domenica 18 aprile 2021

Maria Grazia Calandrone, "Splendi come vita", Ponte alle Grazie


 Splendi come vita è uno dei libri più originali pubblicati in Italia negli ultimi tempi. Sebbene la sostanza del testo sia correntemente narrativa ed esso sia classificato come romanzo autobiografico, siamo di fronte a tutti gli effetti a un prosimetrum, vale a dire a una scrittura di natura ibrida, in cui gli a capo "inattesi" (così vengono definiti nella Nota dell'Editore posta in esergo) e le spaziature che rompono e scandiscono lo specchio della pagina isolano frasi o frammenti di frasi che pesano come veri e propri versi - e a volte addirittura come sequenze di versi.
 Del resto l'ibridismo non è qui soltanto un'evidenza tipografica, ma anche un dato di fatto stilistico: l'afflato lirico, incorporato nel racconto, è nello stesso tempo un approccio conoscitivo e un approdo espressivo, che consente di individuare e di dire verità che sfuggono al puro e semplice resoconto degli accadimenti.
 La storia narrata da Maria Grazia Calandrone è quella del complesso e tormentato rapporto con la propria madre adottiva, peraltro intensamente amata. L'autrice, figlia naturale di Lucia, una donna morta suicida nelle acque del Tevere per disperazione, dopo essere stata abbandonata dall'uomo per il quale aveva lasciato il marito - che l'aveva denunciata per concubinaggio -, fu adottata a soli otto mesi dalla bionda Consolazione, insegnante già vicina ai cinquant'anni ma bellissima e d'aspetto tale da dimostrare vent'anni di meno. 
 Moglie di Giacomo, eroe della guerra di Spagna nelle Brigate Internazionali, partigiano fra i garibaldini, dirigente del Partito Comunista Italiano e deputato al Parlamento nazionale, Consolazione non aveva avuto figli; l'arrivo nel 1965 di Maria Grazia innescò in lei un turbine di sentimenti che si tradussero presto in un eccesso di affetto e di trepidazione, in un frainteso senso di responsabilità che la portò fra l'altro a confessare alla bambina attonita, quando aveva solo quattro anni, di non essere la sua "vera madre".
 L'ansiosa dichiarazione non provocò nella piccola particolari scompensi, se non la nascita precoce di un atteggiamento protettivo nei confronti di Madre (così, con termine assoluto enfatizzato dalla maiuscola, viene sempre definita Consolazione nel romanzo), di cui Maria Grazia intuì oscuramente ma immediatamente la segreta debolezza, la paura tenuta a bada. Questo atteggiamento emotivo la accompagnerà lungo tutta l'infanzia e sarà ulteriormente acuito dalla morte precoce di Giacomo, nel 1975, con Maria Grazia appena undicenne.
 La costante apprensione di Madre e il traumatico evento che di fatto concluse la sua infanzia non impediscono alla protagonista-narratrice di ricordare con piacere i propri anni di bambina, rivissuti - come forse accade per tutti noi - attraverso episodi memorabili ed emblematici che, nel ricordo, appaiono circonfusi di un'aura quasi mitica, pur nella loro domesticità.
 
