domenica 8 settembre 2019

Cristina Marconi, "Città irreale", Ponte alle Grazie


 Città irreale è la storia di una ragazza e di una metropoli. Alina, giovane romana appartenente alla media borghesia (il padre è proprietario di un negozio di abbigliamento ben avviato), nel 2008, nonostante una laurea e un posto di lavoro di buon livello presso un'agenzia di comunicazione nella sua città, decide di lasciare l'Italia e di trasferirsi a Londra.
 Alina sa benissimo che rischia di andare ad occupare una posizione inferiore a quella che ricopre a Roma, magari addirittura di finire a fare un lavoro da segretaria, ma semplicemente non ne può più dell'inerzia e della rigidità del sistema italiano: del vieto meccanismo per cui ogni passo avanti dal punto di vista professionale, sociale e persino sentimentale avviene sempre e solo - con esasperante lentezza - per anzianità o cooptazione, e mai in virtù del merito, dell'impegno, dello slancio volontaristico, dell'estro, della fiducia.
 Da questo punto di vista, Londra, con le sue aperture, il suo dinamismo, la sua multiformità, la sua disponibilità sembra davvero un altro mondo: uno vi si può anche smarrire, vi si può sentire disancorato dalla propria storia, ma riuscirà comunque a trovarvi qualche appiglio per cercare di reinventare il proprio futuro senza sentirsi imprigionato in uno schema fisso che non offre via di scampo.
 E a Londra, Alina, superate le ovvie difficoltà iniziali, riesce davvero a trovare una sua dimensione: nel lavoro ingrana con grande facilità, e scala velocemente posizioni dentro l'agenzia che l'ha assunta; presto, abbandonata la stanza che temporaneamente occupa a casa di Ilaria - una vecchia conoscente che ha messo su famiglia nella capitale britannica -, prende in affitto un grazioso appartamento bianco come una bomboniera insieme a Katie, la sorella-avvocato della sua collega Sally; e, frequentando gli amici inglesi di Katie, incontra Iain, un giovane medico serio e generoso, che conosce e ama l'Italia, e che presto diventa il suo fidanzato.
 Nella nuova vita della ragazza italiana, i fattori predominanti sono il desiderio di una continua evoluzione, la proiezione verso un futuro ancora indeterminato, l'assenza di pastoie e di impegni troppo vincolanti. Così, quando Iain, in procinto di trasferirsi a Bristol nel cui ospedale è stato richiamato, chiede alla fidanzata di sposarlo e di seguirlo nella provincia inglese, Alina - pur innamorata - preferisce rinunciare a lui e, inevitabilmente, al gruppo di amici che gli sono legati piuttosto che lasciare Londra e il vasto spazio di infinite possibilità che il suo territorio urbano ai suoi occhi configura.
 Dal momento del distacco da Iain, però, la continua crescita professionale della protagonista non viene accompagnata da una analoga maturazione dal punto di vista emotivo: le sue nuove frequentazioni sono imperniate su un gruppo di espatriati italiani la cui anarchia post-studentesca e la cui consapevole e compiaciuta ricerca della provvisorietà permettono ad Alina di specchiarsi nelle sue paure e nella sua indeterminatezza; le brevi storie erotico-sentimentali che punteggiano il suo nubilato sono sempre all'insegna di un disimpegno talvolta divertente, ma talaltra francamente stucchevole; il fascino che Londra e i suoi ambienti continuano a esercitare su di lei trova un limite evidente nella convenzionale patina di piacevolezza internazionale che, in molti quartieri, ha insensibilmente ricoperto le tracce residue della storia della città.

