venerdì 13 ottobre 2017

Tommaso Landolfi, "Viola di morte", Adelphi


 Viola è un colore malinconico ed elegante; viola è uno strumento musicale struggente ed elegante; viola è un fiore delicato ed elegante. Malinconia, delicatezza, musicalità e suprema eleganza sono gli estremi con cui Tommaso Landolfi si esercita sul tema ossessivamente ricorrente della morte, in questo diario in versi ripubblicato da Adelphi solo quarant’anni dopo la sua prima uscita, nel 1972.
 Nei componimenti, tutti piuttosto brevi, polimetri ma con una certa prevalenza dell’endecasillabo e del novenario, si avverte la mano dello scrittore colto, nel cui orecchio risuonano i versi di tutti i numi tutelari della poesia italiana, insieme a tutte le inquietudini della sua e di altre epoche.
 Fra tutti, quelli che fanno sentire di più la propria influenza sono Leopardi per la dolcezza e il pessimismo di fondo della sua indole lirica, e Dante per la prevalenza di tematiche ctonie (sebbene l’abbrivio di molti componimenti sia decisamente petrarchesco).
 Lo squallore della prospettiva di una morte senza scampo che si avvicina domina tutta la raccolta, nonostante il poeta cerchi in ogni modo di scardinare l’ineluttabilità di questa morte, senza però mai abbandonarsi alle facili consolazioni di una fede religiosa accomodante. 

 Tommaso Landolfi

 Beninteso, Dio compare nella poesia di Landolfi; ma è un Dio contro cui ci si infuria, è un Dio che si insulta (fino alla bestemmia vera e propria), è un Dio che si provoca forse nella speranza di ottenerne una reazione; è un Dio, insomma, che si accusa apertamente di baloccarsi con le tragiche, dolorosissime sorti degli uomini, da irresponsabile o da sadico.
 L’unica vera consolazione nel deserto della vita (le illusioni della gioventù, infatti, sono presto spazzate via, e la vita diventa simile a un deserto) è la donna, bionda o bruna, oggetto del desiderio erotico o surrogato di una madre accogliente, capace, orazianamente, di far dimenticare per un istante lo spettro dell’annullamento fisico. 
 Ciò accade però quando la donna è presente; cosa che non succede spesso, perché al contrario essa è quasi sempre lontana, assente, restia a concedersi, e per questo rabbiosamente maledetta.
 Non resta allora che rassegnarsi al naufragio, non senza il brivido di libidine estetizzante che accompagna ogni abbandono. 
 Questa, forse, una delle poesie più significative della raccolta:

Differire è la magica parola
Che dà alla nostra vita luce e sole:
Perché odieremmo la morte
Se non perché ci vieta il differire?
Chi può ciò fare, vive.

Voto: 6,5

Nessun commento:

Posta un commento