domenica 5 marzo 2017

Enrico Franceschini, "Scoop", Feltrinelli


 Andrea Muratori è uno scrittore in crisi di ispirazione: dopo un romanzo giovanile che ha fatto guardare a lui come a una promessa delle patrie lettere, ha pubblicato per forza d'inerzia altri libri che non hanno lasciato traccia, e ora, sulla soglia dei quarant'anni, ha un disperato bisogno di calarsi in situazioni nuove, che gli restituiscano la voglia di raccontare.
 Per questo chiede aiuto alla contessa Matilde Valera del Dongo, una matura, ricca, annoiata, influentissima signora che è stata in passato la sua amante; la contessa raccomanda dunque Muratori ad Alberto Massari, onnipotente direttore di un grande quotidiano milanese, che è anche uno dei principali giornali italiani, affinché lo mandi come inviato di guerra nel piccolo, turbolento stato latinoamericano del Cusclatàn. Il giornale potrà così avvalersi della collaborazione di uno scrittore che conserva tutto sommato una certa aura di prestigio, e Muratori, cambiando aria, potrà forse ritrovare lo slancio che la sua prosa ha perduto.
 Capita però che, negli stessi giorni in cui a Massari arriva la raccomandazione di Matilde Valera, alla redazione sportiva del quotidiano di Milano giunga da Bologna un giovanissimo giornalista, che si è sempre occupato per lo più di basket, e che di nome fa anch'egli Andrea Muratori.
 Massari, nella struttura piramidale che caratterizza la gestione del giornale, si trova naturalmente al vertice, e gode dell'esercizio proprio potere: le quotidiane riunioni di redazione a cui non tutti possono partecipare - e in cui pochissimi hanno diritto di parola - sono insieme un rito e un evento. I responsi di Massari, agli occhi dei sottoposti, hanno qualcosa di oracolare: nessuno si sogna di criticarli apertamente, e solo i collaboratori più stretti si permettono su di essi qualche puntualizzazione: Giovannella De Rosa, la responsabile delle pagine culturali - al cospetto dell'erudizione della quale Massari nutre un lieve complesso di inferiorità -; Ruggero Alberelli, il segretario di redazione, secondo alcuni "il vero direttore del giornale"; il caporedattore centrale Franco Pignatari; i più esperti e famosi fra i giornalisti, quelli autorizzati a dare del tu al direttore.
 Quando il direttore afferma di voler inviare Andrea Muratori a seguire la situazione in Cusclatàn, nessuno discute la decisione, ma tutti intendono che, per qualche misteriosa ragione (forse perché ha scorto in lui qualche qualità fuori dal comune), Massari ha stabilito di passare il piccolo redattore - l'ultimo arrivato - dallo sport agli esteri, e di metterlo alla prova sul campo spedendolo in America Latina.
 Senza che nessuno abbia tempo di rendersi conto dello scambio di persona, Andrea viene messo subito su un aereo in volo verso il Cusclatàn, e in questo modo comincia un'avventura che non avrebbe mai pensato di poter vivere. Alloggiato nel migliore albergo della capitale Esmeralda, il Camino Real, messo nelle condizioni di incontrare l'ambasciatore, il giovane giornalista realizza subito che le voci che parlano di guerra civile in Cusclatàn sono ampiamente infondate; la situazione nel paese è tranquilla, e Andrea lo scrive nell'articolo che detta ai dimafoni del giornale. Solo che il caporedattore Pignatari intercetta il pezzo prima della pubblicazione, lo risistema e cambia il titolo per renderlo più accattivante, lasciando presagire una rivoluzione imminente.
 L'articolo ha il suo effetto sull'opinione pubblica in Italia: la notizia dei guerriglieri antigovernativi pronti a dare l'assalto a Esmeralda fa il giro delle redazioni dei principali giornali, inducendo tutti i direttori a spedire in America Latina i loro migliori inviati. Il Camino Real è presto preso d'assalto da tutti i più famosi giornalisti di guerra italiani; e osservandoli, e vivendo con loro, Andrea si rende presto conto che il proprio mestiere è molto diverso da come l'aveva immaginato. In particolare è il vecchio collega Leandro Tarchetti a fargli da guida e a mostrargli i "segreti" della sua professione.

