domenica 15 novembre 2020

Antonio Tabucchi, "Sostiene Pereira", Feltrinelli

  

 
 Oggi voglio parlare di un romanzo uscito più di venticinque anni fa, che per pulizia stilistica, efficacia narrativa e valore civile si può a buon diritto considerare un classico contemporaneo, ma che ultimamente risulta poco letto e poco antologizzato: Sostiene Pereira di Antonio Tabucchi.
 La vicenda di cui il libro consta è nota: nella torrida estate portoghese del 1938, Pereira, un maturo giornalista che, dopo essersi occupato per quasi trent'anni di cronaca nera per un grande quotidiano, è stato chiamato a dirigere la pagina culturale di un piccolo giornale del pomeriggio di ispirazione cattolica ma formalmente indipendente, il "Lisboa", conosce Francesco Monteiro Rossi, un giovane neolaureato, mezzo portoghese e mezzo italiano, rimasto da poco orfano di entrambi i genitori, che ha scritto una tesi sulla morte. Pereira - che è vedovo da molti anni, praticamente non ha amici, e si confida quasi solo con un vecchio ritratto fotografico di sua moglie che tiene sopra la libreria all'ingresso del proprio appartamento - è ossessionato dall'idea della morte, un po' perché la sente non troppo lontana da sé (è sovrappeso e cardiopatico, e forse non gli rimane molto da vivere), un po' perché, da buon cattolico, pur essendo convinto della resurrezione dell'anima, è turbato dal problema della resurrezione della carne. 
 Così Monteiro Rossi - in cui Pereira rivede se stesso al tempo degli studi a Coimbra, e che per età potrebbe essere il figlio che lui e la moglie non hanno mai avuto - conquista la sua simpatia, tanto da portarlo a concepire l'idea di prenderlo presso di sé come praticante e di affidargli una rubrica sulle ricorrenze e la stesura dei necrologi anticipati (i cosiddetti coccodrilli) dei grandi scrittori europei che hanno raggiunto un'età tale da lasciar suppore che la loro scomparsa non sia lontana. 
 Il fatto è che Monteiro Rossi, in realtà, non ha alcuna confidenza con la morte e con la sua funzione livellatrice e pacificatrice: la sua tesi è stata in gran parte copiata (da Feuerbach e da altri filosofi) ed egli, stimolato da Marta, l'incantevole ragazza dai capelli color rame di cui è innamorato, sembra non poter fare a meno, in ogni articolo che propone a Pereira, di mettere in relazione la sostanza letteraria degli autori presi in considerazione con la loro statura morale, ideologica e politica: tutti i suoi necrologi risultano in questo modo impubblicabili. Del resto, se si guarda a uno scrittore non come a un monumento, ma come a un uomo, vale a dire pensando non alla morte, ma alla vita, è inevitabile prendere in considerazione anche la sua impostazione ideologica di fondo.
 E poi, come si fa ad ignorare che nell'Europa della fine degli anni trenta non si può concepire una cultura svincolata della politica e dalla morale? Monteiro Rossi lo intuisce grazie a Marta, che è un'attivista schierata a favore della causa repubblicana nella guerra civile che infuria nella vicina Spagna, e dalla quale si lascia convincere a impegnarsi nel reclutamento di volontari pronti a partire per combattere contro i franchisti nelle brigate internazionali. Pereira, invece, è costretto a prenderne atto quando, dopo aver pubblicato sulla sua pagina culturale un racconto di Alphonse Daudet dall'impostazione filofrancese ambientato ai tempi della guerra franco-prussiana del 1871, riceve un severo rimprovero da parte del direttore del suo giornale, che di fatto lo esautora dal suo ruolo di responsabile della cultura: infatti, nel Portogallo salazarista, alleato dei franchisti, simpatizzante di Hitler e di Mussolini, risulta semplicemente intollerabile esprimere un'opinione anche solo vagamente filofracense e obliquamente contraria alla Germania.
 Ma l'azione dei nazionalisti di Salazar non si limita alla censura: quando Monteiro Rossi, ormai ricercato dalla polizia per la sua opera di reclutamento di volontari per la guerra civile spagnola, trova rifugio in casa di Pereira, l'anziano giornalista vede irrompere nel suo appartamento tre squadristi che gli puntano un'arma addosso, portano Monteiro Rossi in camera da letto e picchiano fino alla morte il ragazzo. Affranto e scioccato, ma ancora lucido, Pereira decide allora di raccogliere tutto il suo coraggio, di gettarsi alle spalle la prudenza che ha sempre caratterizzato la sua condotta e di giocare un'ultima beffa al regime grazie a uno stratagemma, sfruttando il suo ruolo di giornalista, prima di cercare di abbandonare per sempre il suo amato Paese. 
 
