domenica 14 gennaio 2018

David Szalay, "Tutto quello che è un uomo", Adelphi


 Una decina di anni fa mi capitò di recensire un libro - uno di quei testi che si propongono come letture da diporto, leggere, spiritose, ironiche, intelligenti - che pretendeva di classificare le donne secondo categorie che si volevano, se non proprio oggettive, certo razionalmente fondate, e tese a individuare modelli "tipici" e facilmente riconoscibili, psico-antropologicamente standardizzati, di femminilità; credo che avesse come titolo qualcosa come I venti tipi di donna.
 Nonostante fosse chiaro fin dall'inizio che l'autore - o gli autori, ora non ricordo - non intendessero prendersi troppo sul serio, quel misto di scanzonata superficialità e di capziosa acribia tassonomica che costituiva lo stile di fondo del libro finiva per ricalcare una serie di luoghi comuni sul genere femminile la cui bonaria presa in giro altro non era, di fatto, che una forma di legittimazione; e siccome, in questo modo, l'impressione complessiva era che il libro prendesse molto più sul serio di quanto dava mostra di fare la sagacia dei principi di classificazione adottati, l'effetto finale era piuttosto deprimente: venti tipi di donna sembravano davvero al costernato lettore o troppi o troppo pochi.
 A tutt'altro livello di complessità anche All that Man is rischia di cadere nella medesima trappola: il libro, infatti, si compone di nove racconti "esemplari" che individuano nove figure maschili molto diverse tra loro, e colte in momenti diversi della loro vita. Queste nove persone, nella loro caleidoscopica capacità di declinare in maniera differente pulsioni, aspirazioni e problemi esistenziali dalla radice consimile, dovrebbero illustrare in maniera esauriente agli occhi del lettore, come recita il titolo, Tutto quello che è un uomo.
 Il fatto è che, in questo caso, la trappola non scatta. Non scatta, prima di tutto, perché i nove racconti hanno uno sviluppo narrativo, e la scrittura narrativa, come sottolinea Annie Ernaux, ha quasi sempre la magica capacità di "disseppellire cose, magari anche una soltanto, irriducibile a ogni sorta di spiegazione - psicologica, sociologica o quant'altro -, una cosa che sia il risultato del racconto stesso, e non di un'idea precostituita o di una dimostrazione".
 Non scatta perché le vicende dei nove racconti, messe in ordine, disegnano lo sviluppo della vita umana dall'adolescenza alla vecchiaia, ma lo fanno con quel tanto di sfasamento tra un racconto e l'altro da frustrare la tentazione di trasformare i singoli pezzi narrativi nei capitoli di una sorta di unico romanzo a tesi.
 Non scatta, soprattutto, perché in ogni racconto vige la focalizzazione interna: il punto di vista adottato è sempre quello del personaggio di cui si racconta la vicenda, e questo porta il lettore all'immedesimazione, e nello stesso tempo crea quel senso di indeterminatezza rispetto al futuro che rende più avvincente la narrazione e i suoi protagonisti, e li sottrae a qualsiasi sforzo di classificazione. In più, le storie raccontate hanno tutte un finale ostentatamente "aperto".
 Certo, taluni voluti schematismi, che tendono a riportare tutto questo entro una ricercata cornice concettuale, permangono: l'età dei protagonisti dei racconti è progressivamente crescente, e le vicende raccontate si svolgono in mesi dell'anno che vanno in successione da aprile a dicembre, a tematizzare allegoricamente una corrispondenza tra la stagione dell'anno e la stagione della vita attraversata dai personaggi.
 Il primo racconto (che si svolge in aprile) ha come protagonista Simon, un riflessivo diciassettenne inglese che passa le vacanze viaggiando per l'Europa con Interrail insieme al suo amico Ferdinand. Simon appare costantemente dimidiato tra la curiosità di conoscere i luoghi di cui ha letto sui libri e che ha sognato di visitare, e il senso di spaesamento che gli provocano le situazioni per lui inedite in cui si trova suo malgrado, o lo scarso feeling che si palesa con il suo compagno di viaggio. Tanto che spesso finisce per chiedersi: Che ci faccio qui?. Così a Berlino, dove Ferdinand insiste per pernottare a casa di Otto, un ragazzo piuttosto scombinato in cui si sono già precedentemente imbattuti nel corso del loro viaggio; così a Praga, dove la signora quarantenne che li ospita in una camera in casa propria - la moglie di origine serba di un ex calciatore che passa le giornate a fumare indossando una vestaglia piuttosto provocante - tenta di sedurre Simon, ma poi, di fronte alla reticenza di quest'ultimo, ripiega su Ferdinand, che al contrario cede alla tentazione senza dare mostra degli scrupoli dettati all'amico dalla sua ipersensibilità.
