Voglio oggi proporre la
recensione di un libro che, a vent’anni dalla sua prima pubblicazione, è già
chiaramente uno dei grandi classici della nostra epoca.
Opera monumentale continuamente
in bilico tra romanzo totale e antiromanzo, probabilmente inimitabile nella sua
essenza, ma destinata a divenire paradigmatica (come paradigmatica è, fatte le
debite proporzioni, la Divina Commedia).
Non esiste un filo narrativo
univoco, non esiste continuità temporale in questo libro; tutto ciò che accade
è proiettato in un futuro prossimo, che vede l’intero Nordamerica occupato dal
macrostato dell’Onan, comprendente Stati Uniti, Messico e Canada. Qui tutta la
regione a ridosso del Quebec è stata trasformata in un’immensa, mostruosa
discarica, tanto la televisione tradizionale quanto la nascente rete internet
sono state assorbite e sostituite da un nuovo sistema di comunicazione
denominato (dal nome della sua fondatrice) InterLace, e le vite dei cittadini
sembrano dominate dalle leggi dell’intrattenimento e insieme minacciate da
varie forme di dipendenza: dalla droga, dal sesso, dal miraggio del successo,
da ossessioni comportamentali, da regole arbitrariamente definite da altri.
L’industria pubblicitaria è
diventata tanto potente che persino gli anni che si succedono sul calendario
sono sponsorizzati, e il nome dei prodotti ha sostituito la vecchia numerazione
dalla nascita di Cristo.
In questo mondo futuribile ma in
fondo così simile al nostro, ad accomunare la vita quotidiana di insegnanti e
allievi della Enfield Tennis Academy (una scuola per giovani promesse del mondo
del tennis situata a Boston), gli ospiti della Ennet House (una comunità di
recupero per tossicodipendenti sempre a Boston), il punter di una squadra di
football americano, i servizi segreti del nuovo stato dell’Onan e il gruppo
terrorista di separatisti quebechiani degli “Assassini sulle sedie a rotelle”
sono diverse forme di prossimità a un misterioso cineasta d’avanguardia, morto
suicida, che ha girato una pellicola intitolata Infinite jest, che costituisce l’intrattenimento perfetto: quello
capace di legare a sé lo spettatore fino ad inibirgli persino i bisogni
fondamentali del cibo e del sonno, tanto da condurlo inevitabilmente a morte.
David Foster Wallace
Qualcuno dei personaggi vorrebbe
impadronirsi del film per farlo sparire (è il caso di Steeply, agente segreto
che vive vestito da donna), qualche altro per usarlo come arma nei confronti
dei propri avversari politici (è il caso del canadese Remy Marathe); Hal e Orin
Incandenza sono inconsapevolmente vicini a questa strana “guerra” perché sono figli
del regista suicida e custodi dei suoi ricordi e forse dei suoi segreti; il
gigantesco Don Gately, invece, si trova coinvolto nella faccenda perché si è
innamorato, alla Ennet House, dell’attrice protagonista della misteriosa
pellicola, una donna tanto bella da dover girare velata per non impressionare
troppo chi la guarda.
Intorno a questi personaggi se ne
muovono moltissimi altri, ciascuno con una storia affascinante e complessa che
si intreccia casualmente con uno dei filoni narrativi, a loro volta labilmente
legati dall’ipotesi dell’esistenza della straordinaria pellicola
cinematografica.
Il lettore, alla fine di queste eccezionali - ed eccezionalmente complicate - 1200 pagine, si rende conto di due cose: 1) perché possa esistere un "intrattenimento" con una facoltà ipnotica come quella che si favoleggia possegga Infinite jest, non basta la qualità dell'oggetto proposto, ma serve anche l'attitudine complice dello spettatore; 2) in fondo, ironicamente, il letale Infinite jest potrebbe essere Infinite jest stesso: non il film ma il libro, con la sua mole travolgente, la sua vocazione enciclopedica e la sua inesauribile, irriducibile, infinitamente stimolante vena affabulatoria.
Voto: 10
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