domenica 31 gennaio 2016

Marilynne Robinson, "Lila", Einaudi


 Quando Lila Dahl arriva a Gilead e si sistema in una capanna abbandonata in mezzo a un campo ai margini della cittadina è una donna ancora giovane, ma ha alle spalle una vita avventurosa e vagabonda, che le ha insegnato a non fidarsi di nessuno e ad apprezzare la solitudine. Porta con sé un coltello affilatissimo e una coperta, e non possiede altri beni.
 Il suo cognome è inventato, perché da bambina è stata portata via alla sua famiglia d’origine, dove a malapena si accorgevano di lei. A compiere il furto della bambina è stata Doll, che ha un passato misterioso e violento, e su una guancia lo sfregio di una terribile scottatura: Doll ha semplicemente raccolto Lila in preda alla febbre avvolgendola in uno scialle per tenerla al caldo e, da quel momento, le ha fatto da madre e da padre.
 Doll e Lila si sono unite al gruppo guidato da Doane, e per anni hanno girovagato per gli Stati Uniti fermandosi qua e là, dove era possibile lavorare; soltanto per una stagione Lila ha potuto frequentare la scuola pubblica, imparando a leggere e a fare di conto. Il sodalizio con Doane e i suoi è durato fino agli anni della Grande depressione, quando la miseria e la carestia hanno disperso tutti i loro compagni ai quattro angoli del Paese.
 A quel punto Doll era già invecchiata, ma Lila era diventata abbastanza grande da cavarsela da sola, guadagnandosi la vita come commessa in un negozio.
 Sembravano le premesse perfette per la costruzione di una nuova serenità; ma un giorno Doll era tornata a casa completamente coperta di sangue dopo aver ucciso a coltellate un uomo che la minacciava. L’arresto e la perdita dell’unica persona amica che avesse al mondo avevano precipitato Lila nel più assoluto stordimento, spingendola ad abbandonare ogni cosa e a partire per andare più lontano possibile. Così era approdata a Saint Louis, ed era finita a lavorare in un bordello.
 Nel momento in cui giunge nell’Iowa e si rifugia nella capanna vicino al fiume, Lila è in fuga da tutto ciò, e il coltello che porta con sé è proprio quello con cui la vecchia Doll ha ucciso.
 Nessuno però, a Gilead, sa queste cose.
 Lila del resto, non ha in mente nessun progetto particolare e non pensa di fermarsi lì; spera solo di guadagnare – con dei piccoli lavoretti svolti per le famiglie del posto – abbastanza denaro per prendere una corriera e spostarsi dall’Iowa verso regioni più calde prima che cali l’inverno.
 Questo anche se a Gilead in effetti si sente benvoluta: tutti sembrano disposti a darle una mano, tutti le offrono qualche lavoro con cui sbarcare il lunario. Probabilmente la cortesia degli abitanti della cittadina è dovuta ai buoni uffici di John Ames, il vecchio pastore della chiesa calvinista − nella quale Lila si è riparata per caso in un giorno di pioggia –, che è stato gentile con lei come mai nessuno prima.
 Il pastore le ha parlato, l’ha ascoltata, ha mostrato interesse verso di lei, le ha persino proposto di battezzarsi. Lila non ha accettato subito, ma in cambio, senza che nessuno glielo chiedesse, ha preso a occuparsi dell’orto del pastore e anche, nel vicino cimitero, della tomba della moglie e della figlioletta, morte molto tempo prima.
 Non può certo immaginare che, di lì a poco, proprio lei diventerà la nuova moglie di John Ames, e porterà in grembo suo figlio, mentre nella sua casa, nella tenerezza di un amore dolcissimo e autentico nonostante la differenza d’età, comincerà a riflettere sulla sua esistenza, e sull’esistenza umana in generale.

Marilynne Robinson

 La prospettiva di prendersi cura di una nuova creatura, la lettura della Bibbia, il dialogo garbato e profondo col marito, il confronto con le durezze che ha dovuto attraversare in passato, l’impossibilità di eliminare il dolore o di imparare ad accettarlo fino in fondo renderanno la riflessione di Lila e il suo percorso interiore complessi e articolati, rivelando una personalità interessantissima e conferendo alla sua esperienza del tutto singolare una valenza universale.
 Con il terzo episodio della saga iniziata con Gilead e proseguita con Casa, Marilynne Robinson procede ancora una volta a ritroso nel tempo, quasi a esplorare le radici delle vicende raccontate nei romanzi precedenti. Lo fa, come sempre, sulla scorta di quella cultura cristiana intrisa di richiami veterotestamentari e, nel contempo, di quella mentalità pionieristica aperta al futuro che insieme sono tanta parte dello spirito che caratterizza quasi geneticamente l’America profonda.
 Lo fa, soprattutto, sulla scorta di una scrittura impareggiabile, raffinatissima, nemica giurata della retorica ad effetto.
 La prosa di Marilynne Robinson – resa in maniera magistrale dalla traduttrice Eva Kampmann – crea un tessuto di parole fittissimo, che aderisce alla perfezione ai pensieri dei personaggi: una candida coltre di neve che copre ogni cosa, lasciando indovinare la purezza dei sentimenti che si nascondono sotto la purezza delle frasi.
 Tanto che, a distanza di tempo dalla prima lettura di un romanzo di questa scrittrice, il lettore sperimenta come può capitare di dimenticare alcuni particolari dell’intreccio, ma si ricordano con assoluto nitore sia il carattere specifico dei personaggi, sia le dinamiche sentimentali in atto tra loro, sia il “clima morale” in cui si svolgono le vicende raccontate.
 Insomma, per lo stile, per l'abilità nel tratteggiare la fisionomia dei suoi protagonisti con una finezza difficilmente eguagliabile, per la capacità di immergere totalmente il lettore in un mondo concreto, con le sue regole e la sua particolare sensibilità, possiamo ben riconoscere in Marilynne Robinson una delle massime scrittrici oggi viventi.

Voto: 8,5

1 commento: