domenica 24 gennaio 2016

Sandro Veronesi, "Non dirlo. Il Vangelo di Marco", Bompiani


 Si può rileggere un Vangelo come se fosse la sceneggiatura di un film di Quentin Tarantino? È proprio quello che prova a fare Sandro Veronesi, proponendo la sua originale rivisitazione del Vangelo secondo Marco.
 Per la verità, pare che in quest’ultimo periodo i testi sacri vadano particolarmente di moda presso gli intellettuali laici: di recente, nel suo Il Regno, anche Emmanuel Carrère ha approfondito la figura dell’evangelista Luca, sviluppandone romanzescamente il profilo fino a fargli assumere una inedita concretezza e un fascino tutto nuovo.
 Curioso è poi il fatto che, così come Carrère prova a spiegare alcune caratteristiche del Vangelo di Luca immaginando che il suo destinatario fosse un cittadino romano abbastanza danaroso da annoverare tra i propri clientes l’evangelista stesso, anche Veronesi ipotizza che Marco scrivesse principalmente per i romani, e che alcune delle scelte stilistico-retoriche riconoscibili nel suo testo siano direttamente derivanti da questa premessa.
 Io non sono in grado di dire se Veronesi abbia ragione: è assai difficile – per non dire impossibile − ricostruire con precisione l’orizzonte di attesa nell’ambito del quale furono concepiti i Vangeli; le congetture più o meno sottili attraverso cui si prova a indovinarlo risultano prive di qualsivoglia riscontro documentario.
 E tuttavia la prospettiva assunta dallo scrittore appare sicuramente funzionale a un’analisi del Vangelo marciano capace di farne emergere al meglio la forza espressiva e, per così dire, la modernità.  
 Marco fu il primo a narrare la storia di Gesù; lo fece probabilmente verso il 65 d.C. (dunque una trentina di anni dopo la morte di Cristo), mettendo per iscritto il racconto dei fatti che aveva raccolto da Pietro, di cui era seguace e per il quale agiva come luogotenente e “segretario”. Gli esegeti, del resto, ritengono che Marco avesse conosciuto personalmente Cristo, ma solo per poco, alla fine della sua avventura terrena: nel suo Vangelo, quando Gesù viene catturato nell’orto dei Getsemani da uomini armati condotti colà da Giuda, si descrive un ragazzino che, abbandonata la sua veste, fugge nudo, impaurito dal parapiglia che si scatena; ebbene, proprio di Marco si tratterebbe, perché nessuno se non colui che quell’esperienza ha vissuto, riuscirebbe a raccontare un episodio tanto vivido con una simile ricchezza di particolari.

Dal Vangelo di Marco: sgomento delle cosiddette tre Marie al Sepolcro, particolare della Maestà di Duccio di Buoninsegna

