Viola è un colore malinconico ed
elegante; viola è uno strumento musicale struggente ed elegante; viola è un
fiore delicato ed elegante. Malinconia, delicatezza, musicalità e suprema
eleganza sono gli estremi con cui Tommaso Landolfi si esercita sul tema
ossessivamente ricorrente della morte, in questo diario in versi ripubblicato da
Adelphi solo quarant’anni dopo la sua prima uscita, nel 1972.
Nei componimenti, tutti piuttosto
brevi, polimetri ma con una certa prevalenza dell’endecasillabo e del
novenario, si avverte la mano dello scrittore colto, nel cui orecchio risuonano
i versi di tutti i numi tutelari della poesia italiana, insieme a tutte le
inquietudini della sua e di altre epoche.
Fra tutti, quelli che fanno
sentire di più la propria influenza sono Leopardi per la dolcezza e il
pessimismo di fondo della sua indole lirica, e Dante per la prevalenza di
tematiche ctonie (sebbene l’abbrivio di molti componimenti sia decisamente
petrarchesco).
Lo squallore della prospettiva di
una morte senza scampo che si avvicina domina tutta la raccolta, nonostante il
poeta cerchi in ogni modo di scardinare l’ineluttabilità di questa morte, senza
però mai abbandonarsi alle facili consolazioni di una fede religiosa accomodante.
Tommaso Landolfi
Beninteso, Dio compare nella
poesia di Landolfi; ma è un Dio contro cui ci si infuria, è un Dio che si
insulta (fino alla bestemmia vera e propria), è un Dio che si provoca forse
nella speranza di ottenerne una reazione; è un Dio, insomma, che si accusa
apertamente di baloccarsi con le tragiche, dolorosissime sorti degli uomini, da
irresponsabile o da sadico.
L’unica vera consolazione nel
deserto della vita (le illusioni della gioventù, infatti, sono presto spazzate
via, e la vita diventa simile a un deserto) è la donna, bionda o bruna, oggetto
del desiderio erotico o surrogato di una madre accogliente, capace,
orazianamente, di far dimenticare per un istante lo spettro dell’annullamento
fisico.
Ciò accade però quando la donna è presente; cosa che non succede spesso,
perché al contrario essa è quasi sempre lontana, assente, restia a concedersi,
e per questo rabbiosamente maledetta.
Non resta allora che rassegnarsi
al naufragio, non senza il brivido di libidine estetizzante che accompagna ogni
abbandono.
Questa, forse, una delle poesie più significative della raccolta:
Differire è la magica parola
Che dà alla nostra vita luce e
sole:
Perché odieremmo la morte
Se non perché ci vieta il
differire?
Chi può ciò fare, vive.
Voto: 6,5
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