Maria Grazia Calandrone
 
 Più complicata risulta invece l'adolescenza della protagonista, durante la quale il rapporto con Consolazione, già reso difficoltoso dall'inquietudine mai veramente domata della donna e dal suo stato di vedovanza (abbracciato come un destino, tanto da portare Madre ad allontanare da sé senza troppi complimenti i diversi spasimanti che le ronzavano attorno), viene ulteriormente inasprito da quello che a poco a poco si paleserà come un profondo disagio psicologico sconfinante a tratti in una vera e propria patologia mentale.
 Da qui le esagerate reazioni a ogni piccolo contrasto, il tentativo di allontanare la figlia adottiva da amici e amiche ingiustamente e assurdamente ritenuti debosciati, la decisione di chiudere Maria Grazia in un collegio di suore e, più tardi - con la protagonista già giovane adulta -, le punizioni che fanno seguito alla più piccola infrazione nelle norme e degli orari stabiliti (un ritardo di pochi minuti poteva costare a Maria Grazia una notte intera chiusa fuori dalla porta di casa), l'accusa totalmente campata in aria di aver preso parte a una rapina a mano armata, la denuncia della figlia per percosse.
 E poi, con la definitiva crescita dell'una e l'invecchiamento dell'altra, l'approdo non già a una normalizzazione (che è la morte di ogni affetto autentico), bensì a una più profonda comprensione reciproca fra madre e figlia, in cui sfocia e si scioglie il groviglio di sentimenti - talvolta anche contrastanti - che ci legano alle persone in definitiva veramente amate.
 Fin qui i fatti che vengono ricostruiti. Come detto, però, più degli eventi narrati conta in questo libro l'espressione degli stati d'animo che quei momenti hanno reso reali. Così il racconto, tramato dello sforzo di mettere in ordine gli eventi a beneficio della tranquilla meticolosità dell'esposizione, si fa a tratti vibrante, scaldato dal rivivificarsi di emozioni un tempo turbinosamente attraversate e fatte proprie da Maria Grazia in tutta la loro pienezza. Come quando l'autrice parla di se stessa dodicenne che, nel 1976, si nasconde sotto il letto quasi a celarsi alla propria coscienza per paura di crescere. Il racconto dell'episodio viene coronato e compendiato da una massima intensamente lirica, la cui effusione trascolora anche graficamente nella poesia:
 
"Tempo, lasciami qui, in questa solitudine amante, in questo incondizionato
comprendere. Come maneggiare gli oggetti ipersensibili che vivono dentro i bambini?"
 
 Pare dunque che nella visione letteraria di Maria Grazia Calandrone la prosa sia il terreno del resoconto, della descrizione, dell'argomentazione; mentre le verità richiedono la poesia, le sue sospensioni, le sue enfatizzazioni:
 
"Vedo il tempo prezioso della vita di Madre
sprecato
a soffrire per niente. Ogni giorno, per niente, questo essere umano
non smette di morire sotto i miei occhi. Ogni giorno. Per anni. In molti
imprevedibili modi."
 
 Si procede in questo modo fino alle due liriche finali, che sigillano quello che personalmente sono restio a definire un romanzo, e che mi sembra possa essere piuttosto assimilato a una confessione, non certo nel senso religioso del termine, ma in un'accezione comunque a suo modo profondamente mistica. Ecco quindi alcuni dei versi più significativi della poesia finale:
 
"Davvero, Mamma, non sappiamo niente
e non siamo che corpo e non siamo
più in nessun luogo, dopo, probabilmente
 
e questo precipizio di parole
non è buono a rifare
neanche una molecola del tuo sorriso.
Era vivo, il tuo corpo, e lo guardavo
come si guarda la casa
distesa nella luce del tramonto e il colle
dove stiamo tornando.
 
Faticavo a raggiungerti, alla fine. Ma eri vita
accessibile, vita dovuta e vita che ho dovuto
lasciar andare. Addio, Mamma, Addio
           professoressa.
 
Senza difese, torni
vita che splende.
Senza difese, splendi come vita."
 
In poche parole: basato sul racconto del rapporto profondo e tormentato tra l'autrice e la sua madre adottiva, Splendi come vita è uno dei libri più originali pubblicati in Italia negli ultimi tempi. Sebbene la sostanza del testo sia correntemente narrativa ed esso sia classificato come romanzo autobiografico, siamo di fronte a tutti gli effetti a un prosimetrum, vale a dire a una scrittura di natura ibrida, in cui gli a capo "inattesi" (così vengono definiti nella Nota dell'Editore posta in esergo) e le spaziature che rompono e scandiscono lo specchio della pagina isolano frasi o frammenti di frasi che pesano come veri e propri versi - e a volte addirittura come sequenze di versi. 
Quasi che l'afflato lirico, incorporato nel racconto anche al di là dell'evidenza tipografica, sia uno strumento indispensabile per dire verità altrimenti inesprimibili, sfuggenti al puro e semplice resoconto degli eventi. 
 
Voto: 7,5  

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