sabato 27 gennaio 2018

Lars Gustafsson, "Il pomeriggio di un piastrellista", Iperborea


 I libri di Lars Gustafsson, grande scrittore svedese scomparso poco meno di due anni fa, sono fra i pochi in cui il lettore veramente non riesce a intuire come andrà a finire la storia che si sta raccontando; e questo non in virtù di una trama rocambolesca, o grazie a un utilizzo parossistico dell'artificio della suspense, ma per via dell'adozione di una logica assolutamente non convenzionale, sganciata dal senso comune e legata, piuttosto, alle divagazioni onirico surrealistiche che occupano così tanto spazio nella vita interiore di ciascuno di noi da costringerci costantemente a uno sforzo volontaristico per venire faticosamente a patti col principio di realtà.
 Il pomeriggio di un piastrellista (ripubblicato recentemente da Iperborea 25 anni dopo la sua uscita) narra la vicenda di Torsten Bergman, un artigiano di 65 anni, che dopo la morte della moglie e del figlio vive da solo nella sua casa di Uppsala, mantenendosi con la piccola pensione che gli passa lo Stato, e continuando occasionalmente a svolgere piccoli lavori per cui si fa pagare in nero.
 Torsten è una persona sola, ma non è un sociopatico; semplicemente, i dolori della vita, la vecchiaia che avanza e l'alcool al cui consumo spesso indulge lo hanno reso indolente, astratto, talvolta confuso, un poco misantropo. Così, nel giardino della sua abitazione, dietro la siepe che la circonda, vecchi rottami arrugginiscono esposti alle intemperie senza che egli se ne curi; le scorte di piastrelle messe da parte in anni di pratica del mestiere e i suoi stessi attrezzi da lavoro giacciono mezzo immersi nella melma della cantina semi-allagata da un guasto alle tubature senza che egli trovi la voglia per riparare il guasto e fare pulizia; e le bollette non pagate si accumulano sopra il frigorifero in cucina.
 E tuttavia, quando un suo conoscente, l'idraulico finlandese Pentti - che a stento parla lo svedese, ma è un brav'uomo e una persona seria -, gli propone di completare un lavoro in una casa in ristrutturazione, lasciato a metà da chi l'ha preceduto, Torsten si scuote dal suo torpore e accetta: in fondo, un po' di contanti gli farebbero davvero comodo.
 In una mattinata grigia e piovosa del mese di novembre 1982, Torsten porta la sua vecchia auto non revisionata fuori dal garage e, sfidando la sua desuetudine alla guida, la precarietà della sua vista e i suoi occhiali incredibilmente sporchi, si reca all'indirizzo che Pentti gli ha dettato al telefono. In quel luogo, in mezzo a un prato solcato dalle tracce degli pneumatici dei vari automezzi che vi sono entrati, sorge una grande casa, che forse un tempo è stata anche elegante.
 Nessuno sembra aspettarlo lì; Torsten prende allora l'iniziativa ed entra dal sontuoso portone d'ingresso, e si accorge che, mentre l'appartamento al piano superiore, con ogni evidenza, è abitato da qualcuno (si sentono dei rumori provenire da dietro la porta in cima alle scale, dove un provvisorio biglietto di carta riporta il nome di una certa Sophie K.), il pianterreno è un vero e proprio cantiere aperto. Una sommaria esplorazione dell'appartamento in via di ristrutturazione suggerisce all'anziano artigiano che il luogo in cui è richiesto il suo intervento è il bagno: una grande stanza il cui pavimento e le cui pareti sono ricoperte con materiali di ottima fattura, ma dove il piastrellista che ha lasciato il lavoro a metà sembra aver operato al buio o sotto l'effetto di stupefacenti. All'inizio perfettamente allineate, infatti, le file di piastrelle diventano sempre più approssimative, le fughe poco curate, la posa maldestra, la stesura degli stucchi abborracciata.

 Lars Gustafsson

 Dopo aver bussato - alla ricerca di qualche informazione sulle richieste del committente - alla porta dell'appartamento del piano superiore, senza ottenere risposta, Torsten si mette al lavoro rimuovendo innanzitutto a forza di martellate ciò che è stato fatto malamente e che deve essere rifatto.
 Si dice che il lavoro nobiliti l'uomo; di certo in Torsten induce uno stato di equilibrio interiore e di benessere quasi ipnotico, che fa nascere nella sua mente i pensieri più lucidi, e le immagini più vivide. Così, le file di piastrelle via via sempre più sgangherate e sconnesse che egli riduce in frantumi diventano per lui l'immagine metaforica del trasformarsi di ogni vita, nonostante le promettenti premesse iniziali, in un inevitabile fallimento (come del resto suggerisce la frase di Sartre che Gustafsson pone in esergo al testo); così, la misteriosa Sophie K., che presumibilmente occupa l'appartamento al piano superiore, appare alla fantasia del protagonista ora come una giovane pittrice di quadri astratti, ora come una rossa procace di sorprendente bellezza, ora come una vecchina che afferma di aver conosciuto Torsten quand'era ragazzo, e abitava nella soffitta sopra il negozio di suo zio, lo stagnaio, ad Hallsta.
 In queste divagazioni della mente, realtà e immaginazione, passato e presente paiono confondersi e sovrapporsi: ciò che è fantastico appare tanto vivido da poter essere scambiato per un dato reale, mentre ciò che è vero appare talvolta così poco plausibile da sembrare frutto di fantasia.
 Come giudicare allora Stickan, il vecchio amico che Torsten incontra al Centro Edilizio dove si reca, in assenza del supporto logistico di chi gli ha commissionato il lavoro, per vendere due rubinetti cromati smontati nel bagno, onde procurarsi il collante e lo stucco necessari per completare la piastrellatura, e che - sfaccendato - lo segue nel cantiere in cui sta lavorando con l'intenzione di dargli una mano durante il pomeriggio? E' un uomo in carne e ossa o solo un miraggio, creato dall'acquavite a cui Torsten ha dato fondo al momento del pranzo?
 Il pomeriggio è il momento della giornata (e, simbolicamente, la stagione della vita) del piastrellista in cui tutto pare confondersi e andare a rotoli; eppure nel contempo tutto acquisisce ordine e senso, anche se si tratta di un ordine che asseconda la misteriosa logica interiore del protagonista, anche se un senso si delinea solo nella prospettiva di un recupero, da parte di Torsten, di una consapevolezza esistenziale che aveva smarrito.
 Giunto in prossimità della fine del suo lavoro, infatti, il protagonista si rende conto di avere scioccamente sbagliato indirizzo, e di avere lavorato per tutto il giorno in una casa che non è quella in cui era richiesto il suo intervento: Pentti gli aveva chiesto di andare a Malma Skogsvag, e non a Skogstibblevagen! Ma anche all'indirizzo sbagliato c'era una casa da ristrutturare, e il lavoro è stato eseguito a regola d'arte: anche se forse nessuno lo pagherà, questo è per Torsten motivo di orgoglio e soddisfazione.
 E poi, la casa in cui è capitato per caso (un po' come in una vita vissuta fuori dal suo destino immanente) ha francamente qualcosa di magico o di stregonesco, di inquietante e di affascinante. Ne conviene anche Stickan, che è tornato dall'amico dopo aver riaccompagnato a casa una donna che si era presentata sulla soglia dell'abitazione insieme ai suoi due bambini a chiedere aiuto, in seguito a una lite col marito che l'aveva scacciata...
 E' scesa la sera ormai, e non sembra esserci altro da fare che abbandonare il cantiere, chiudere la parentesi di quella giornata sconclusionata, e tornare ciascuno alla propria routine quotidiana. Ma proprio in quel momento, qualcuno bussa energicamente alla porta d'ingresso dell'appartamento. Chi può essere, a quell'ora?
 Il libro si chiude così, senza darci la possibilità di sapere chi troveranno finalmente dietro la porta Torsten e Stickan.
 Il pomeriggio di un piastrellista costituisce uno di quei rari casi in cui un testo narrativo riesce a unire concretezza descrittiva, leggerezza fantastica e densità metaforica in un amalgama stilistico di assoluta compattezza: come un fascio di luce del quale, curiosamente, si palesino insieme la natura corpuscolare e ondulatoria.
 Nella sua scombinata attitudine al lavoro, Torsten Bergman assume un rilievo umano straordinario: come a dire che bellezza, profondità e fantastica capacità di astrazione, in questo mondo doloroso, e ingiusto, e irrazionale, e mutevole, e cinico, e distratto, si possono trovare dovunque e in chiunque, indipendentemente dal destino che il caso gli cuce addosso (in questo senso, Torsten sembra fare da involontario contrappunto a un altro piastrellista della letteratura, il Dolfo fratello del protagonista di Seminario sulla gioventù, che Aldo Busi descriveva come un uomo arreso, ridottosi allo stato amorfo di un pavimento, per essersi passivamente adattato a svolgere un lavoro manuale nonostante la sua propensione intellettuale, il suo talento e il suo amore per il latino e per i classici: due punti di vista diversi per due scrittori agli antipodi per temperamento, formazione, interessi).
 La scrittura è scorrevole, lieve, precisa, efficace: raccontando con semplicità situazioni che possono risultare famigliari a ciascuno, riesce a parlare d'altro.
 Insomma, di sicuro siamo di fronte a uno dei romanzi meglio riusciti di Lars Gustafsson.

Voto: 7,5

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