 Oltre a essere il primo dei Vangeli, quello di Marco è anche il più sintetico: non vi viene neppure riportato un episodio centrale della predicazione di Gesù come il cosiddetto “Discorso della Montagna”. Questo perché – fa notare Veronesi – Marco predilige l’azione e il ritmo alla parola.
Proprio qui sta uno dei tratti più moderni di Marco: la folgorante rapidità con cui riesce a descrivere Gesù in azione, la nettezza con cui Cristo viene colto in scene simili a indimenticabili fotogrammi, la fisicità e il dinamismo presenti in tanti episodi, la tendenza a evitare di indugiare troppo a lungo nella teoresi pura; tutte cose che rendono la sua narrazione di quanto accadde in Palestina duemila anni fa incalzante e sempre appassionante.
 Nella Versione di Marco, fra l’altro, il magnetismo di Gesù si basa principalmente sulla sua capacità di compiere esorcismi e miracoli, e sul mistero che circonda la sua figura più che sulla sostanza etica rivoluzionaria del suo messaggio; secondo Veronesi, in questo modo Marco voleva colpire i romani destinatari dei suoi scritti evitando che si annoiassero, non potendo essi cogliere tutti i riferimenti alla tradizione ebraica presenti nei discorsi di Gesù.
 Spesso sembra perfino che l’evangelista voglia enfatizzare gli aspetti avventurosi del suo racconto per avvincere ancora di più il lettore: pare ad esempio che Gesù e i suoi si muovano in Palestina come dei guerriglieri, spostandosi da un covo all’altro, senza mettere radici da nessuna parte per non diventare un facile bersaglio per i loro nemici giurati: gli scribi e i farisei.
 Soprattutto, però, Veronesi vede il punto di forza principale del Vangelo di Marco e il suo più evidente tratto di modernità nella scelta di rappresentare vivacemente l’incredulità e il disorientamento che possono cogliere chiunque di fronte all’ipotesi della fede e della sua aperta professione: gli apostoli stessi appaiono costantemente goffi e inadeguati di fronte all’agire di Gesù e ai compiti che egli assegna loro; non lo capiscono e non sono praticamente mai all’altezza delle sue aspettative; talvolta alcuni di loro fanno letteralmente la figura degli idioti.
 In questo modo sembra che Marco cerchi di mettere a proprio agio il neofita che è incuriosito dalla nuova religione, ma trova difficili da digerire alcuni dei suoi elementi sostanziali, primo fra tutti quello riguardante la Resurrezione di Cristo.  
 Anche Gesù è consapevole della difficoltà insita nel suo messaggio e di quella di coloro ai quali viene chiesto di credere; tanto è vero che il controcanto al disorientamento di coloro che ascoltano le parole di Cristo e assistono ai suoi miracoli sta nel fatto che, più volte, paradossalmente, Gesù chiede a coloro che dovrebbero essere incaricati della predicazione del suo verbo di mantenere il più assoluto riserbo sul suo operato. Non dirlo! Quante volte compare questa locuzione nel Vangelo di Marco?

Sandro Veronesi

 Si crea così un particolarissimo campo di tensioni tra l’operazione propagandistica che di fatto Marco sta compiendo con la diffusione del racconto della vita, della morte e della Resurrezione di Gesù e l’alone di mistero che finisce per avvolgere Cristo e la sua missione in terra.
 Il culmine della tensione si raggiunge alla fine, con quella che secondo molti esegeti è l’originaria conclusione del Vangelo di Marco, anche se posteriormente (forse nel II secolo dopo Cristo) sono stati aggiunti altri versetti che parlano delle apparizioni post mortem di Gesù ai discepoli e della sua ascensione al cielo. È domenica, e vi sono Maria di Magdala, Maria di Giacomo e Salome che si recano al sepolcro per ungere con oli aromatici la salma di Gesù, crocifisso il venerdì precedente. Lungo il cammino si chiedono chi le aiuterà a rotolare via dall’ingresso la pesante pietra che chiude il sepolcro. Quando giungono sul posto, però, notano che la pietra è già stata spostata e, avvicinandosi, trovano un giovane di bianco vestito “seduto sulla destra”, che invita le tre donne a non avere paura, annuncia la Resurrezione di Gesù e chiede loro di andare a dire ai discepoli che il Maestro li precederà in Galilea. Ma la chiusura è sorprendente: le donne fuggono, piene di spavento e di stupore, e - chiosa Marco - "non dissero niente a nessuno, perché erano impaurite”.
 L’operazione compiuta da Veronesi è molto curiosa, interessante e umanamente toccante, anche se è priva della profondità e della capacità di coinvolgere il lettore di quella – per certi versi analoga – condotta da Carrère.
 Tanto che, alla fine, rimane la sensazione di un approccio un po' troppo epidermico a un testo che offrirebbe molti altri spunti. Di positivo c'è però la voglia che il libro mette addosso di andare a confrontarsi nuovamente con la viva lettera del Vangelo di Marco anche sulla scorta di ciò che Veronesi pensa e dice.

Voto: 6-

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