 Il secondo racconto (maggio) narra l'avventura di Bernard, un ventiduenne francese di Lille, di famiglia proletaria, che viene licenziato dallo zio imprenditore - presso cui aveva cominciato da poco a lavorare dopo aver mollato l'Università - quando, alla sua svogliatezza, aggiunge la pretesa di usufruire di una settimana di ferie non ancora maturate. Le ferie gli servono per andare a Cipro con il suo amico Baudouin - studente universitario figlio di un dentista, che versa in condizioni economiche ben più floride delle sue -, con cui ha programmato la vacanza, ma che si tira indietro proprio alla vigilia della partenza. Bernard, avendo ormai prenotato e non potendo recuperare i soldi spesi, parte a malincuore da solo, "come uno sfigato". A Cipro si trova ad alloggiare in un albergo di second'ordine, lontano dal mare, privo di aria condizionata, in una stanza dove persino la doccia è fuori uso.
 In maniera del tutto inattesa, il suo soggiorno cipriota subisce una svolta quando, nella sala da pranzo dell'albergo, Bernard incontra Sandra e Charmian, madre e figlia, due burrose inglesi dall'appetito pantagruelico, dalla mole immensa, dal fascino paradossale e quasi ipnotico: estremamente ciarliera la prima, assolutamente silenziosa la seconda. L'incontro si trasformerà presto in una boccaccesca vicenda che vedrà Bernard gratificare della sua esuberante vitalità erotica prima la figlia e poi la madre.
 Al centro del terzo racconto (giugno) vi è invece Balàsz, un ventottenne ungherese, ex militare di stanza in Iraq, che nella vita civile ha trasformato la sua passione per il fitness in un lavoro diventando personal trainer in una palestra. Per arrotondare il suo magro stipendio, Balàsz accetta di fare da guardaspalle a Gàbor - un giovane cliente della palestra che ha accumulato una notevole quantità di denaro con traffici misteriosi e probabilmente piuttosto loschi - e alla sua fidanzata Emma - splendida ragazza dalla prorompente fisicità - durante un viaggio di affari a Londra. Il problema è che Balàsz è più o meno innamorato di Emma; e che, come ha presto modo di scoprire, il "viaggio di affari" organizzato da Gàbor ha lo scopo di trasformare Emma in una prostituta d'alto bordo disposta a concedersi a uomini molto ricchi e importanti che vogliono soddisfare i propri capricci con la garanzia di un'assoluta riservatezza.
 Quando uno dei clienti londinesi di Emma si mostra un po' troppo aggressivo, e la ragazza chiede aiuto, però, il muscoloso Bàlasz interviene picchiando selvaggiamente l'uomo e compromettendo in questo modo i "progetti imprenditoriali" di Gàbor e del suo socio locale, Zoli. Bàlasz viene licenziato in tronco, ma capisce presto che non è un grosso problema; ha ancora tutta la vita davanti a sé, e una quantità di nuove possibilità da cogliere.

 David Szalay

 Il quarto racconto (luglio) parla dei giorni destinati a cambiare la vita di Karel, un brillante filologo di origine belga sulla trentina, che vive a Londra e lavora in Università. Karel è stato incaricato dal padre di Waleria, la giornalista polacca con cui ha ultimamente intrecciato una relazione - che è il capo della polizia e uno degli uomini più potenti della sua città -, di condurre guidando fino in Polonia il lussuoso Suv d'importazione che ha appena acquistato. Karel vuole approfittare del viaggio per organizzare una piccola vacanza di qualche giorno in Germania con Waleria. E' la prima volta che si sente tanto bene con una ragazza. Quando la incontra a Francoforte, però, i programmi di Karel vengono sconvolti dall'annuncio che ella ha in serbo per lui: Waleria ha appena scoperto di aspettare un bambino. Angosciato dalla novità, Karel - che non si sente pronto a diventare padre, che tiene troppo alla sua libertà, e che teme che la sua carriera in impetuosa ascesa venga compromessa da eventuali responsabilità genitoriali - ingiunge bruscamente alla fidanzata di ricorrere all'aborto. La ragazza, che è di tutt'altro avviso, ci rimane molto male; il narratore li lascia così, sospesi intorno all'urgente decisione che sono costretti a prendere e che, in un modo o nell'altro, muterà per sempre le loro esistenze. Hanno tutto il tempo, se vogliono è una delle ultime frasi che viene lasciata ambiguamente cadere in chiusura della narrazione; ma è proprio così?
