sabato 28 ottobre 2017

Cristina Battocletti, "Bobi Bazlen: l'ombra di Trieste", La nave di Teseo


 Biografia di uno dei numi tutelari dell'editoria italiana del Novecento: Roberto "Bobi" Bazlen, divenuto un mito per la sua straordinaria capacità di influenzare la nostra cultura esclusivamente attraverso i libri degli altri, senza praticamente lasciare nulla di scritto di propria mano da dare alle stampe (se si eccettua quel testo singolare che è Il capitano di lungo corso, raccolto in volume dopo la sua morte). Tale influenza risulta quasi paradossale se si pensa come egli fosse di fatto più a suo agio con la lingua tedesca che con quella italiana.
 Bobi Bazlen nacque a Trieste il 9 giugno del 1902 da Clotilde Levi Minzi (detta Lina), appartenente alla piccola borghesia ebraica cittadina, e da Georg Eugen Bazlen, tedesco di religione cristiano-evangelica originario di Stoccarda, giunto a Trieste sul finire dell'Ottocento forse per curare una tubercolosi, e ivi stabilitosi. Il padre morì quando Bobi aveva un anno soltanto; il ragazzo crebbe così con la madre e le zie, protetto e coccolato dalle presenze esclusivamente femminili che lo circondavano. 
 Intorno a lui, la Trieste della belle époque, sbocco sul mare dell'Impero Austro-Ungarico, porto di primaria importanza, centro culturale attraversato da tutte le inquietudini e le tensioni e il senso di precarietà della Mitteleuropa di allora, e insieme aperto a tutte le influenze provenienti dal mondo slavo, dall'Italia, dal Mediterraneo.
 Talento precocissimo, lettore vorace incuriosito da autori e da discipline che spesso esulavano dai circuiti letterari tradizionalmente più battuti, Bazlen fu prossimo fin dall'adolescenza a tutti i maggiori intellettuali che si riunivano nei circoli e nei caffè della sua città: si nutrì così della loro sensibilità, si confrontò con il loro pensiero, sviluppò a contatto con essi una personalissima, singolare abilità - di natura quasi rabdomantica - nel riconoscere l'originalità e il valore di un testo letterario; un'abilità che gli consentì di intuire fra i primi le potenzialità insite in scrittori ancora semisconosciuti, in fenomeni culturali in fase nascente.
 A lui va il merito della diffusione della conoscenza dei romanzi di Italo Svevo (se proprio non fu lo scopritore di Svevo, di certo ne fu il principale promotore); a lui va il merito dell'importazione in Italia dei libri di Franz Kafka; a lui va parte del merito della divulgazione nella cultura italiana del pensiero psicanalitico (specie di quello di matrice junghiana).
 Inoltre Bazlen, grazie all'esperienza accumulata in anni di altissime letture, ispirò, preparò e contribuì all'avvio, insieme a Luciano Foà, del progetto culturale da cui nacque la casa editrice Adelphi, senza peraltro riuscire a vederne la piena fioritura: morì infatti nel 1965, soltanto due anni dopo l'inaugurazione della nuova impresa editoriale.
 Per cercare di cogliere meglio la specificità del profilo intellettuale di questo bizzarro personaggio, Cristina Battocletti ne esplora anche il lato umano e la sostanza caratteriale. Bazlen fu uomo capace di suscitare grandi simpatie e grandi antipatie fra gli eminenti letterati del suo tempo con cui entrò in contatto: fu molto legato a Svevo - nonostante la differenza di età che li separava -  ed ebbe un rapporto ambivalente con Saba, di cui frequentò a lungo la libreria e di cui corteggiò la figlia Linuccia, ma con cui a un certo punto ruppe in maniera abbastanza clamorosa, esprimendo giudizi anche piuttosto aspri sul poeta triestino. Fu assai amico di Montale (sebbene non mancò qualche screzio fra i due), mentre non riuscì mai a comprendersi con Pier Paolo Pasolini o, per esempio, con Alberto Moravia. Vicinissimi gli furono lo scrittore istriano Pier Antonio Quarantotti Gambini - che andava spesso a trovare nella sua casa a Venezia - e, negli ultimi anni della sua vita, Stelio Mattioni.

 Cristina Battocletti

 Per molti che lo conobbero incarnò il prototipo dell'intellettuale invidiabile per preparazione e ammirevole per finezza, ma anche insopportabilmente snob. Poco dotato di senso pratico, restio a impegnarsi in un lavoro stabile, passò la vita fra pareri di lettura, suggerimenti, consulenze; sognò di mettere la sua cultura al servizio del cinema, ma non diede mai seguito a questa aspirazione. Con gli editori ebbe spesso un rapporto difficile, contrastato: per questo, in alcuni frangenti della sua esistenza, versò anche in condizioni economiche assai precarie.
 Fatto salvo l'antifascismo, maturato perlopiù negli anni delle leggi razziali e in quelli della guerra, non sviluppò mai una vera e propria coscienza politica; facile capire come non riuscisse a entrare pienamente in sintonia con la casa editrice Einaudi, ancorata a posizioni marxiste. 
 Cercò per tutta la vita la giusta misura del suo rapporto con le donne: amava corteggiarle, e loro erano affascinate dalla sua intelligenza e dalla sua cultura; ma esitava a rinunciare alla sua libertà per legarsi più strettamente a una di loro.
 Nel suo giro di amici ebbe anche fama di "scoppia coppie", per la sua abitudine al pettegolezzo galante, per la velleità di "combinare" e "consigliare" unioni sentimentali fra conoscenti, per le licenze che si prendeva anche con le mogli e le compagne dei suoi sodali. Oltre a Linuccia Saba, gli furono vicine negli anni giovanili Duska Slavik, la vivace Margarete Frankl detta Gerti e in qualche modo molte altre donne piene di charme; solo nel secondo dopoguerra, però, trovò un legame stabile, seppure a distanza, con Ljuba Blumenthal (lei viveva a Londra, lui a Roma). 
 Evitando un approccio biografico prettamente cronologico, questo libro prova a indagare la complessa personalità di Bazlen procedendo a un'analisi per "blocchi tematici" (il rapporto con Svevo, l'amicizia con Saba, la scoperta della psicanalisi, il rapporto con Trieste, ecc.), quasi a cercare di trovare, con una manovra di accerchiamento, la chiave giusta per coglierne l'essenza sfuggente.
 La Battocletti sembra infine individuare questa chiave proprio nei riferimenti psicanalitici funzionali a spiegare tanti aspetti della figura di Bobi e della sua storia: dalla tendenza ad agire nell'ombra per indirizzare le vite degli altri mantenendosene ai margini alla difficoltà a impegnarsi seriamente in qualcosa, dal punto di vista umano o professionale; dal costante bisogno di viaggiare (ma sarebbe forse meglio dire di vagabondare) al netto rifiuto di tornare a vivere a Trieste dopo averla abbandonata negli anni trenta.
 Il realtà questo approccio e questo metodo, scelti forse per evitare di banalizzare la biografia di Bazlen trasformandola in un quadretto di maniera, finiscono per non risolvere in modo coerente il ritratto di questo problematico personaggio, immiserendolo un po', e togliendogli gran parte del suo fascino.
 La cosa più bella del libro è forse la felice formula con cui Bazlen viene descritto come "poeta di note editoriali, aforista geografico": un modo per compendiare l'efficacia dei suoi fulminei giudizi sui libri letti e sui luoghi visitati.
 Ma è un po' poco per essere conquistati fino in fondo da questo testo, pure frutto di una ricerca seria e ricco di molte preziose informazioni.

Voto: 6-

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