domenica 15 settembre 2019

Giorgio Bassani, "Il giardino dei Finzi-Contini", Feltrinelli


 In occasione dell'ottantesimo anniversario dell'inizio della Seconda guerra mondiale, ho deciso di riprendere in mano Il giardino dei Finzi-Contini di Giorgio Bassani, uno dei testi che meglio riescono a rappresentare la traumatica cesura storica che segnò lo scoppio del conflitto, e a mostrare la sostanza criminale - insieme tragica e ridicola - dei fascismi europei che prepararono e innescarono quella sconvolgente catena di eventi bellici.
 A parlare qui del libro mi spinge anche il fatto che oggi, nelle scuole, questo classico del Novecento pare sia molto poco frequentato; non so se per via dell'eccessiva rigidità di tanti insegnanti nell'interpretazione di programmi comunque assai cospicui, se per l'imbarazzante ignoranza riguardo a buona parte della letteratura - italiana e non italiana - degli ultimi 150 anni che affligge molti di coloro che hanno alle spalle una formazione umanistica, o se per il peso che tuttora conserva il giudizio ottuso e sprezzante sull'autore del Giardino di alcuni esponenti della neoavanguardia del Gruppo 63 (per i quali, lo ricordiamo, Bassani e Cassola erano "le Liale degli anni sessanta").
 Eppure il testo, oltre a essere stilisticamente finissimo e letterariamente assai gustoso, appare molto moderno, leggibile, capace di appassionare senza fatica anche un giovane lettore contemporaneo, con personaggi accuratamente cesellati e perfettamente credibili, un tono che sa tenersi ugualmente lontano dalle paludi del patetismo e dalle secche della tetraggine - nonostante la "serietà" degli argomenti trattati -, e uno sviluppo narrativo equilibrato e studiato per coinvolgere tanto dal punto di vista emotivo quanto dal punto di vista intellettuale.
 Ricordo che, quando lessi il libro per la prima volta molti anni fa, lo trovai memorabile perché riusciva a declinare con estrema efficacia il concetto di ineluttabilità del destino, spogliandolo di ogni vaghezza romantica e trasformandolo nell'esemplificazione dell'impotenza dell'uomo di fronte all'inesorabile ferocia dei meccanismi storici determinati insieme dalla politica, dalla società e dal caso. 
 Rileggendolo ora, resto ammirato di fronte alla dolcezza di certe descrizioni, all'eccezionale sottigliezza di alcuni dialoghi, alla capacità di Bassani di saldare il piano diegetico e quello simbolico, di narrare e di alludere insieme, di esaminare la Storia (con la S maiuscola) parlando di amore e di amicizia. Il giardino dei Finzi-Contini è uno di quei rari romanzi che spesso chi si occupa di letteratura finisce per apprezzare al punto tale da rammaricarsi di non avere scritto nulla di simile. 

Giorgio Bassani

 Fra i passi che preferisco voglio qui metterne a fuoco tre: il primo, quasi all'inizio del romanzo, è il racconto - condotto dal protagonista narratore, che però riporta le parole e i giudizi del padre - dell'acquisto del "Barchetto del Duca" e dell'edificazione della "Magna Domus" e dell'orrenda tomba di famiglia da parte del patriarca Moisè Finzi-Contini (detto al gatt): la perfetta costruzione del mito familiare.
 Il secondo è il lungo resoconto dei dialoghi telefonici tra il protagonista e Micol Finzi-Contini, intrisi di dolcezza e di una dissimulata malinconia per ciò che - già si intuisce - fra loro avrebbe potuto essere e non è stato: la costruzione del mito dell'amore mancato, spesso, nel ricordo, più forte di un amore vissuto.
 Il terzo è il lungo brano in cui vengono descritte le uscite serali e i discorsi del protagonista e di "Giampi" Malnate, il giovane chimico milanese, amico di Alberto Finzi-Contini, che con lui frequenta il giardino, e che forse è diventato l'amante segreto di Micol; il ragazzo che con la sua incrollabile fede politica crede in un futuro "lombardo e socialista", ma che è destinato a soccombere nelle steppe russe al seguito della spedizione italiana del 1941: la costruzione del mito di un'amicizia chimerica.
 E del mito, della storia appartenente a un passato irrecuperabile eppure imbevuta dell'essenza dell'eternità ha il sapore l'intero romanzo, che, come tutti i capolavori, riesce sempre, ogni volta che ci si sprofonda in esso, a insegnare qualcosa di nuovo, a regalare qualcosa di prezioso.

Voto: 9

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