domenica 21 giugno 2020

Sandro Veronesi, "Il colibrì", La nave di Teseo


 Il colibrì è il più minuscolo e grazioso degli uccelli ma, soprattutto, possiede l'eccezionale capacità di muovere le proprie ali alla spaventosa frequenza di 70 battiti al secondo per rimanere fermo a mezz'aria o, addirittura per procedere a ritroso. Questa sua straordinaria facoltà lo rende simbolo della persistenza consapevole, dell'impegnativa resistenza all'entropia universale, al mutare, trascorrere, deteriorarsi e scomparire di tutte le cose immerse nel flusso del tempo.
 Per associazione di idee può anche rappresentare l'emmenalgia (dal greco Emméno, persevero, continuo strenuamente), vale a dire "un senso di struggimento malinconico per il desiderio di voler continuare a oltranza" e, insieme, "l'ostinata volontà di sottrarsi alle leggi di altri". Ed è curioso constatare come la suggestione di questo piccolo volatile abbia colpito persino gli aztechi, che immaginavano che in esso si trasformassero, come se si trattasse del premio supremo, i guerrieri gloriosamente caduti in battaglia.
 Protagonista del romanzo di Sandro Veronesi è Marco Carrera, fiorentino, classe 1959, che da ragazzino è stato soprannominato dalla madre Letizia proprio "colibrì" per via della sua piccola statura - dovuta a una forma di ipoevolutismo staturale moderato -,  dell'armonia delle membra, della sua agilità e della sua bellezza.
 Nonostante, crescendo, Marco raggiunga poi una statura perfettamente normale - grazie anche a una cura ormonale a cui suo padre Probo ha convinto la moglie a sottoporlo -, l'antico soprannome continua ad attagliarsi alla perfezione al suo modo di essere per via delle qualità che egli mostra nel corso della sua vita costellata di eventi traumatici che lo mettono alla prova e che egli riesce ad affrontare con mirabile fermezza e con assoluta fedeltà alla sua storia e ai suoi affetti di sempre: la scomparsa della sorella Irene, morta suicida nel mare del lido davanti a Bolgheri nel 1981; la dissoluzione, in seguito a quel tragico evento, della sua famiglia, già minata da un'incompatibilità di fondo da sempre esistente tra la madre, l'inquieta Letizia, architetto, e il padre, il riservato Probo, ingegnere; la tempestosa separazione dalla moglie Marina, affetta da gravi turbe psichiche, nel 1999; lo sviluppo soffocato dell'irrisolta relazione, piena di segreti, di strappi, di ricongiungimenti, con Luisa Lattes, il suo primo e forse unico vero amore; la "fuga" negli Stati Uniti del fratello minore Giacomo, ben determinato a tagliare i ponti con la sua famiglia d'origine; la morte, nel giro di pochi mesi, di Probo e Letizia nel 2005; l'imprevista gravidanza della figlia Adele, a soli vent'anni, nel 2010; la morte straziante della stessa Adele nel 2012 per lo spezzarsi di una corda difettosa durante un'arrampicata in falesia.
 Al cospetto di questa sequenza di traumi sembra che Marco utilizzi tutte le sue forze per non farsi spazzare via dal destino, per non perdere nulla per strada, per conservare nel suo percorso esistenziale una coerenza che gli consenta di preservare in qualche modo - magari anche solo nella memoria - tutti i legami che la vita gli ha consentito di creare, di portarseli dietro, di nutrirsene consapevolmente e di giovarsene psicologicamente anche quando le circostanze li hanno portati a un naturale esaurimento, o la morte li ha semplicemente estinti.    

Sandro Veronesi

 Proprio come il volo di un colibrì, il flusso narrativo procede a scarti, per spostamenti fulminei, con fughe in avanti e ritorni al passato, in un continuo andirivieni temporale attraverso il quale sembra tessersi la tela del racconto di una vita intera vissuta, rammemorata, raccontata.
 La comunicazione al lettore, nelle sue continue evoluzioni e nei suoi cambi di direzione, utilizza gli strumenti più disparati: dalla più tradizionale voce narrante esterna alle missive "ottocentesche" che Marco e Luisa Lattes continuano a scambiarsi per gran parte della loro esistenza, dai messaggi whatsapp alla pedissequa registrazione delle conversazioni telefoniche che intercorrono tra il protagonista e il dottor Carradori, dalle email - sempre senza risposta - che Marco invia al fratello Giacomo in America alle liste di oggetti appartenuti ai loro genitori incluse nell'inventario di quanto rimasto nella vecchia casa della famiglia Carrera in Piazza Savonarola.
 L'ultima parte del testo contempla addirittura una proiezione nel futuro: il tempo della storia, infatti, arriva fino all'anno 2030 quando Marco Carrera, ormai settantenne e affetto da un tumore al pancreas, decide di anticipare la sua fine con un aiuto farmacologico circondato da tutti coloro che in vita ha amato, come il protagonista del film Le invasioni barbariche, che viene esplicitamente citato.
 A riunire l'ex moglie Marina, la figliastra Greta, il fratello Giacomo e Luisa Lattes è stata la nipote Miraijin, la figlia di Adele, il simbolo della speranza di una possibile rigenerazione dell'umanità di là da venire.
 Il libro, a mio avviso, è intrigante ma sa un po' troppo di laboratorio; sembra uno di quei romanzi che non nascono "di necessità", ma vengono costruiti per titillare i gusti del pubblico dei lettori "forti".
 In questa prospettiva, uno scrittore colto come Veronesi integra nel corpo del testo diverse citazioni di libri, film, opere d'arte o canzoni d'autore non banali, ma abbastanza facilmente decifrabili (tipica quella de La patente di Pirandello), e si compiace di impreziosire talvolta il suo lessico - mediamente palatabile - con alcuni termini decisamente peregrini (mi vengono in mente crissare, iamatologia, estrusione ad esempio) che, insieme al complesso trattamento dei meccanismi spazio-temporali, innescano una torsione letteraria sicuramente suggestiva, ma che poco aggiunge alla sostanza del testo.
 La spensierata prolessi dei capitoli che parlano della crescita di Miraijin e degli ultimi anni di Marco Carrera, poi, rappresenta un espediente un po' troppo facile per chiudere il cerchio della vicenda narrativa nel segno del colibrì, non all'altezza del carattere sofisticato di tutto il congegno romanzesco.
 Fra gli aspetti molto convincenti del libro, invece, vi sono i personaggi di Probo e Letizia Carrera - lui ingegnere appassionato di modellismo e di romanzi di fantascienza, disperatamente innamorato di una moglie che non lo ama, lei architetto d'avanguardia e abile fotografa, persa dietro i suoi innumerevoli amanti, prigioniera della psicoanalisi e di un malessere senza sbocchi - e, in generale, i dialoghi, impostati con disinvoltura e plasmati con efficacia.
 In conclusione: si tratta di una piacevole lettura ma, considerando gli elogi e le segnalazioni che ha ricevuto da più parti Il colibrì, mi aspettavo decisamente di più.

Voto: 6 +

Nessun commento:

Posta un commento