Si può rileggere un Vangelo come
se fosse la sceneggiatura di un film di Quentin Tarantino? È proprio quello che
prova a fare Sandro Veronesi, proponendo la sua originale rivisitazione del
Vangelo secondo Marco.
Per la verità, pare che in
quest’ultimo periodo i testi sacri vadano particolarmente di moda presso gli intellettuali
laici: di recente, nel suo Il Regno, anche
Emmanuel Carrère ha approfondito la figura dell’evangelista Luca, sviluppandone
romanzescamente il profilo fino a fargli assumere una inedita concretezza e un
fascino tutto nuovo.
Curioso è poi il fatto che, così
come Carrère prova a spiegare alcune caratteristiche del Vangelo di Luca
immaginando che il suo destinatario fosse un cittadino romano abbastanza
danaroso da annoverare tra i propri clientes
l’evangelista stesso, anche Veronesi ipotizza che Marco scrivesse
principalmente per i romani, e che alcune delle scelte stilistico-retoriche
riconoscibili nel suo testo siano direttamente derivanti da questa premessa.
Io non sono in grado di dire se
Veronesi abbia ragione: è assai difficile – per non dire impossibile −
ricostruire con precisione l’orizzonte di attesa nell’ambito del quale furono
concepiti i Vangeli; le congetture più o meno sottili attraverso cui si prova a
indovinarlo risultano prive di qualsivoglia riscontro documentario.
E tuttavia la prospettiva assunta
dallo scrittore appare sicuramente funzionale a un’analisi del Vangelo
marciano capace di farne emergere al meglio la forza espressiva e, per così
dire, la modernità.
Marco fu il primo a narrare la
storia di Gesù; lo fece probabilmente verso il 65 d.C. (dunque una trentina di
anni dopo la morte di Cristo), mettendo per iscritto il racconto dei fatti che
aveva raccolto da Pietro, di cui era seguace e per il quale agiva come
luogotenente e “segretario”. Gli esegeti, del resto, ritengono che Marco avesse
conosciuto personalmente Cristo, ma solo per poco, alla fine della sua
avventura terrena: nel suo Vangelo, quando Gesù viene catturato nell’orto dei
Getsemani da uomini armati condotti colà da Giuda, si descrive un ragazzino che,
abbandonata la sua veste, fugge nudo, impaurito dal parapiglia che si scatena;
ebbene, proprio di Marco si tratterebbe, perché nessuno se non colui che
quell’esperienza ha vissuto, riuscirebbe a raccontare un episodio tanto vivido
con una simile ricchezza di particolari.
Dal Vangelo di Marco: sgomento delle cosiddette tre Marie al Sepolcro, particolare della Maestà di Duccio di Buoninsegna
Oltre a essere il primo dei
Vangeli, quello di Marco è anche il più sintetico: non vi viene neppure
riportato un episodio centrale della predicazione di Gesù come il cosiddetto
“Discorso della Montagna”. Questo perché – fa notare Veronesi – Marco predilige
l’azione e il ritmo alla parola.
Proprio qui sta uno dei tratti
più moderni di Marco: la folgorante rapidità con cui riesce a descrivere Gesù
in azione, la nettezza con cui Cristo viene colto in scene simili a
indimenticabili fotogrammi, la fisicità e il dinamismo presenti in tanti
episodi, la tendenza a evitare di indugiare troppo a lungo nella teoresi pura;
tutte cose che rendono la sua narrazione di quanto accadde in Palestina duemila
anni fa incalzante e sempre appassionante.
Nella Versione di Marco, fra l’altro,
il magnetismo di Gesù si basa principalmente sulla sua capacità di compiere
esorcismi e miracoli, e sul mistero che circonda la sua figura più che sulla
sostanza etica rivoluzionaria del suo messaggio; secondo Veronesi, in questo
modo Marco voleva colpire i romani destinatari dei suoi scritti evitando che si
annoiassero, non potendo essi cogliere tutti i riferimenti alla tradizione
ebraica presenti nei discorsi di Gesù.
