domenica 29 maggio 2016

Jonathan Franzen, "Purity", Einaudi


 La trama dell’ultimo romanzo di Jonathan Franzen è tanto articolata e ricca di colpi di scena, svolte rocambolesche e situazioni al limite dell’inverosimile da poter essere paragonata a quella di un romanzo d’appendice o di una telenovela.
 Questo può certo lasciare perplesso il lettore abituale di Franzen, ma non deve tradursi automaticamente in un giudizio di disvalore, perché nel libro il livello simbolico – sapientemente concepito e lucidamente integrato nella struttura della vicenda e nel suo sviluppo – prevale sul tema narrativo puro e semplice; praticamente, si può dire, fin dal titolo.
 Purity Tyler detta Pip è una ragazza di 24 anni che vive in California e lavora come promotrice telefonica di progetti connessi con lo sviluppo delle energie alternative. Lo stipendio che percepisce non le permetterà mai di ripianare il pur modesto debito studentesco accumulato negli anni del college. La sua famiglia è costituita unicamente dalla madre, commessa in un supermercato, una nevrotica che nutre per la figlia un affetto soffocante, in un rapporto esclusivo fatto di condizionamenti continui e sottili ricatti, essenzialmente basato sull’azzardo morale, per usare l’espressione dell’autore.
 Per sfuggire per quanto possibile a questa situazione, Pip si è trasferita in una casa occupata a Oakland, da cui presto la banca titolare dell’ipoteca sloggerà i bizzarri squatter che la abitano.
Prima che questo accada, però, in quella casa a Pip capita di incontrare un’attivista tedesca di una organizzazione non governativa che predica e pratica l’utilizzo “piratesco” della rete internet come mezzo per rendere assolutamente trasparente il rapporto tra governanti e governati, tra i detentori del potere e il resto dei cittadini.
 La mission di questa Ong, il Sunlight Project, è quella di svelare, grazie all’apporto di una nutrita squadra di hacker, informatori, infiltrati, gli irraccontabili segreti dei potenti al vasto pubblico della rete; un po’ come fa Wikileaks.
 Ma se su Wikileaks si proiettano tutte le ombre che si addensano intorno all’ambigua figura di Julian Assange, il fondatore del Sunlight Project, l’ex dissidente della DDR Andreas Wolf, appare realmente una sorta di cavaliere senza macchia e senza paura.
 L’attivista tedesca, la bella Annagret, prende in simpatia Purity, in maniera apparentemente del tutto casuale, e le propone uno stage lautamente retribuito presso il quartier generale boliviano del Sunlight Project.
 Pip dapprima rifiuta, ma una spiacevole disavventura sentimentale, le continue difficoltà nel rapporto con la madre, il suo assoluto bisogno di soldi e, soprattutto, l’intervento in prima persona del mitico Andreas Wolf la inducono infine ad accettare.
 A questo punto l’intreccio si complica, e la gestione dei piani temporali della storia diventa assai più dinamico e articolato: prima di conoscere quale sia stata l’esperienza di Pip in Bolivia, veniamo a sapere molte cose sul passato di Andreas Wolf nella Germania dell’Est, che contempla un’infanzia da bambino prodigio − figlio di due notabili della classe dirigente socialista −, un’adolescenza ribelle, dopo l’emersione di tutta la carica morbosa del legame ossessivo con la madre psicotica, e una giovinezza da “spostato di lusso”, che la Stasi protegge per via del peso politico dei due importanti genitori, ma che custodisce anche un terribile inconfessabile segreto.

Jonathan Franzen

 L’obiettivo del narratore si sposta poi su Pip al lavoro a Denver, presso il quotidiano Denver Indipendent, mentre supporta il direttore Tom e la sua fidata collaboratrice Leila (che è anche la sua amante e praticamente la sua compagna) in un’inchiesta giornalistica sulla misteriosa sparizione di una testata nucleare dai magazzini della fabbrica texana che produce gli ordigni.
 Leggiamo infine il racconto-confessione di Tom sui suoi esordi giornalistici ai tempi dell’università e sul suo tormentato amore con Anabel, la giovane erede della mirabolante fortuna dei proprietari della McCaskill, colosso dell’industria alimentare trasformatosi in una poderosa multinazionale dai molteplici interessi finanziari.
 Anabel, bizzosa e lunatica, in realtà, è tutta compresa nella sua tensione ideale, è prigioniera del suo moralismo e delle sue velleità da artista d’avanguardia, ed è ossessionata dall’utopia di vivere una vita contraddistinta in tutto e per tutto da una semplicità e da una purezza monacale: col matrimonio, costringerà dunque Tom a rinunciare a tutti i soldi a cui avrebbe potuto avere accesso per coltivare la follia di un legame modellato sulla stramberia e sulle idiosincrasie della sua donna. Il divorzio sarà l’esito inevitabile di quel matrimonio.
 Solo a questo punto il resoconto delle avventure di Pip in Bolivia, finalmente proposto, consentirà di cominciare a riannodare i fili della narrazione, permettendo al lettore di orientarsi meglio e delineando un panorama inopinato: Pip altri non è che la figlia di Tom e Anabel, concepita all’insaputa del padre proprio nei giorni della rottura definitiva fra i suoi genitori; la ragazza – a dispetto della miseria economica in cui la madre, impegnata nella realizzazione del suo ideale di povertà, l’ha sempre fatta vivere – è quindi erede di un patrimonio calcolabile in miliardi di dollari.
 Il suo incontro con il padre naturale, ovviamente, non è stato casuale: esso è stato perfidamente architettato da Andreas Wolf per mettere in difficoltà Tom che, trovandosi in Germania per ragioni personali nei giorni convulsi della caduta del muro di Berlino, ha raccolto per avventura la confessione da parte di un Andreas non ancora famoso del suo terribile segreto, vale a dire l'efferato omicidio del patrigno di Annagret, compiuto per difendere la ragazza, allora minorenne, dalle violenze dell’uomo, e rimasto impunito. Andreas è ora ossessionato dalla prospettiva che quel segreto riemerga dalle nebbie del passato sporcando la sua immagine pubblica; non essendo riuscito a far diventare Tom suo complice grazie al fascino e all’abilità che chiunque gli riconosce, vuole ora dimostrargli che possiede i mezzi per ricattarlo personalmente, incatenandolo a sé.
 Il finale del libro non sarà meno eclatante della storia per la quale è costruito.
 Il tema che sta alla base di questo articolatissimo intreccio è quello della verità e della purezza morale alle quali ci si illude che si possa attingere grazie alla capacità di Internet di conservare traccia dei nostri più riposti segreti individuali, e di renderli disponibili direttamente a chiunque, senza filtro alcuno.
 Ma per Franzen lo statuto di realtà di ciò che appare in rete è di per sé precario, e ingannevole risulta la sua presunta evidenza ontologica. Verità e purezza sono infatti esattamente come la luce del sole: non si possono osservare se non dotandosi di opportuni filtri, pena il rischio di esserne accecati. E abolendo ogni confine tra pubblico e privato, tra trasparenza e invadenza, tra critica e molestia, tra cimento e tormento, tra denuncia e pettegolezzo, tra sfondo e primo piano, tra reale e virtuale non si presta un buon servizio alla verità; si rischia solo di distorcerla in maniera grottesca.
 Le problematiche toccate dal romanzo, come ognuno può capire, sono di un’attualità assoluta e di una complessità straordinaria. Franzen cerca di trattarle con profondità filosofica e sapienza letteraria (il concetto di inosservabilità del vero in una società in cui tutto è declinato secondo le leggi dell' intrattenimento è già stato magistralmente tematizzato nella letteratura americana, in anni da noi non lontanissimi, da David Foster Wallace, a cui certo l’autore del libro deve aver pensato).
 Nonostante qualche eccessivo didascalismo − e il riflesso automatico, in alcuni giudizi espressi (come quelli su Julian Assange, Bradley Manning o Edward Snowden), di discutibili opinioni largamente diffuse negli Stati Uniti – il romanzo è molto interessante, anche se, nel suo complesso, non è forse all’altezza delle maggiori prove narrative di Franzen.

Voto: 7,5

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