Il libro ricostruisce minuziosamente la tragica vicenda di Mallory e Irvine, che tentarono di conquistare l’Everest nel 1924 e morirono nel corso della scalata (secondo alcuni dopo aver toccato il tetto del mondo ben 29 anni prima della conquista ufficiale compiuta a nome di Sua Maestà britannica dal neozelandese Edmund Hillary e dallo sherpa Tenzing Norkay); il racconto viene condotto anche sulla scorta degli indizi raccolti a seguito del ritrovamento del corpo di George Mallory nel corso di una spedizione del 1999 promossa dalla BBC alla quale Firstbrook partecipò.
Mallory, tipico rappresentante
della middle class inglese dei primi anni del Novecento scoprì l’alpinismo
grazie all’influenza di alcuni suoi insegnanti, mostrandosi presto estremamente
dotato per la disciplina e straordinariamente coraggioso. Per tutta la vita
lottò per riuscire a conciliare la famiglia (si sposò poco prima della Grande
Guerra ed ebbe tre figli) e la professione da insegnante (che non fu mai in
grado di garantirgli una vera tranquillità economica) con la sua grande
passione per la montagna. Nel 1922 fu incluso nel novero dei partecipanti a una
prima spedizione all’Everest, che pur non riuscendo a insidiare la vetta
raggiunse risultati sorprendenti, visti l’abbigliamento e l’attrezzatura
dell’epoca (guardando le foto ci si chiede come quei pionieri potessero sopportare
con quel tipo di vestiario le terribili temperature dei ghiacciai himalayani).
La nuova, fatale spedizione del
’24 sancì la promozione di Mallory a punta di diamante della squadra di
scalatori che doveva tentare la salita; come compagno scelse a sorpresa il
giovane ingegnere Andrew Irvine (che aveva solo 22 anni, mentre Mallory ne
aveva 38), in parte per il suo eccellente stato di forma, in parte per
l’amicizia che era nata fra i due nella fase preparatoria dell’attacco alla
vetta, in parte per l’abilità mostrata da Irvine nel riparare eventuali guasti
alle bombole dell’ossigeno.
Mallory e Irvine furono avvistati
per l’ultima volta su un crinale a circa 8600 metri, dopo di che scomparvero
nella nebbia e a non se ne seppe più nulla.
Particolare commovente, l’ultimo
messaggio di Mallory giunse alla moglie in Inghilterra dopo la notizia della
sua morte.
Una foto che indica il punto dal quale Mallory è presumibilmente scivolato sul crinale dell'Everest
L’analisi del percorso compiuto
dai due scalatori (condotta anche grazie all’esperienza di coloro che in
seguito raggiunsero la vetta per la medesima via) porta a dubitare fortemente
che possano essere arrivati in cima: non sono conciliabili con l’ipotesi di un
successo né l’accertamento dei tempi di salita, né la durata dell’ossigeno
delle bombole, né le elevate difficoltà tecniche previste da alcuni passaggi.
Più probabile è che, sorpresi dal maltempo e dall’oscurità a una quota già
considerevole, con l’ossigeno praticamente terminato (vale a dire – sopra gli
ottomila metri – in stato di ipossia) abbiano tentato una discesa disperata, durante
la quale un incidente avrebbe determinato la caduta fatale.
Secondo l’ispezione compiuta sul
cadavere di Mallory (mummificato e “marmorizzato” dal clima: impressionanti le
foto), a compiere l’errore decisivo sarebbe stato proprio l’esperto alpinista,
scivolando lungo un aspro declivio da una stretta crestina. Durante la caduta
la corda che legava i due scalatori si sarebbe tranciata, e Mallory, ferito
gravemente ma non mortalmente (aveva una gamba rotta subito sopra lo scarpone,
alcune costole incrinate e altre fratture), si sarebbe fermato su un pianoro
innevato, spirando in breve per il freddo, per gli stenti, per il deperimento
dovuto all’altitudine. Più misteriosa la sorte di Irvine, forse caduto a sua
volta, forse perdutosi sulla montagna e morto anch’egli di stenti.
Ma tutti questi dettagli non riescono a intaccare il fascino di un'avventura che, per la sua stessa concezione, per l'ardimento dei suoi protagonisti e per la sua tragica conclusione, rappresenta veramente un mito fuori dal tempo.
Voto: 6,5