Spesso sembra perfino che
l’evangelista voglia enfatizzare gli aspetti avventurosi del suo racconto per
avvincere ancora di più il lettore: pare ad esempio che Gesù e i suoi si
muovano in Palestina come dei guerriglieri, spostandosi da un covo all’altro,
senza mettere radici da nessuna parte per non diventare un facile bersaglio per
i loro nemici giurati: gli scribi e i farisei.
Soprattutto, però, Veronesi vede
il punto di forza principale del Vangelo di Marco e il suo più evidente tratto
di modernità nella scelta di rappresentare vivacemente l’incredulità e il
disorientamento che possono cogliere chiunque di fronte all’ipotesi della fede
e della sua aperta professione: gli apostoli stessi appaiono costantemente
goffi e inadeguati di fronte all’agire di Gesù e ai compiti che egli assegna
loro; non lo capiscono e non sono praticamente mai all’altezza delle sue
aspettative; talvolta alcuni di loro fanno letteralmente la figura degli idioti.
In questo modo sembra che Marco
cerchi di mettere a proprio agio il neofita che è incuriosito dalla nuova
religione, ma trova difficili da digerire alcuni dei suoi elementi sostanziali,
primo fra tutti quello riguardante la Resurrezione di Cristo.
Anche Gesù è consapevole della
difficoltà insita nel suo messaggio e di quella di coloro ai quali viene
chiesto di credere; tanto è vero che il controcanto al disorientamento di
coloro che ascoltano le parole di Cristo e assistono ai suoi miracoli sta nel
fatto che, più volte, paradossalmente, Gesù chiede a coloro che dovrebbero essere
incaricati della predicazione del suo verbo di mantenere il più assoluto
riserbo sul suo operato. Non dirlo!
Quante volte compare questa locuzione nel Vangelo di Marco?
Sandro Veronesi
Si crea così un particolarissimo
campo di tensioni tra l’operazione propagandistica che di fatto Marco sta
compiendo con la diffusione del racconto della vita, della morte e della
Resurrezione di Gesù e l’alone di mistero che finisce per avvolgere Cristo e la
sua missione in terra.
Il culmine della tensione si
raggiunge alla fine, con quella che secondo molti esegeti è l’originaria
conclusione del Vangelo di Marco, anche se posteriormente (forse nel II secolo
dopo Cristo) sono stati aggiunti altri versetti che parlano delle apparizioni post mortem di Gesù ai discepoli e della
sua ascensione al cielo. È domenica, e vi sono Maria di Magdala, Maria di Giacomo
e Salome che si recano al sepolcro per ungere con oli aromatici la salma di Gesù,
crocifisso il venerdì precedente. Lungo il cammino si chiedono chi le aiuterà a
rotolare via dall’ingresso la pesante pietra che chiude il sepolcro. Quando
giungono sul posto, però, notano che la pietra è già stata spostata e,
avvicinandosi, trovano un giovane di bianco vestito “seduto sulla destra”, che
invita le tre donne a non avere paura, annuncia la Resurrezione di Gesù e
chiede loro di andare a dire ai discepoli che il Maestro li precederà in
Galilea. Ma la chiusura è sorprendente: le donne fuggono, piene di spavento e
di stupore, e - chiosa Marco - "non dissero niente a nessuno, perché erano impaurite”.
L’operazione compiuta da Veronesi
è molto curiosa, interessante e umanamente toccante,
anche se è priva della profondità e della capacità di coinvolgere il lettore di
quella – per certi versi analoga – condotta da Carrère.
Tanto che, alla fine, rimane la sensazione di un approccio un po' troppo epidermico a un testo che offrirebbe molti altri spunti. Di positivo c'è però la voglia che il libro mette addosso di andare a confrontarsi nuovamente con la viva lettera del Vangelo di Marco anche sulla scorta di ciò che Veronesi pensa e dice.
Voto: 6-
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