domenica 15 novembre 2015

Angelo Mellone, "Nessuna croce manca", Baldini e Castoldi


 Il titolo ungarettiano è molto bello, e viene astutamente utilizzato per caricare di drammatica e dolente suggestione la parabola della destra italiana negli ultimi 25-30 anni. Il libro rappresenta infatti uno scoperto tentativo di dare dignità letteraria alla storia recente del neofascismo e del postfascismo nel nostro Paese.
 La vicenda raccontata da Angelo Mellone (palestratissimo giornalista della Rai Tv) vede come protagonisti quattro ragazzi di Taranto – Claudio, Dindo, Chiodo e Valeria detta Gorgo –, che nella seconda metà degli anni ottanta, grazie all’influenza del padre di Gorgo, “il Professore”, storico militante della destra sociale che ha abbandonato l’Msi in polemica con i vecchi camerati, cominciano a gravitare in quell’area politica e decidono di iscriversi all’organizzazione giovanile missina “Fare fronte”.
 Claudio e Chiodo sono di famiglia operaia, Dindo e Gorgo di origine borghese, ma tutti sentono un’identica voglia di ribellismo e tutti nutrono il medesimo bisogno di essere diversi e radicalmente “contro”: gli ambienti che frequentano e la loro formazione culturale, sullo sfondo della città del Siderurgico e del mare inquinato, determinano il tenore di quel ribellismo e il colore di quella diversità. Così, la militanza nelle file degli ultras del Taranto calcio insegna loro ad essere protervi; la lettura dei testi di Julius Evola modella l’immagine delle persone che vorrebbero diventare.
 Le circostanze imprimeranno in realtà curvature molto diverse a quelle che i quattro ragazzi immaginano come vite parallele: nell’estate dei suoi sedici anni, quella del 1989, Gorgo verrà messa incinta dal chitarrista di un gruppo rock, e non potrà partecipare, pochi mesi più tardi, al tentativo dei suoi tre amici, a bordo di una scassatissima autovettura, di raggiungere Berlino per celebrare la caduta del Muro e festeggiare la fine del comunismo.
 Claudio, Dindo e Chiodo saranno bloccati da un guasto al motore poco prima di Pescara, ma questo non impedirà loro di arrivare molto più lontano nella vita: seguendo le diverse trasformazioni subite dal Msi sotto la guida di Gianfranco Fini, Claudio diventerà addirittura un deputato della Repubblica; Dindo − forse il personaggio che più da vicino ricorda l’autore del libro −, assai più radicale dell’amico (con cui finirà per rompere) nelle sue prese di posizione, e più critico nei confronti di quelli che considera i traditori dell’eredità missina, farà carriera accademica, fino ad essere un giovane, stimatissimo professore di linguistica alla Sapienza di Roma, e un apprezzato commentatore televisivo; Chiodo, trasferitosi anch’egli nella capitale, smetterà di fare l’operaio per diventare tatuatore – uno dei più ricercati e “alla moda” sulla piazza.
 Tutti questi successi, però, non possono cancellare la profonda nostalgia per i loro antichi trascorsi, il loro ardore giovanile, la loro grande amicizia e il loro sodalizio ideologico. Soprattutto, ripensando al gruppo che furono, pesa nei tre giovani la mancanza di Gorgo, sparita quasi senza lasciare traccia; e in particolare è Dindo, che era segretamente innamorato di lei (e segretamente ricambiato), a serbarne il ricordo dentro di sé.

Angelo Mellone

 La ricomparsa di Valeria – ma sarebbe forse meglio dire del suo fantasma – sarà quanto mai rocambolesca: la figlia concepita in giovanissima età, Chiara, diventata ormai una ragazza di ventidue anni, venuta a conoscenza dello sfortunato amore adolescenziale della madre, si presenterà ai corsi universitari di Dindo appositamente per sedurre il professore, e per vivere con lui la storia che sua madre non ha trovato il coraggio di cominciare.
 Rimasta a sua volta incinta, Chiara deciderà di abortire (come Gorgo non aveva avuto il coraggio di fare); non prima, però, di aver propiziato, con l’aiuto di Chiodo, una reunion della madre e dei suoi tre vecchi amici, affinché Chiodo, Claudio e Dindo (finalmente rappacificatisi) possano compiere, nel 2012 e questa volta anche in compagnia di Gorgo, il viaggio verso Berlino interrotto nel 1989.
Il cerchio della storia si chiude così col ritorno al punto in cui tutto era cominciato; ma questa volta, sullo sfondo, non c’è il crepuscolo del comunismo, bensì quello del berlusconismo.
 Il romanzo, piuttosto intrigante nella prima parte, si spappola nell’inverosimiglianza di un finale da feuilleton, dettato da un lato dall’ansia di sancire simbolicamente il compimento di un percorso, dall’altro dal tentativo di trasfigurare in termini sentimentali una traiettoria umana e politica che altrimenti potrebbe apparire abbastanza mediocre.
 In più, se uno degli scopi del libro vorrebbe essere quello di dare presentabilità culturale all’ideologia figlia del fascismo, e affermare la positività dell’apporto della sua influenza sull’Italia contemporanea, c’è da registrare l’assenza ingiustificata di una riflessione vera sulle idee che di quella ideologia sono alla base, e sulla loro traduzione politica nella temperie della contemporaneità. Tutt’al più ci si accontenta di citazioni generiche degli autori di riferimento del fascismo “classico” e del neofascismo, da Robert Brasillach a Drieu la Rochelle, da Julius Evola a Ernst Jünger.
 Nulla, insomma, che possa indurre chi la pensa esattamente come gli estimatori degli autori sopra elencati o – tantomeno – chi la pensa in maniera diversa a mettersi in gioco con tutta la propria visione del mondo, aprendosi a un confronto serio con “l’altro”.
 In definitiva, la cifra caratteristica di quest'opera narrativa rimane quella dell'onanismo identitario.

Voto: 5

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