Enrico Franceschini

 Andrea apprende così che suggestionare i lettori, per un giornalista italiano, è molto più importante che dire la verità; che lo stile di un articolo pesa di più del suo contenuto; che per i lettori dei giornali italiani è fondamentale poter leggere, articolo dopo articolo, una narrazione coerente in cui trovare conferma delle proprie idee preconcette, e che perciò, se una storia non c'è, il giornalista deve inventarsela.
 Impara che non prendere un "buco" da un diretto concorrente è molto più importante che fare uno scoop autentico; che molti dei reportage di maggiore successo sono stati realizzati restando comodamente seduti al bordo della piscina di un hotel a cinque stelle; che tutti gli inviati ritengono che rischiare la vita non sia da coraggiosi, bensì solo da stupidi; che un giornalista in trasferta pensa soprattutto a godersi la vita e, se può, con la complicità dei colleghi, fa sempre la cresta sulla nota spese ai danni del giornale.
 Naturalmente esiste anche il faticoso lavoro "sul campo", che però ha un peso relativamente modesto nel determinare l'abilità di un inviato di guerra; e le situazioni paradossalmente tragicomiche sono di gran lunga più frequenti dei pericoli veri e propri.
 Tarchetti è cinico e sommamente disincantato, eppure conserva ancora un barlume di onestà intellettuale nel riconoscere i lati antieroici del mestiere del giornalista, mentre tutti gli altri colleghi ospitati nel lussuoso albergo rappresentano ciascuno un esempio diverso di clamorosa e sfacciata violazione della deontologia professionale: Wanda Schirò, "l'unica giornalista italiana conosciuta all'estero", famosa per le sue coraggiose interviste a generali, dittatori e tiranni, è abituata a riportare scrupolosamente le parole dell'intervistato cambiando però le domande innocue da lei realmente poste con altre molto più aggressive, incalzanti, ficcanti (un ritratto dietro il quale non è difficile scorgere la sagoma di Oriana Fallaci); Oreste Scarfoglio, esterofilo, colto e raffinato, è talmente prodigo da spingersi a noleggiare - a spese del settimanale per cui scrive - una Rolls-Royce per andare a intervistare in pieno deserto un famoso dittatore; Virgilio Fortis ha fatto carriera semplicemente millantando un'inesistente familiarità con i politici più in vista; Ercole Bertoldi inventa di sana pianta i suoi scoop, e in Cusclatàn, per sgambettare la concorrenza, si spinge fino ad architettare una vera e propria messinscena facendo credere di essere riuscito a intervistare, penetrando nella foresta, il capo dei guerriglieri antigovernativi, da lui mai incontrato.
 Alla fine Andrea - che pure uno scoop vero e proprio riuscirebbe anche a coglierlo, assistendo per caso, unico giornalista occidentale, a un golpe nel vicino stato del Guaranà - è costretto ad accorgersi che, nel giornalismo, una fandonia ben confezionata conta di più di una verità che il pubblico trova poco digeribile. Tanto che i giornalisti, con i loro fantasiosi articoli, riescono persino a innescare una catena di reazioni capace di spingere il paese sull'orlo di una guerra che, prima del loro intervento, era ben lungi dallo scoppiare davvero.
 Del resto, di tutto il suo soggiorno in Cusclatàn, l'esperienza più memorabile e autentica per il protagonista sarà inopinatamente costituita dalla visita al migliore bordello di Esmeralda in compagnia di alcuni colleghi, e del fugace amore ivi concepito da Andrea per l'incantevole Isabel.
 Il libro, nella sua conclamata leggerezza, offre un'immagine desolante dell'intera categoria dei giornalisti italiani, a cui pure Franceschini appartiene; alcuni ritratti sono così incredibilmente feroci da andare ben oltre la semplice ironia, addentrandosi nei più aspri territori di un sarcasmo che non prevede riscatto.
 La singolare declinazione del tema del doppio (lo scambio di persona è reso più interessante dal fatto che l'Andrea Murartori scrittore è il narratore della vicenda dell'Andrea Muratori giornalista, partito per il Cusclatàn al posto suo, e nel racconto delle avventure vissute dal suo "sostituto" ritrova l'ispirazione perduta) idealmente dovrebbe problematizzare e rendere più intrigante l'impianto romanzesco.
 In realtà il testo, vagamente sospeso tra lo scritto di denuncia, l'allegoria antifrastica, la catartica trasfigurazione di esperienze autobiografiche, l'iperbole brillante dal sapore caricaturale dei difetti dei media, la scettica rappresentazione dei meccanismi di costruzione della "verità" presso l'opinione pubblica, non riesce a precisare in maniera definitiva il proprio carattere, e resta una specie di divertissement che lascia l'impressione di dare al lettore molto meno di quanto potrebbe.

Voto: 5,5   

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