 Kristian, un giornalista danese di 38 anni, vicedirettore del principale tabloid pubblicato a Copenhagen, è il protagonista del quinto racconto (agosto). Kristian ha una moglie e due figlie, che però non vede praticamente mai, perché vive per il lavoro e passa tutto il suo tempo in redazione o in viaggio per seguire uno dei casi che il suo giornale intende documentare. La narrazione lo coglie alle prese, per l'appunto, con uno di questi "casi". Un collega ha raccolto le prove della relazione extraconiugale fra un Ministro del Governo danese in carica e la moglie di un ricco uomo d'affari. Nei giorni che vedono Kristian mettersi sulle tracce del Ministro - che sta passando qualche giorno di vacanza in Spagna - sulla base delle informazioni precedentemente raccolte, abbiamo modo di constatare come un riconoscimento puramente formale dei principi della deontologia professionale, l'opportunismo e una enorme dose di cinismo abbiano sostituito totalmente in quest'uomo l'etica e il rispetto di se stesso e degli altri. In fondo la sua vita si è trasformata in qualcosa di simile a una campagna militare, dove l'amore è stato rimosso come una cosa secondaria o comunque superflua, e le regole che contano sono esclusivamente quelle della "guerra".
 Il titolo del sesto racconto (settembre) potrebbe essere: La vita non è un gioco. James ha 44 anni, vive a Londra, e lavora per un grande gruppo immobiliare che si occupa della commercializzazione di prestigiosi complessi residenziali destinati ai turisti nelle più belle valli dell'arco alpino. E' abile e brillante nel sua professione, guadagna bene, ha una moglie e due figli che ama, ma difficilmente lo si potrebbe dire felice, perché sente pesare come un macigno sulle sue spalle la responsabilità di tutto quello di cui deve occuparsi: la sua famiglia, la sua casa, il suo lavoro; sente di avere un'età in cui non è più concesso scherzare, eludere le proprie incombenze, commettere errori: non c'è più nessuno spazio per la leggerezza e per la sperimentazione di cose nuove.
 Così, quando durante un viaggio di lavoro in Francia, in una bellissima vallata verde, incontra Paulette, una madre single di ventinove anni che lavora per un costruttore partner del suo gruppo immobiliare, e fra i due scatta un feeling immediato, e sembra sul punto di nascere un rapporto che va ben al di là della semplice stima professionale e della pura simpatia umana, James si tira indietro, perché ormai sa inequivocabilmente che la vita non è un gioco.
 Nel settimo racconto (ottobre), Murray è un uomo alla deriva: ha 55 anni, e dopo aver perso il lavoro per via delle sue negligenze ha deciso di trasferirsi dalla Gran Bretagna in Croazia, per lasciarsi alla spalle il suo Paese, la sua famiglia (il fratello e la sorella con cui non è mai andato d'accordo, come apprendiamo in apertura di narrazione, quando Murray si presenta, in ritardo, al funerale di sua madre), e tutta una società di cui non è mai riuscito a sentirsi propriamente parte. Vuole vivere da signore, lui, in un posto molto meno costoso di quello in cui è nato, sfruttando quello che ha ereditato e quello che gli è rimasto dal periodo in cui lavorava. Alla prova dei fatti, però, si rende presto conto che le cose non stanno esattamente come aveva immaginato: neppure in Croazia le sue scarse sostanze gli bastano per vivere agiatamente, non gli servono per farsi guardare da donne più giovani di lui, per procurargli gli amici che non ha mai avuto, né la considerazione sociale di cui non ha mai goduto. Murray finisce per realizzare che è e rimarrà agli occhi di molti un mezzo fallito - un miserabile - anche in Croazia, come lo era a Londra. Fanculo tutti quanti è la frase che meglio rappresenta il suo stato d'animo, e che potrebbe quasi diventare il suo motto.
