Libro dedicato da Alberto
Arbasino alla memoria di Carlo Emilio Gadda, in cui si sedimentano ricordi
personali della frequentazione del maestro lombardo del plurilinguismo da parte
dello scrittore di Voghera, considerazioni critiche, aneddoti, memorie di
letture gaddiane, giochi verbali in cui le parole di Arbasino inseguono quelle
di Gadda e si mischiano con esse, fino a creare un pastiche esplicitamente mimetico delle migliori pagine dell’autore
della Cognizione del dolore.
Il testo è di alcuni anni fa; l’ho
ripreso in mano ora, e ne parlo qui, perché la morte di Umberto Eco una
settimana fa mi ha fatto tornare in mente tutti i limiti della narrativa
postmoderna, di cui Eco era uno dei principali esponenti italiani e che troppo
spesso viene acriticamente esaltata. Le opere di Gadda possiedono alcune di
quelle che sono considerate caratteristiche tipiche della letteratura
postmoderna: l’estrema consapevolezza dello scrivente, la tendenza al
citazionismo, la commistione dei saperi, la possibilità di leggere alcuni passi
a diversi livelli. Eppure nessuno si sognerebbe di definire Gadda un narratore
postmoderno. Perché? Secondo me perché Gadda non è uno scrittore che cerca di
piacere a tutti, come spesso accade ai narratori postmoderni, attentissimi alle
tendenze del pubblico, sempre tesi all’interpretazione dell’orizzonte di attesa
in cui le loro opere cadono. Gadda possiede un’autenticità superiore; anche se
l’autenticità e l’indipendenza dai gusti del pubblico comportano spesso degli
inconvenienti.
Per esempio, Arbasino nota
innanzitutto come Gadda, fino agli anni cinquanta, fosse considerato uno
scrittore “minore”, un umorista magari di genio ma relegato spesso fra i
narratori di seconda schiera per via della sua indole vernacolare, meritevole
solo di pochi cenni nelle antologie di scrittori contemporanei, quando pure vi
veniva incluso.
Carlo Emilio Gadda e Alberto Arbasino
Insomma, la grandezza di Gadda
non veniva capita, non potendo la sua opera nota allora ridursi alle mode
letterarie che si erano succedute negli anni in cui era stato attivo: essa non
poteva infatti rientrare né nella poetica dannunziana, né in quella rondista,
né in quella ermetica, né, tantomeno, in quella del neorealismo.
Ci vollero “i nipotini dell’ingegnere”
per capirla; espressione, questa, coniata da Arbasino medesimo in un suo breve
saggio pubblicato all’inizio degli anni sessanta, e qui riportato alla fine del
libro. Ci vollero, soprattutto, critici – Gianfranco Contini su tutti − in
grado di apprezzare e di definire il suo particolarissimo uso della lingua,
inserendolo in una “linea” nella quale sono annoverabili ascendenze
nobilissime, su su fino a Dante.
Fra i nipotini, Arbasino
riconosceva, oltre a se stesso, in primo luogo Pasolini e Testori; laddove
oggi, a distanza di diversi decenni, si può forse vedere proprio in Arbasino
medesimo, e solo in lui, il legittimo erede letterario di Carlo Emilio Gadda.
Un'immagine giovanile di Alberto Arbasino
Del resto, come viene notato da
Arbasino stesso, Gadda era l’uomo meno adatto del mondo a fondare e a intrattenere
un cenacolo letterario, a seguire degli allievi e a promuoverne la carriera.
Era invece un signore d’altri tempi, estremamente riservato, impeccabilmente
corretto, cerimonioso quasi fino all’affettazione. Portava sempre un completo
blu, con una camicia bianca e cravatte sovente orribili, che sceglieva
personalmente. Era perlopiù estraneo ai vezzi e ai vizi della società dei
letterati romani (quantomai attenti ai media e al potere), che sporadicamente
frequentò e di cui, con la consueta, amara ironia, sapeva cogliere anche gli
aspetti ridicoli.
Era portatore di un vero sapere
scientifico, per via della sua originaria professione, esercitata a più riprese per
necessità (mentre le lettere rimasero sempre la sua più autentica vocazione),
ma più ancora per via della sua curiosità onnivora, che lo portava a occuparsi
con lo stesso interesse di un trattato di fisica o di filosofia.
Il suo sentire, la sua visione del mondo e la sua scrittura erano davvero tutt'uno, come accade solo per i grandi scrittori. Che non sono poi molti.
Voto: 6,5
Voto: 6,5
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