domenica 22 novembre 2015

Gian Paolo Ormezzano, "I cantaglorie. Una storia calda e ribalda della stampa sportiva", 66th a2nd


 Piemontese, classe 1935, già direttore di Tuttosport, Gian Paolo Ormezzano è uno dei grandi vecchi del giornalismo sportivo italiano.
 Il suo ultimo libro rappresenta un tentativo di tracciare l’evoluzione dal secondo dopoguerra in avanti della professione che egli ha esercitato per più di 60 anni, e di mettere a fuoco i personaggi che più le hanno dato lustro.
 Il libro è interessante e a tratti anche appassionante, e si giova di una prosa molto efficace, precisa, fluida e piena di accenti personali (che scade solo quando Ormezzano – come talvolta gli capita – cerca di essere brillante a tutti i costi, e gigioneggia un po’); più perplesso mi lasciano i presupposti francamente antimodernisti da cui parte l’autore, convinto che l’avvento della televisione prima e di internet poi abbia completamente rovinato il giornalismo sportivo e, probabilmente, anche lo sport stesso (che un tempo − si lascia intendere – era sublimato dal suo racconto scritto, che più che l’appendice costituiva il compimento dell’evento sportivo, vissuto dagli appassionati innanzitutto proprio attraverso la lettura dei giornali).
 Il criterio seguito da Ormezzano per individuare le linee di sviluppo della stampa sportiva tiene dunque conto di questi presupposti, ed è basato sul progressivo mutamento dell’approccio da parte dei giornalisti alla materia da essi trattata.
 Si parte così da una prima fase, in cui i giornalisti amavano lo sport più di quanto lo conoscessero, e tendevano a raccontarne gli eventi con slanci lirici e fantastici più che sulla scorta di nozioni tecniche e della puntuale verifica dei dati di realtà; i protagonisti di questa fase erano dei veri e propri cantori, e quest’epoca si può appunto definire “epoca dell’amore”. Fra gli sport, protagonista assoluto fu il ciclismo, assai più popolare del calcio; non a caso, se si vuole individuare una data simbolica in cui questo periodo ha termine, si può prendere come punto di riferimento la morte di Fausto Coppi, il 2 gennaio 1960 (evento che vide casualmente Ormezzano, allora giovane inviato, al capezzale del Campionissimo).
 La seconda fase è quella che Ormezzano chiama “dell’erotismo”: i giornalisti continuano ad amare la propria professione e lo sport in generale, ma quest’ultimo diviene per loro soprattutto oggetto di studio, di attenta e a volte sottilissima analisi, di approfondimento in senso lato “culturale”; la stampa sportiva è chiamata a spiegare e a enfatizzare l’evento più che a provvedere a una sua mera descrizione a beneficio del lettore, e la sua funzione finisce per essere quella di un moltiplicatore della passione di tifosi e spettatori, che spesso già hanno potuto assistere alla competizione sportiva trattata negli articoli della stampa specializzata attraverso lo schermo del televisore. La data di passaggio da questa fase alla successiva si può forse fissare in corrispondenza della vittoria italiana ai Campionati del mondo di calcio nel 1982.
 La terza e ultima fase è quella definita “della pornografia” (senza dare necessariamente al termine pornografia una connotazione del tutto negativa, precisa Ormezzano, quasi che i giornalisti sportivi contemporanei fossero obbligati a ripiegare su questo approccio allo sport; ma non riesce a essere convincente fino in fondo). Qui i giornalisti sportivi si vedono trasformati in garanti della metamorfosi dell’evento sportivo in puro show.

Gian Paolo Ormezzano

 I retroscena e i relativi pettegolezzi, perciò, diventano importanti quanto la performance sportiva in sé; il gesto atletico viene visionato un’infinità di volte e praticamente “sezionato”, scomposto fotogramma per fotogramma ed esaminato in tutti i suoi particolari a beneficio degli spettatori; all’evento sportivo puro e semplice si sovrappone una serie di elementi (dai tifosi che fanno da cornice alla gara e finiscono per essere parte dello spettacolo, alle scommesse con cui l’appassionato si illude di conquistare una parte “attiva” nella dialettica agonistica…) volti a creare una sorta di “realtà aumentata”, che però tende in qualche modo a snaturare e a meccanizzare la percezione di quella che una volta era definita “realtà effettuale”.
 La “fase della pornografia” dura tuttora, e ha come numi tutelari una televisione il cui potere è cresciuto a dismisura e la sempre più invadente presenza dei multiformi contenuti veicolati dalla rete internet.
 I punti di riferimento cronologici che separano una fase dall’altra sono in realtà molto approssimativi, tanto da saltare spesso quando si tratta di riferire un protagonista a un periodo piuttosto che all’altro, all’interno della lunga galleria di ritratti con cui Ormezzano tratteggia il ricordo dei più grandi giornalisti sportivi dal dopoguerra in avanti. È questa, a mio parere, la parte di gran lunga più godibile e meglio riuscita del libro.
 Ad esempio, tra i “cantori” della fase amorosa viene annoverato un giornalista contemporaneo come Gianni Mura, mentre lo storico telecronista Rai delle gare ciclistiche Adriano De Zan viene inserito tra i “pornografi” (mentre forse entrambi starebbero meglio tra gli “erotisti”, per adottare il criterio di Ormezzano).
 Fra i ritratti più belli bisogna citare quello di Vittorio Pozzo (che, oltre a essere il commissario tecnico della nazionale italiana di calcio vincitrice per due volte di fila del Campionato del Mondo nel 1934 e nel 1938, fu a lungo uno stimato giornalista), impreziosito da alcuni personali ricordi dell’autore; quello di Carlin Bergoglio, torinese riservato, avarissimo, “onesto sino allo spasimo, al masochismo”, capace di tenere testa senza timore reverenziale agli Agnelli da direttore di Tuttosport e di cantare meglio di tutti le gesta di Coppi, nonostante tifasse per Bartali; quello di Gianni Brera, che ha soprattutto il pregio di non essere banalmente agiografico come quasi sempre sono i ritratti di Brera; quello di Gianni Minà, “l’italiano più conosciuto nel mondo da quasi mezzo secolo”, “classico esempio di talento disperso, sparpagliato” e “di simpatia espansa, a costo di sorridere anche ai fetenti”.
 E ancora, quello di Sergio Zavoli, quelli degli indimenticabili Ciotti e Ameri, quelli – per molti versi commoventi – di Maurizio Mosca (con Aldo Biscardi il re dei “pornografi”) e di Candido Cannavò, quello di Gianni Clerici e Rino Tommasi (trattati insieme e anch’essi coerentemente classificati tra i “pornografi”, seppur di un tipo del tutto diverso da quello di Biscardi e Mosca).
 Vi sono anche notevoli assenze, naturalmente; ma non potrebbe essere diversamente.
 Alla fine resta da chiedersi: in quale categoria Ormezzano porrebbe se stesso?
 Al lettore il compito di provare a darsi una risposta.

Voto: 6,5

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