domenica 1 novembre 2015

Gianni Clerici, "Quello del tennis. Storia della mia vita e di uomini più noti di me", Mondadori


 Gianni Clerici è indubbiamente uno che se la tira (nonostante la sua capacità di sfoggiare a tratti una certa autoironia); la sua consapevolezza di appartenere a un’elite, per via del denaro, della cultura, dello stile di vita o delle ascendenze familiari, è per lui continuamente motivo di orgoglio, talvolta venato anche da un fastidioso classismo. E tuttavia se la tira con tale candore – come se avesse un intimo bisogno di esibire le sue qualità, i suoi meriti, i suoi successi, le sue frequentazioni, per avere conferma del proprio valore – che non gli si può volere male.
 Le leziosaggini del suo stile brillante, raffinato, oltranzisticamente digressivo, gustosamente citazionista paiono il riflesso linguistico di un modo di essere, che ha come aspetti principali la curiosità per le situazioni e i personaggi più originali, una spiccata sensibilità per l’eleganza, una naturale propensione al pettegolezzo e alla socialità che rendono i suoi testi sempre molto divertenti.  Potremmo definire Gianni Clerici una sorta di divagante flâneur della pagina scritta.
 Questa “bio-eterografia” (per usare la definizione dell’autore) sembra fatta apposta per esaltare tali caratteristiche: ripercorrendo la sua esistenza (a partire, prima ancora che dalla sua infanzia, dalle famiglie d’origine dei suoi genitori, entrambi altoborghesi ed entrambi comaschi), Clerici si sofferma spesso a lungo sulle figure degli amici più cari, sui personaggi e sui libri che più hanno contato nella sua formazione, sulle situazioni memorabili in cui si è trovato per avventura coinvolto, e ogni cosa diventa fonte di nuovi aneddoti che si legano l’uno all’altro portando sovente il lettore lontano dall’asse principale della narrazione.
 L’amore per il tennis, che ha informato di sé tutta la vita di Clerici, nacque all’Hanbury Tennis Club di Alassio, dove il piccolo Gianni soggiornava con la madre durante le lunghe trasferte del padre nell’Africa coloniale (per il suo redditizio commercio di idrocarburi), alternando le lezioni di francese dell’esule baronessa russa Korff agli allenamenti con la racchetta sotto l’occhiuta supervisione del severo Mister Sweet.
 La guerra passò senza particolari danni per la famiglia Clerici (le aziende in Africa erano state liquidate giusto in tempo); l’ultima fase del conflitto vide addirittura il padre attivo nelle file dell’antifascismo, e allo stesso Gianni, appena quattordicenne, capitò di trasportare nella custodia delle sue racchette da tennis le armi destinate ai partigiani che presidiavano la zona del Lago.
 Nel dopoguerra Gianni si trasformò in una autentica promessa del tennis italiano, fino alla partecipazione, nel 1953, al torneo di Wimbledon, nel quale fu peraltro eliminato al primo turno. Quando un insidioso virus mise precocemente fine alla sua carriera sportiva, Gianni si dedicò con la massima determinazione alla carriera giornalistica, che lo vide dapprima collaboratore della Gazzetta dello Sport e poi, a lungo, inviato del Giorno, sempre sotto l’ala protettrice del grande maestro e amico Gianni Brera.

Gianni Clerici

 Clerici, però, ha sempre rifiutato di definirsi un reporter o un cronista; la professione di giornalista, esercitata con il piglio e la libertà che gli consentivano le cospicue sostanze di famiglia è sempre stata da lui interpretata come un esercizio affine a quello dello scrittore, o se si preferisce del cantastorie. Questo gli ha permesso di forgiare per i suoi articoli (e per le indimenticabili telecronache in coppia con Rino Tommasi) un inconfondibile stile.
 Con l’andare degli anni, grazie, alla pratica diretta dello sport e allo studio assiduo, è diventato uno dei massimi esperti di tennis al mondo, consacrato come tale pochi anni fa dall’ammissione, da parte del Newport Tennis Club, alla Hall of Fame del tennis.
 Tutti questi fatti, però, rappresentano solo l’impalcatura del racconto. A contare molto di più, come detto, sono le digressioni, che possono riguardare figure come quelle di Gianni Brera, Ottavio Missoni, Nicola Pietrangeli, Ernest Hemingway o Hermann Hesse; luoghi, come le case abitate da Clerici in angoli diversi del mondo; vivacissimi episodi di vita vissuta che brillano nel ricordo, come il tentativo di introdursi nella casa di Helen Wills al seguito di Bud Collins dopo essersi presentato come suo autista, la ricerca di un battoir, antenato della racchetta, nel mercatino londinese di Portobello, o un racconto di Hemingway colto al volo dalla sua viva voce, sedendo accanto a lui a un tavolino di un bar di Pamplona.
 Sono queste cose a rendere caro il libro a chi sa apprezzare l'unicità di Gianni Clerici.

Voto: 6

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