Cristina Marconi

 E così, l'inattesa e improvvisa perdita del lavoro che, a seguito di una ristrutturazione dell'organigramma della sua azienda, Alina deve affrontare costringe la ragazza a fare i conti con ciò che in precedenza ella tendeva a eludere: il fatto che non ha mai dimenticato Iain (rispetto al quale si sente in colpa anche per non aver saputo approfondire il buco nero che grava sul passato del giovane, vale a dire il suicidio della sua storica fidanzata Vicky), il fatto di sentire un nuovo bisogno di stabilità, il fatto di cominciare ad accorgersi dei limiti che comporta il modello di sviluppo urbano e sociale scelto da Londra (che pure ella continua ad amare alla follia).
 La riconciliazione voluta, cercata, conquistata con Iain - infine disposto a chiedere il trasferimento dall'ospedale di Bristol a un nosocomio londinese - regalerà infine ad Alina una nuova vita e un nuovo equilibrio, coronato dalla gravidanza e dalla nascita di Emma, oltre che da una diversa visione del mondo, che la porterà addirittura a mettere in discussione, proprio alla vigilia del voto britannico a favore della Brexit, la bontà della scelta di trasformare Londra nella città multietnica per eccellenza, culturalmente senza confini e aperta a tutti per vocazione; pena, però, la perdita della sua anima tradizionale.
 Il libro è tutto giocato sull'intreccio di due linee narrative: ci sono capitoli di impostazione diaristica, in cui è la stessa Alina a raccontare di sé, a riflettere, a rivelarci i suoi pensieri e a dichiarare le sue opinioni; e poi ci sono capitoli in cui un narratore esterno ci racconta in terza persona le vicende di Iain, di Vicky e del loro amico Macca.
 La prima linea narrativa è senz'altro quella predominante (se non altro per lo spazio che occupa all'interno del romanzo), mentre la seconda, segnata da un distacco temporale rispetto all'altra che si va progressivamente assottigliando con lo sviluppo del testo (configurandosi di fatto in una serie di flashback diversamente dislocati dal punto di vista cronologico) ha una funzione soprattutto strumentale, e pare anche un po' più anonima dal punto di vista stilistico.
 Per la verità le due linee narrative non si sposano benissimo: nel lettore persiste una sensazione di sfasamento, come se qualcosa nell'architettura diegetica del romanzo non fosse pienamente risolto.
 Allo stesso modo, non del tutto compiuta mi sembra la riflessione che, attraverso il punto di vista di Alina, viene svolta su Londra, sulla sua immagine, sul suo ruolo nell'Europa contemporanea.
 Mi spiego: Alina seguendo un'ispirazione che risale addirittura all'infanzia, quando ormai si avvicina ai trent'anni, decide di lasciare l'Italia e Roma, e di trasferirsi a Londra alla ricerca di più tolleranza, di maggiore elasticità e apertura mentale, di più possibilità di scelta, di maggiore attenzione alle aspirazioni dell'individuo e alla sua libertà. La sua adesione a tutto ciò che Londra incarna è tale da sacrificare ad essa ogni cosa, a un certo punto anche i sentimenti che ella nutre nei confronti di Iain.
 Poi, quando ritrova Iain e si rende conto di quanto sia stata dolorosa la loro separazione, la ragazza pare rinnegare la propria scelta e, nel precipitare verso un lieto fine coerente con lo sviluppo narrativo ma lievemente melenso, arriva a riconoscere la legittimità delle opinioni di Macca e di sua moglie Lucy, che dichiarano di essere intenzionati a votare affinché il Regno Unito abbandoni l'Unione Europea proprio in virtù dell'eccessiva "apertura" alla quale Londra avrebbe sacrificato la sua specificità britannica.
 In sostanza, è come se la protagonista scivolasse frettolosamente da un'analisi "ragionata" della realtà che tanta parte ha avuto nel determinare l'assetto che ha assunto nel tempo la sua esistenza, a una considerazione superficialmente emotiva - basata su osservazioni estemporanee - dell'ambiente a cui ormai appartiene e che per tanti versi dovrebbe sentire indissolubilmente legato al suo essere; il tutto senza che a questo slittamento venga dedicato un approfondimento vero.
 Il lettore, in verità, ne resta un poco sconcertato.

Voto: 6 -

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