Gianni Clerici è indubbiamente uno che se la tira (nonostante la sua capacità di sfoggiare a tratti una certa autoironia); la sua
consapevolezza di appartenere a un’elite,
per via del denaro, della cultura, dello stile di vita o delle ascendenze
familiari, è per lui continuamente motivo di orgoglio, talvolta venato anche da
un fastidioso classismo. E tuttavia se la tira con tale candore – come se avesse
un intimo bisogno di esibire le sue qualità, i suoi meriti, i suoi successi, le
sue frequentazioni, per avere conferma del proprio valore – che non gli si può
volere male.
Le leziosaggini del suo stile brillante, raffinato,
oltranzisticamente digressivo, gustosamente citazionista paiono il riflesso
linguistico di un modo di essere, che ha come aspetti principali la curiosità
per le situazioni e i personaggi più originali, una spiccata sensibilità per l’eleganza,
una naturale propensione al pettegolezzo e alla socialità che rendono i suoi
testi sempre molto divertenti. Potremmo definire Gianni Clerici una sorta di
divagante flâneur della pagina
scritta.
Questa “bio-eterografia” (per usare la definizione
dell’autore) sembra fatta apposta per esaltare tali caratteristiche:
ripercorrendo la sua esistenza (a partire, prima ancora che dalla sua infanzia,
dalle famiglie d’origine dei suoi genitori, entrambi altoborghesi ed entrambi
comaschi), Clerici si sofferma spesso a lungo sulle figure degli amici più
cari, sui personaggi e sui libri che più hanno contato nella sua formazione, sulle
situazioni memorabili in cui si è trovato per avventura coinvolto, e ogni cosa
diventa fonte di nuovi aneddoti che si legano l’uno all’altro portando sovente
il lettore lontano dall’asse principale della narrazione.
L’amore per il tennis, che ha informato di sé tutta la vita
di Clerici, nacque all’Hanbury Tennis Club di Alassio, dove il piccolo Gianni
soggiornava con la madre durante le lunghe trasferte del padre nell’Africa
coloniale (per il suo redditizio commercio di idrocarburi), alternando le
lezioni di francese dell’esule baronessa russa Korff agli allenamenti con la
racchetta sotto l’occhiuta supervisione del severo Mister Sweet.
La guerra passò senza particolari danni per la famiglia Clerici
(le aziende in Africa erano state liquidate giusto in tempo); l’ultima fase del
conflitto vide addirittura il padre attivo nelle file dell’antifascismo, e allo
stesso Gianni, appena quattordicenne, capitò di trasportare nella custodia
delle sue racchette da tennis le armi destinate ai partigiani che presidiavano la
zona del Lago.
Nel dopoguerra Gianni si trasformò in una autentica promessa
del tennis italiano, fino alla partecipazione, nel 1953, al torneo di
Wimbledon, nel quale fu peraltro eliminato al primo turno. Quando un insidioso virus
mise precocemente fine alla sua carriera sportiva, Gianni si dedicò con la
massima determinazione alla carriera giornalistica, che lo vide dapprima
collaboratore della Gazzetta dello Sport e poi, a lungo, inviato del Giorno,
sempre sotto l’ala protettrice del grande maestro e amico Gianni Brera.
Gianni Clerici
Clerici, però, ha sempre rifiutato di definirsi un reporter o un cronista; la professione
di giornalista, esercitata con il piglio e la libertà che gli consentivano le
cospicue sostanze di famiglia è sempre stata da lui interpretata come un
esercizio affine a quello dello scrittore, o se si preferisce del cantastorie.
Questo gli ha permesso di forgiare per i suoi articoli (e per le
indimenticabili telecronache in coppia con Rino Tommasi) un inconfondibile
stile.
Con l’andare degli anni, grazie, alla pratica diretta dello
sport e allo studio assiduo, è diventato uno dei massimi esperti di tennis al
mondo, consacrato come tale pochi anni fa dall’ammissione, da parte del Newport
Tennis Club, alla Hall of Fame del tennis.
Tutti questi fatti, però, rappresentano solo l’impalcatura del
racconto. A contare molto di più, come detto, sono le digressioni, che possono
riguardare figure come quelle di Gianni Brera, Ottavio Missoni, Nicola
Pietrangeli, Ernest Hemingway o Hermann Hesse; luoghi, come le case abitate da
Clerici in angoli diversi del mondo; vivacissimi episodi di vita vissuta che
brillano nel ricordo, come il tentativo di introdursi nella casa di Helen
Wills al seguito di Bud Collins dopo essersi presentato come suo autista, la
ricerca di un battoir, antenato della
racchetta, nel mercatino londinese di Portobello, o un racconto di Hemingway
colto al volo dalla sua viva voce, sedendo accanto a lui a un tavolino di un
bar di Pamplona.
Sono queste cose a rendere caro il libro a chi sa apprezzare l'unicità di Gianni Clerici.
Voto: 6
Nessun commento:
Posta un commento