 L'ottavo racconto (novembre) narra la vicenda Aleksandr, un tycoon di 65 anni, un ricchissimo uomo d'affari di origine russa - figlio di un membro della nomenklatura sovietica -, che al momento del crollo dell'Urss è stato abbastanza abile e spregiudicato da riuscire a sfruttare la sua posizione dentro quello che era il Ministero dell'Economia per costruirsi un impero finanziario, diventando una specie di "re del ferro". In realtà, però, dietro il velo delle apparenze - che lo vedono spostarsi tra automobili e natanti di lusso, circondato da innumerevoli uomini di servizio pronti a soddisfare qualunque suo capriccio -, il suo impero finanziario è sul punto di sgretolarsi: sua moglie - la sua terza moglie - lo ha lasciato proprio nel momento in cui una serie di investimenti sbagliati e una causa temerariamente intentata contro un suo vecchio nemico minacciano di intaccare gravemente le sue sostanze. Come gli fa notare Lars, l'avvocato che cura i suoi interessi, gli toccherà vendere il suo mega yacht, il suo jet privato, le sue case, le sue vigne, la maggior parte delle sue aziende. Gli rimarrà ancora di che vivere agiatamente, ma il suo potere economico sarà completamente annullato. Per chi è abituato a vedersi e a essere trattato alla stregua di un sovrano, una simile prospettiva risulta assolutamente deprimente; tanto che l'uomo pensa di togliersi la vita, senza però avere né la determinazione né il coraggio per farlo davvero. La conclusione mette a fuoco il profilo di un individuo che ha sacrificato al potere ogni cosa, e che, perso il potere, appare inevitabilmente finito.
 L'ultimo racconto (dicembre) ha per protagonista Tony. Tony ha 73 anni, ed è un ex membro del corpo diplomatico inglese ora in pensione (ci viene detto che in passato ha lavorato con John Major e con Tony Blair). Nel corso della narrazione scopriamo anche che è il nonno di Simon, il protagonista del primo racconto: quasi a voler chiudere idealmente il cerchio dell'impianto diegetico della raccolta. Lo troviamo in Italia, nella casa che con la moglie ha comprato nella campagna emiliana alla fine della sua carriera: un buen retiro, forse non elegante come quello che aveva sognato di possedere sulle colline toscane, ma a cui negli anni ha avuto modo di affezionarsi.
 Tony è un uomo ancora lucido e capace, ma su tutto quello che fa e su tutto quello che sogna incombe inevitabilmente il pensiero di essere ormai prossimo al crepuscolo della propria esistenza; e ciò che è più doloroso è il fatto che l'età non gli ha regalato la saggezza, né lo ha aiutato a trovare la chiave per dare un senso compiuto alla propria vita, né gli ha concesso il privilegio di fare pace con le proprie debolezze, le proprie paure, le proprie angosce; anzi, se possibile le ha acuite. Così, il rapporto con la moglie Joanna (che è più giovane di lui e che ancora lavora), che in alcuni frangenti era stato buono, è stato definitivamente incrinato dall'emergere della sua incontestabile, inconfessata, perpetuamente elusa omosessualità; i successi ottenuti nel suo lavoro, che aveva sperato potessero lasciare un durevole ricordo di lui, gli sembrano tutto sommato poca cosa. La sua unica consolazione è l'affetto dell'amatissima figlia Cordelia, la madre di Simon.
 E' proprio Cordelia a stargli vicino durante la convalescenza dopo un brutto incidente d'auto avuto in Italia, presso l'abbazia di Pomposa, quando le ombre della sua condizione si addensano chiudendogli completamente l'orizzonte. Ma neppure Cordelia può cambiare le cose, neppure il suo amore può fare da argine all'ineluttabile distruttività del passare del tempo.
 Forse - come suggerisce a Tony un verso di una poesia del nipote Simon che Cordelia gli ha orgogliosamente mostrato - all'uomo non è concessa altra soluzione per trovare la serenità da quella che comporta l'accettazione della propria impermanenza: l'abbandonarsi al tempo, che è l'unica cosa che dura, e la cui durata comporta di per sé la dissoluzione di ogni altra cosa.
 Il libro è estremamente suggestivo e ben scritto, e molti dei personaggi sono concepiti in maniera tale da risultare davvero memorabili. I parametri che vengono presi in considerazione per costruire la psicologia di uomini dal profilo umano tanto diverso sono, alla fine dei conti, pochi e ricorrenti: la coscienza di sé, la coscienza del tempo che passa, il rapporto col sesso, il rapporto col denaro, l'ambizione, la paura. Non c'è Dio, e l'amore è qualcosa di estremamente labile, transeunte, inconsistente. Ognuno appare, alla fine, desolatamente solo.
 La lettura è assolutamente interessante; ma il limite più grosso di quest'opera resta nel fatto che, con tutti i suoi pregi, si tratta di un libro fondamentalmente presuntuoso, a tratti un po' troppo meccanicamente schiavo dell'articolato impianto concettuale secondo cui è stato concepito.

Voto: 6,5

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