domenica 14 giugno 2020

Remo Rapino, "Vita, morte e miracoli di Bonfiglio Liborio", Minimum Fax


 Mi sembra che i modelli principali e gli antecedenti diretti nell'ambito della letteratura italiana di questo singolare romanzo di Remo Rapino siano due testi diversi, ma entrambi piuttosto importanti: Memoriale di Paolo Volponi e Terra matta di Vincenzo Rabito. 
 Il primo è il capolavoro della cosiddetta "letteratura industriale" e mette in scena un giovane operaio affetto da una severa psicosi, le cui condizioni mentali e fisiche sono aggravate dalla logica inumana sottesa all'impostazione del lavoro in fabbrica - nel quale egli aveva sperato inizialmente di trovare in realtà un'occasione di rigenerazione personale. Il secondo è lo straordinario libro di memorie di un cantoniere siciliano semianalfabeta, che racconta la propria vita con rara genuinità narrativa e con una densità comunicativa tale da rendere la rovinosa ruvidezza grammaticale non un ostacolo alla comprensione, bensì un tratto stilistico caratterizzante che pone il libro al di fuori di qualsiasi canone accademico o antiaccademico.
 Vita morte e miracoli di Bonfiglio Liborio mutua da Volponi la critica radicale al modello sociale e produttivo sulla base del quale l'Italia si è sviluppata a partire dal secondo dopoguerra, portata attraverso il punto di vista, stravagante ma a suo modo acutissimo, di un "diverso", di uno spostato, di un eccentrico, di un isolato reso più sensibile proprio dalla sua solitudine e dalla sua eccentricità; di Terra matta, invece, fa propria l'indole picaresca della storia del protagonista e l'umiltà della sua voce, impastata di dialettismi e irta di solecismi, ma eccezionalmente espressiva, quasi espressionistica (resa tale, nel caso di Rabito, dal carattere grezzo della competenza linguistica dello scrittore, mentre per il colto Rapino si tratta di una precisa scelta formale).
 Liborio Bonfiglio, il protagonista-narratore del romanzo, viene al mondo nel 1926 in Abruzzo, in una imprecisata località tra la Majella e il mare. Al momento della sua nascita, la madre non viene assistita né dalla levatrice né dal medico, impegnato in una partita a carte nel circolo ricreativo comunale: è questo il primo dei numerosi "segni neri", i presagi di sfortuna che costelleranno la sua esistenza.
 Del resto, fin dall'inizio del suo percorso, Liborio non può contare sul supporto e sulla rassicurante presenza di un padre: il suo è partito da emigrante per l'America con la moglie incinta, e non farà più sapere nulla di sé. Pare che avesse gli stessi occhi del figlio, ma il protagonista non sarà mai in grado di appurarlo.
 Il bambino cresce così con accanto soltanto la madre e il nonno Peppe, un vecchio muratore socialista, seguace convinto di Pietro Nenni e fieramente antifascista, che però muore tragicamente cadendo da un'impalcatura. Invece la mamma, che per mantenersi fa le pulizie in casa d'altri, si ammala presto di tisi, e Liborio fa appena in tempo a finire le scuole elementari (durante le quali si dimostra uno studente curioso, diligente e di buon profitto, grazie anche agli incoraggiamenti del maestro Romeo Cianfarra, che rimarrà per il protagonista un ideale e quasi mitico punto di riferimento) e a trovare un lavoro presso un fabbricante di funi - che lo sfrutta e lo maltratta ma gli permette di mantenersi autonomamente -, prima di vedere spegnersi anche lei.
 Rimasto solo, Liborio lascia il fabbricante di funi e s'inventa garzone presso la bottega di barbiere di mastro Girolamo De Angelis, imparando a poco a poco un mestiere che gli piace. Rimane con mastro Girolamo anche dopo lo scoppio della Seconda guerra mondiale, fino all'8 settembre e all'inizio dell'occupazione tedesca, quando la bottega chiude.  

