domenica 28 febbraio 2016

Alberto Arbasino, "L'Ingegnere in blu", Adelphi


 Libro dedicato da Alberto Arbasino alla memoria di Carlo Emilio Gadda, in cui si sedimentano ricordi personali della frequentazione del maestro lombardo del plurilinguismo da parte dello scrittore di Voghera, considerazioni critiche, aneddoti, memorie di letture gaddiane, giochi verbali in cui le parole di Arbasino inseguono quelle di Gadda e si mischiano con esse, fino a creare un pastiche esplicitamente mimetico delle migliori pagine dell’autore della Cognizione del dolore.
 Il testo è di alcuni anni fa; l’ho ripreso in mano ora, e ne parlo qui, perché la morte di Umberto Eco una settimana fa mi ha fatto tornare in mente tutti i limiti della narrativa postmoderna, di cui Eco era uno dei principali esponenti italiani e che troppo spesso viene acriticamente esaltata. Le opere di Gadda possiedono alcune di quelle che sono considerate caratteristiche tipiche della letteratura postmoderna: l’estrema consapevolezza dello scrivente, la tendenza al citazionismo, la commistione dei saperi, la possibilità di leggere alcuni passi a diversi livelli. Eppure nessuno si sognerebbe di definire Gadda un narratore postmoderno. Perché? Secondo me perché Gadda non è uno scrittore che cerca di piacere a tutti, come spesso accade ai narratori postmoderni, attentissimi alle tendenze del pubblico, sempre tesi all’interpretazione dell’orizzonte di attesa in cui le loro opere cadono. Gadda possiede un’autenticità superiore; anche se l’autenticità e l’indipendenza dai gusti del pubblico comportano spesso degli inconvenienti.
 Per esempio, Arbasino nota innanzitutto come Gadda, fino agli anni cinquanta, fosse considerato uno scrittore “minore”, un umorista magari di genio ma relegato spesso fra i narratori di seconda schiera per via della sua indole vernacolare, meritevole solo di pochi cenni nelle antologie di scrittori contemporanei, quando pure vi veniva incluso.

Carlo Emilio Gadda e Alberto Arbasino

 Insomma, la grandezza di Gadda non veniva capita, non potendo la sua opera nota allora ridursi alle mode letterarie che si erano succedute negli anni in cui era stato attivo: essa non poteva infatti rientrare né nella poetica dannunziana, né in quella rondista, né in quella ermetica, né, tantomeno, in quella del neorealismo.
 Ci vollero “i nipotini dell’ingegnere” per capirla; espressione, questa, coniata da Arbasino medesimo in un suo breve saggio pubblicato all’inizio degli anni sessanta, e qui riportato alla fine del libro. Ci vollero, soprattutto, critici – Gianfranco Contini su tutti − in grado di apprezzare e di definire il suo particolarissimo uso della lingua, inserendolo in una “linea” nella quale sono annoverabili ascendenze nobilissime, su su fino a Dante.
 Fra i nipotini, Arbasino riconosceva, oltre a se stesso, in primo luogo Pasolini e Testori; laddove oggi, a distanza di diversi decenni, si può forse vedere proprio in Arbasino medesimo, e solo in lui, il legittimo erede letterario di Carlo Emilio Gadda.

Un'immagine giovanile di Alberto Arbasino

 Del resto, come viene notato da Arbasino stesso, Gadda era l’uomo meno adatto del mondo a fondare e a intrattenere un cenacolo letterario, a seguire degli allievi e a promuoverne la carriera. Era invece un signore d’altri tempi, estremamente riservato, impeccabilmente corretto, cerimonioso quasi fino all’affettazione. Portava sempre un completo blu, con una camicia bianca e cravatte sovente orribili, che sceglieva personalmente. Era perlopiù estraneo ai vezzi e ai vizi della società dei letterati romani (quantomai attenti ai media e al potere), che sporadicamente frequentò e di cui, con la consueta, amara ironia, sapeva cogliere anche gli aspetti ridicoli.
 Era portatore di un vero sapere scientifico, per via della sua originaria professione, esercitata a più riprese per necessità (mentre le lettere rimasero sempre la sua più autentica vocazione), ma più ancora per via della sua curiosità onnivora, che lo portava a occuparsi con lo stesso interesse di un trattato di fisica o di filosofia.
 Il suo sentire, la sua visione del mondo e la sua scrittura erano davvero tutt'uno, come accade solo per i grandi scrittori. Che non sono poi molti.

Voto: 6,5

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