domenica 8 maggio 2016

David Foster Wallace, "Infinite jest", Einaudi


Voglio oggi proporre la recensione di un libro che, a vent’anni dalla sua prima pubblicazione, è già chiaramente uno dei grandi classici della nostra epoca.
Opera monumentale continuamente in bilico tra romanzo totale e antiromanzo, probabilmente inimitabile nella sua essenza, ma destinata a divenire paradigmatica (come paradigmatica è, fatte le debite proporzioni, la Divina Commedia).
Non esiste un filo narrativo univoco, non esiste continuità temporale in questo libro; tutto ciò che accade è proiettato in un futuro prossimo, che vede l’intero Nordamerica occupato dal macrostato dell’Onan, comprendente Stati Uniti, Messico e Canada. Qui tutta la regione a ridosso del Quebec è stata trasformata in un’immensa, mostruosa discarica, tanto la televisione tradizionale quanto la nascente rete internet sono state assorbite e sostituite da un nuovo sistema di comunicazione denominato (dal nome della sua fondatrice) InterLace, e le vite dei cittadini sembrano dominate dalle leggi dell’intrattenimento e insieme minacciate da varie forme di dipendenza: dalla droga, dal sesso, dal miraggio del successo, da ossessioni comportamentali, da regole arbitrariamente definite da altri.
L’industria pubblicitaria è diventata tanto potente che persino gli anni che si succedono sul calendario sono sponsorizzati, e il nome dei prodotti ha sostituito la vecchia numerazione dalla nascita di Cristo.
In questo mondo futuribile ma in fondo così simile al nostro, ad accomunare la vita quotidiana di insegnanti e allievi della Enfield Tennis Academy (una scuola per giovani promesse del mondo del tennis situata a Boston), gli ospiti della Ennet House (una comunità di recupero per tossicodipendenti sempre a Boston), il punter di una squadra di football americano, i servizi segreti del nuovo stato dell’Onan e il gruppo terrorista di separatisti quebechiani degli “Assassini sulle sedie a rotelle” sono diverse forme di prossimità a un misterioso cineasta d’avanguardia, morto suicida, che ha girato una pellicola intitolata Infinite jest, che costituisce l’intrattenimento perfetto: quello capace di legare a sé lo spettatore fino ad inibirgli persino i bisogni fondamentali del cibo e del sonno, tanto da condurlo inevitabilmente a morte.

David Foster Wallace

Qualcuno dei personaggi vorrebbe impadronirsi del film per farlo sparire (è il caso di Steeply, agente segreto che vive vestito da donna), qualche altro per usarlo come arma nei confronti dei propri avversari politici (è il caso del canadese Remy Marathe); Hal e Orin Incandenza sono inconsapevolmente vicini a questa strana “guerra” perché sono figli del regista suicida e custodi dei suoi ricordi e forse dei suoi segreti; il gigantesco Don Gately, invece, si trova coinvolto nella faccenda perché si è innamorato, alla Ennet House, dell’attrice protagonista della misteriosa pellicola, una donna tanto bella da dover girare velata per non impressionare troppo chi la guarda.
Intorno a questi personaggi se ne muovono moltissimi altri, ciascuno con una storia affascinante e complessa che si intreccia casualmente con uno dei filoni narrativi, a loro volta labilmente legati dall’ipotesi dell’esistenza della straordinaria pellicola cinematografica.
Il lettore, alla fine di queste eccezionali - ed eccezionalmente complicate - 1200 pagine, si rende conto di due cose: 1) perché possa esistere un "intrattenimento" con una facoltà ipnotica come quella che si favoleggia possegga Infinite jest, non basta la qualità dell'oggetto proposto, ma serve anche l'attitudine complice dello spettatore; 2) in fondo, ironicamente, il letale Infinite jest potrebbe essere Infinite jest  stesso: non il film ma il libro, con la sua mole travolgente, la sua vocazione enciclopedica e la sua inesauribile, irriducibile, infinitamente stimolante vena affabulatoria. 

Voto: 10

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