 Remo Rapino

 Passato indenne attraverso le atrocità dell'ultima parte della guerra, durante la quale il giovane Bonfiglio parteggia con tutto se stesso per i giovani partigiani che cadono sotto i colpi dei nazisti, pur senza trovare modo di unirsi a loro, con il dopoguerra Liborio entra nell'età adulta, conosce l'amore con la bella Teresa Giordani (anzi, Giordani Teresa, come quasi burocraticamente la designa la voce narrante) - che però, dopo averlo illuso, sposa un altro più ricco di lui - e inizia le sue avventurose peregrinazioni su e giù per l'Italia. 
 A portarlo lontano è, prima, il servizio militare (prestato a Tauriano di Spilimbergo), poi la necessità di sostentarsi, che lo conduce nella Milano del boom economico, dove trova lavoro alla Borletti (famosa allora per la produzione delle macchine per cucire). Inserito in catena di montaggio (dove, fra l'altro, nella finzione narrativa, conosce anche Giorgio Scerbanenco, non ancora giallista famoso), Liborio non riesce ad adattarsi ai ritmi innaturali del lavoro, ai rumori assordanti, all'ambiente malsano, e sperimenta le prime manifestazioni di un disagio mentale che gli impedisce di continuare a fare l'operaio. 
 Si tratta in realtà non di un addio ma di un arrivederci alla fabbrica, perché il protagonista, trascinato dalla sorte in Emilia Romagna, si mette in un primo momento a fare il bracciante a Bagnocavallo (dove risiede un suo ex commilitone prostrato dalla sifilide, contratta durante le sue abituali scorribande nelle case di tolleranza), poi, trasferitosi a Bologna, entra alla Santa Rosa, fabbrica di confetture alla frutta. Nel mutato clima politico degli anni sessanta e settanta, Liborio si avvicina agli ambienti dell'estremismo militante di sinistra, con gli esponenti del quale, pur senza mai acquisire una vera coscienza di classe, sente una vaga affinità e intuisce una comunanza di interessi. Decisivo, in questo senso, sarà anche il suo ingresso alla Ducati di Borgo Panigale, in qualità di operaio specializzato.
 La Ducati diventa teatro di un'altra delle svolte della sua esistenza: colpito nel profondo dall'incidente occorso a un collega di lavoro, che ha perso un braccio sotto una pressa, tormentato dall'esigenza di rispettare tempi di lavoro sempre più serrati, rigorosamente scanditi dai cronometristi, Liborio finisce per aggredire e picchiare a sangue un caporeparto particolarmente oppressivo. Licenziato, arrestato e trascinato in tribunale, viene giudicato incapace di intendere e di volere, e rinchiuso in un ospedale psichiatrico a Imola.
 In manicomio avvengono altri due incontri decisivi per la vita del protagonista: quello con Alvise Mattolini, lo psichiatra che lo prende in cura e riconosce la sua schiettezza e la sua dolcezza di fondo, e quello con Teresa Balugani, una giovane paziente di cui Liborio si innamora ma che, affetta da una forma grave di depressione, si suicida gettandosi nel vuoto dall'ultimo piano dell'ospedale, prima che la loro relazione possa prendere davvero quota: un altro dei "segni neri" che inchiodano Liborio alla sua eterna infelicità.
 Dal manicomio l'ex operaio esce ormai sessantenne: non gli resta, a quel punto, che fare ritorno al paese natale per vivere, nella sua vecchia casa, della modesta pensione che ha maturato. Lì, sempre più solo, sempre più svagato, sempre più eccentrico - oggetto dello scherno dei ragazzi del posto -, Liborio diventa noto a tutti come cocciamatte, "testa pazza", gira per le strade con le tasche piene di sassi per non farsi trascinare via dal vento, legge e rilegge l'unico libro che abbia mai posseduto, Cuore di Edmondo De Amicis, si nutre della contemplazione della natura e di immaginarie visioni popolate di tutti coloro che ha incrociato durante la sua lunga esistenza e che hanno contato qualcosa per lui. 
 Giunto oltre gli ottant'anni, a ridosso della contemporaneità, il nostro protagonista-narratore comincerà a raccontare la sua storia turbolenta e commovente: ciò che rimarrà di lui dopo la sua morte, arrivata infine nel 2010.
 Il romanzo è bello, ma il lettore odierno è poco abituato ad avere a che fare con libri di matrice sperimentale come questo; e all'inizio, invero, la lettura può risultare piuttosto faticosa, fra l'idioma semi dialettale del narratore, la quasi totale assenza di punteggiatura, le frequenti sgrammaticature che sono parte integrante dell'impasto linguistico ideato da Remo Rapino. 
 Tuttavia, dopo che ci si è abituati a questo stile e al passo narrativo impetuoso, quasi torrentizio di queste pagine, la voce gentile di Liborio Bonfiglio e la sua storia riescono davvero a conquistare e a far innamorare di sé; e poi bisogna riconoscere che il protagonista risulta assolutamente memorabile nell'ambito della nostra letteratura recente. 
 Insomma, siamo di fronte a un libro che merita di essere letto e valorizzato più di tanti testi modellati sui gusti attuali del pubblico, e perciò sicuramente accattivanti, ma certo meno originali e autentici di questo.

Voto: 7  

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