelle Bungaboos canadesi. Nel 1963 avrebbe dovuto far parte della spedizione americana sull'Everest, ma il suo individualismo sfrenato e la sua difficoltà a fare squadra fece sì che gli organizzatori lo escludessero dall'impresa, sebbene nessuno negli Stati Uniti potesse vantare allora il suo curriculum alpinistico.
 Era uomo capace di sacrificare ogni cosa all'arrampicata e al gusto per l'avventura: la famiglia, il lavoro, le comodità di una vita borghese, che la sua laurea in Economia e Gestione aziendale avrebbe potuto garantirgli. Invece ebbe sempre pochi soldi in tasca, una donna in ogni distretto montuoso (come, in altri tempi, i marinai ne avevano una in ogni porto), e la capacità di essere sempre pronto a tutte le partenze. Fu probabilmente l'ultimo hippy dell'alpinismo. 
 Quando Beckey morì, a 94 anni, nel 2017 - 25 anni dopo l'articolo in cui Krakauer lo descrive già anziano, 25 anni passati in buona parte a camminare sui sentieri di montagna -, insieme alle dichiarazioni dei colleghi che lo definivano "il più grande conoscitore del massiccio delle Cascades", i giornali pubblicarono una foto che lo ritrae sul ciglio di una strada, con lo zaino e la corda in spalla e un cartello in mano. Il cartello dice: "Will belay for food"; "Sono disposto a farvi sicurezza [durante l'arrampicata] in cambio di cibo". In questo cartello c'è tutto lo spirito di Fred Beckey.

Voto: 6   

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