sabato 11 giugno 2022

Jana Karsaiova, "Divorzio di velluto", Feltrinelli


 Bratislava, dicembre 2005: Katarina è una ragazza slovacca di 27 anni, laureata in lingua e letteratura italiana, che è tornata a casa a passare il Natale con i genitori. Rivedere le strade, i palazzi, i locali della sua città, in cui è stata bambina e adolescente, e attraverso l'ottica della quale ha vissuto tutti i profondi cambiamenti che hanno investito il suo Paese all'inizio degli anni novanta (lo sgretolarsi del regime socialista cecoslovacco prima e la scissione fra Repubblica Ceca e Slovacchia poi), la riempie di una malinconia dolceamara.
 I motivi di questo contrastato sentimento sono molteplici: Katarina, che ora - dopo il matrimonio con il ceco Eugen - vive a Praga, dove tiene un corso di italiano all'Università, rimpiange l'equilibrio che aveva trovato negli anni del liceo e dell'università, quando lo studio appassionato della lingua italiana - utilizzata come un gergo per iniziati - le permetteva, insieme al suo piccolo gruppo di compagne di scuola e amiche, di neutralizzare l'asprezza invadente dell'insorgente nazionalismo slovacco e, nel contempo, di coltivare sobriamente il senso della propria appartenenza nazionale senza dare peso al provinciale disprezzo dei cechi verso gli ex compatrioti. 
 Ora quell'equilibrio è rotto: Katarina, a Praga, è la "moglie slovacca" di Eugen, e deve spesso sorbirsi il greve umorismo degli amici del marito sulla goffaggine dei suoi connazionali, e il gruppo delle sue amiche italianiste si è disperso: qualcuna è diventata mamma, qualcun'altra ha abbandonato lo studio della lingua di Dante, mentre Viera, l'amica del cuore e principale confidente di Katarina, si è trasferita in Italia, all'Università di Verona, dopo avere vinto una borsa di studio.
 La vittoria della borsa di studio è stata motivo di attrito tra Viera e Katarina, che sospetta che l'amica abbia ricevuto una dritta per aggiudicarsi il bando da Barbara D'Angelo, la loro ammiratissima professoressa di italiano, con cui Viera aveva iniziato una segreta relazione omoerotica.
 Ci sono però anche altre due ragioni per le quali Katarina annega nella malinconia: una è la profonda crisi che sta attraversando il suo matrimonio con Eugen, che da alcune settimane ha abbandonato la loro casa per una "pausa di riflessione", e che in realtà ha forse già un'altra donna. L'altra è la lontananza della sorella maggiore Dora - da sempre un punto di riferimento per Katarina - che sette anni prima si è trasferita negli Stati Uniti dopo aver tagliato i ponti con la famiglia di origine, e che da alcuni mesi ha smesso anche di inviare le laconiche email con cui dava telegraficamente a Katarina notizie di sé.
 La crisi con Eugen viene da lontano; infatti, non è che l'uomo fosse sempre presente per la moglie, prima della separazione: il lavoro lo portava spesso a Londra, e d'altra parte non erano mancati contrasti nel rapporto di Katarina con la famiglia di lui, molto benestante, molto borghese, molto praghese, assai lontana dalle radici culturali della ragazza; ma fra i due giovani c'era un amore autentico e reciproco, e Katarina sentiva la sicurezza di essere stata scelta da Eugen in piena autonomia.
 Il silenzio di Dora, invece, è come se sottraesse a Katarina una parte di sé: il suo sguardo e la sua felicità semplice di bambina, la sensazione di sentirsi protetta anche quando i genitori non la capivano o non si dimostravano all'altezza del proprio compito.
 
Jana Karsaiova
 
  In più, nei giorni in cui si svolge la storia, è come se la placidità del Natale facesse venire a galla tutte le questioni irrisolte fra la protagonista e la sua famiglia: la vena polemica e perbenistica della madre, che sembra sempre rimproverare alle figlie femmine di non essersi volute adeguare al modello di donna tradizionale da lei rappresentato; l'inettitudine del padre, ex professore di Storia in un istituto tecnico, incapace di superare il trauma del crollo del Socialismo reale, maldestro nel cercare di nascondere la sua predilezione per la figlia Dora, incline ad affogare le sue delusioni nell'alcol.
 Solo il ritrovamento di Viera e il riaccendersi dell'antica confidenza fra le due amiche sembra offrire a Katarina un appiglio per uscire dal pantano in cui si sente sprofondare. Viera le racconta la sua esperienza bella ma non facile dell'Italia e la sua tormentata relazione con la D'Angelo, e ascolta da Katarina la storia del lento spegnersi del suo amore con Eugen. L'affiatamento riscoperto è tale che Viera invita Katarina a passare il Capodanno con lei in Italia.
 La vacanza italiana di Katarina, conclusa dalla tragica notizia della morte di un amico comune suo e di Eugen, convincerà la protagonista della necessità di prendere atto - dolorosamente ma coraggiosamente - della fine ineluttabile della sua storia con Eugen con tutta la dignità e il buon senso possibili, per riprendere in mano la sua vita, ricucire i fili spezzati di tutti i suoi affetti antichi e accettare di aprirsi fiduciosa al mondo, come anche il suo Paese dovrebbe fare.
 Il suo sarà insomma un "divorzio di velluto", un trauma attutito capace di proiettarla verso un futuro complicato e affascinante, esattamente come la rivoluzione dalla quale la sua patria è nata.
 Il romanzo è interessante, perché come pochi riesce a sposare la grande storia - ancora piuttosto recente - della fine del Comunismo nei Paesi dell'est, e la storia particolare ed esemplare di una ragazza la cui adolescenza e giovinezza sono state anche frutto di quell'evento epocale e che, sulla scorta di quel bagaglio culturale, si trova ad affrontare le sfide e i problemi dell'età adulta.   
 Lo stile è semplice e piacevole, e la narrazione in terza persona risulta perfettamente funzionale tanto a quei mutamenti del punto di vista che consentono di spostarsi da un luogo a un altro o da una situazione a un'altra, quanto al bisogno di frapporre al racconto quelle precisazioni didascaliche talvolta necessarie in un'opera così articolata.
 Manca forse solo quel guizzo che rende un libro capace di "salarti il sangue".

In poche parole: Katarina è una ragazza di Bratislava, divenuta una studiosa di lingua e letteratura italiana che, cresciuta negli anni del crollo del Socialismo Reale e della dissoluzione della Cecoslovacchia, nel cuore degli anni Duemila vive i propri problemi di adulta sulla scorta del bagaglio culturale che quel trauma attutito e, insieme, l'amore coltivato sui libri nei confronti del nostro Paese le hanno lasciato. Il libro vive di fascinazioni sottili e di intriganti cortocircuiti: è bello, si legge tutto d'un fiato e offre uno sguardo sull'Italia e sugli italiani decisamente diverso da quelli a cui siamo abituati; anche se, forse, non è capace di quel guizzo tipico delle opere che sanno "salare il sangue" al lettore. 
 
Voto: 6,5

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