domenica 28 giugno 2020

Shirley Jackson, "Pomeriggio d'estate", Adelphi


 Se c'è una scrittrice alla quale l'aggettivo "ipnotica" calza a pennello, questa è di sicuro Shirley Jackson. Nei suoi racconti, la descrizione di momenti di ordinaria quotidianità nella provincia americana, popolata dalla piccola borghesia disinvoltamente perbenista così caratteristica del tessuto sociale statunitense, si sfilaccia puntualmente dando luogo a fughe immaginarie in cui si riflettono le paure e i desideri di autorealizzazione delle protagoniste femminili; oppure, altre volte, degenera addirittura in scenari di puro orrore in cui si manifestano, da una parte, la ferocia insita nelle relazioni umane (di solito graziosamente schermata dietro le convenzioni della buona creanza o del buon vicinato), dall'altra l'intollerabile precarietà della stessa condizione ontologica degli uomini tutti. 
 Il campione più noto di questa suggestiva impostazione letteraria è probabilmente il famoso La lotteria dove, in un piccolo centro di poche centinaia di onesti abitanti, colui (o colei) il cui nome ha la ventura di essere sorteggiato dalla vecchia e ormai usurata bussola di legno dipinto portata in piazza una volta all'anno per la tradizionale cerimonia subisce il destino tremendo di una collettiva lapidazione a morte da parte degli astanti, a cui anche i familiari più stretti partecipano volonterosamente.
 In questo piccolo libro, che contempla solo due racconti (Invito a cena e l'eponimo Pomeriggio d'estate), tali aspetti - così caratterizzanti e capaci di mettere in atto una vera e propria mutazione genetica del realismo letterario - ritornano in maniera particolarmente originale.
 Invito a cena vede come protagonista e narratrice Dimity Baxter una giovane impiegata nubile che invita a casa propria Hugh Talley, un collega famoso, oltre che per la sua straordinaria avvenenza, per la sua bravura ai fornelli, in virtù della quale si sente autorizzato a criticare aspramente - fino a demolirle dal punto di vista psicologico - tutte le donne che hanno la ventura di cucinare per lui.
 Dimity non è una brava cuoca; anzi, si può dire che quando cucina per sé si accontenti quasi sempre di cibo in scatola. Così, mano a mano che il momento della cena (che di primo acchito doveva esserle parsa molto allettante) si avvicina, si rende conto del fatto che la prospettiva di essere esposta alle probabili bordate sarcastiche di Hugh non solo la infastidisce ma addirittura la inquieta, come se dalle parole dell'uomo dipendesse la sopravvivenza della sua stessa autostima.

 Shirley Jackson

 Per fortuna, in aiuto di Dimity interviene un'anziana inquilina del suo stesso stabile, Mallie: una sorta di mamma o di nonna putativa. Mallie praticamente rifà per Dimity tutti i piatti che alla giovane donna non riescono come si deve. A tratti pare quasi che Mallie sia per la protagonista una specie di amica immaginaria che, più che agire in prima persona nella realtà effettuale, infonde a Dimity la sicurezza di cui ella ha bisogno. Ad ogni modo, l'intervento di Mallie non basta per tramutare in lodi le critiche che Hugh aveva preventivamente in serbo per Dimity. Alla quale, per difendere la propria rispettabilità e il buon nome di tutto il genere femminile, non resta altro che tirare in piena faccia al suo ospite la torta che aveva preparato per lui.
 Nella sua amara comicità il racconto nasconde una consapevole, risentita, moderna ribellione alla condizione di sudditanza nei confronti dei maschi alla quale i pregiudizi vigenti nella società americane del Novecento hanno consegnato generazioni di donne.
 L'altro racconto, Pomeriggio d'estate, è costruito sulla negazione del patetismo (ottenuta grazie all'utilizzo di un punto di vista straniato) e percorso da un profondo brivido nero. Narrato in terza persona, descrive il pomeriggio trascorso giocando da due bambine ancora piuttosto piccole che abitano in due villette adiacenti del quartiere residenziale di una piccola città. La focalizzazione interna ci consente di vedere il mondo con gli occhi delle due bambine e di seguire le capricciose fantasie che, esaurirti i soliti giochi con le bambole, le portano a compiere da sole, sul marciapiedi, un giro intorno al proprio minuscolo isolato gettando sguardi curiosi attraverso le finestre, all'interno delle abitazioni dei vicini. Fra queste, c'è anche la casa di "Tippie", una bambina che pare faccia parte delle loro conoscenze anche se non la frequentano abitualmente.
 In realtà, come verremo a sapere dalla conversazione serale di una delle piccole con la propria madre, non esiste nessuna Tippie: la bambina  - figlia di Mrs Archer - che davvero abitava lì è morta alcuni anni prima. Improvvisamente il lettore è piombato da un'atmosfera da commedia nel bel mezzo di una tragedia e, insieme, in una vera e propria ghost story.
 Il meccanismo su cui simili racconti sono impostati lascia sgomenti, perché l'originario patto narrativo stretto in apertura del testo viene stravolto, e la dominante nota realistica iniziale viene efficacemente trasfigurata proiettandoci in un mondo diverso da quello supposto, che "arriva" alla nostra attenzione con la stessa evidenza di ciò che è banale ed ordinario, ma spiazza, sconcerta e spaventa.    

Voto: 7

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