Antonio Tabucchi
 
 La finezza letteraria e la felicità d'invenzione si colgono già nell'impostazione di fondo e nella scelta del narratore: la storia viene infatti raccontata in terza persona da un narratore esterno, assolutamente ben documentato ma niente affatto onnisciente, sulla base della testimonianza diretta del protagonista. 
 Così, il punto di vista di Pereira risulta assolutamente pervasivo, eppure è come se il lettore venisse invitato con scrupolo cronachistico a mantenere un piccola distanza critica da quanto viene riportato (la sottigliezza di quel "sostiene" ripetuto in continuazione è eccezionale); tale distanza critica, tuttavia, più che a mettere in dubbio quello che Pereira riferisce, serve a rafforzare il senso di verità del racconto, sulla base delle prove documentarie a cui si fa cenno (i "necrologi anticipati" di Francesco Monteiro Rossi che Pereira ha conservato in una cartella) e dell'evidente affidabilità del testimone.
 I personaggi, poi, vengono costruiti tutti con una tecnica che si basa su pochi tratti caratterizzanti, come rapide pennellate, capaci di attribuire a ciascuno di essi una collocazione precisa nell'universo di Pereira, l'unica figura dotata di una fisionomia molto più complessa: Monteiro Rossi, timido e appassionato, sempre propenso a seguire le "ragioni del cuore" e a guardare alla vita anziché alla morte; la pasionaria Marta, spigliata e petulante, dalle belle spalle bianche e dai capelli ramati; il camerire Manuel del cafè Orquidea, pronto come un gazzettino a riportare le notizie della guerra civile spagnola che non compaiono sui giornali portoghesi; padre Antonio, lo sbrigativo francescano dalle idee progressiste che è l'unico vero amico di Pereira; il dottor Cardoso, dietologo e psicologo, formatosi in Francia e capace di incoraggiare la "rinascita spirituale" del protagonista; la portiera dell'edificio dove ha sede la redazione culturale del "Lisboa", sgradevole e impicciona, probabile informatrice della polizia; il direttore del giornale, rozzo, ipocrita, prepotente, filofascista; e così via.
 Curioso è il fatto che, pur essendo tutti caratterizzati da un analogo schematismo, i personaggi "positivi" sono più facilmente identificabili, sono umani, hanno un volto, mentre quelli "negativi" si riducono all'atteggiamento che sanziona la loro sgradevolezza, quasi abbiano volontariamente rinunciato alla propria umanità.   
 L'aspetto più interessante del meccanismo narrativo concepito da Tabucchi, però, è un altro, e consiste nel fatto che Sostiene Pereira è un romanzo che riesce a "ribaltare" se stesso: il fascino di Pereira, nella Lisbona apatica e decadente degli anni trenta del Novecento, consiste nel suo tenere lo sguardo rivolto al passato, agli anni dell'Università a Coimbra, alla moglie morta di tisi, ai ricordi delle speranze di un tempo, agli amati scrittori francesi dell'Ottocento, coltivando le proprie intime riflessioni sulla morte o i propri dubbi sul fatto di essere o meno un buon cattolico. E tuttavia, grazie all'impulso datogli dalla comparsa di Monteiro Rossi (e poi anche da Marta e dal dottor Cardoso), il protagonista trova proprio nel suo passato gli stimoli per ricominciare a "frequentare il futuro" (questa l'espressione usata durante una conversazione fra Pereira e Cardoso): nei racconti di Balzac e Daudet, Pereira scopre una chiave per giudicare il presente, nel ricordo di sua moglie e nelle immaginarie conversazioni con lei scopre la propensione ad aiutare Monteiro Rossi come se fosse un figlio, nelle sue riflessioni sulla morte scopre il coraggio per ribellarsi a chi vorrebbe imporre al Portogallo intero la morte della coscienza, nell'onesto esercizio di istanze squisitamente culturali scopre la radice di ogni franca passione civile.
 Un libro imperniato sul più malinconico dei personaggi riesce in questo modo a diventare uno sfavillante manifesto a favore di una concezione della cultura come inevitabile strumento di impegno civile e politico.

In poche parole: la storia di Pereira, anziano e mite giornalista che - nella Lisbona del 1938, sotto la dittatura di Salazar - riscopre, grazie all'esempio di un giovane praticante che potrebbe essere suo figlio, il valore della cultura come strumento per coltivare una coscienza democratica e come mezzo di ribellione nei confronti dell'autoritarismo, si configura come un manifesto a favore dell'impegno civile degli intellettuali non solo per via di elementi contenutistici, ma anche grazie a raffinati procedimenti formali. In particolare, è il caso di citare: lo scrupolo cronachistico con cui, nella finzione narrativa, si cerca di "oggettivare" la vicenda riportata dal protagonista, plasmando un narratore esterno ma non onnisciente; l'abilità nel connotare i personaggi attraverso pochi tratti caratterizzanti, che consentono di stabilire un netto discrimine tra "buoni" e "cattivi"; il ribaltamento della situazione iniziale che trasforma Pereira da malinconico prigioniero del passato in coraggioso "frequentatore del futuro".
 
Voto: 7,5

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