domenica 25 febbraio 2018

Paolo Maurensig, "Il diavolo nel cassetto", Einaudi


 Possiamo immaginare che questo romanzo breve - il cui momento di inerzia è costituito dal carattere ambiguo del desiderio che quasi ogni scrivente nutre di vedere pubblicati i propri lavori - nasca da due spinte contrastanti: da una parte, la constatazione che, oggi come oggi, la propensione alla scrittura eccede addirittura quella alla lettura. Ogni tanto si ha infatti l'impressione che quelli che scrivono siano paradossalmente più numerosi di quelli che leggono; una tendenza che va di pari passo con la dilagante abitudine di pretendere sempre di esprimere la propria opinione senza sentirsi in obbligo di ascoltare quella degli altri, e che, nell'ambito specifico della scrittura creativa, si può tradurre nella convinzione di avere patenti qualità letterarie senza avere un'idea precisa di cosa sia in effetti la letteratura.
 D'altra parte, la consapevolezza che non esiste una formula univoca da applicare per determinare preliminarmente la riuscita di un testo scritto, e che il sogno legittimo di qualsiasi aspirante scrittore di arrivare al successo editoriale raggiungendo il vasto pubblico può realizzarsi nella maniera più imprevedibile: il romanzo d'esordio di Paolo Maurensig, La variante di Lüneburg, è stato l'unico libro a uscire per i tipi di Adelphi negli ultimi quarant'anni approdando sul tavolo dell'editore senza essere stato presentato da un'agenzia letteraria.
 Tale problematico confronto di istanze antitetiche trova espressione nelle forme di quello che potremmo definire un fantasioso apologo incastonato nella cornice di una situazione del tutto realistica.
 Il narratore immagina infatti di trovarsi nella necessità di liberare una stanza del proprio appartamento in cui, negli anni, si sono accumulati gli innumerevoli manoscritti a lui inviati da aspiranti scrittori in cerca dei suoi consigli o della sua approvazione, magari nella mal dissimulata speranza di essere presentati a un editore. Mentre fa pulizia, gli capita fra le mani una busta ancora sigillata, che giace lì da molto tempo, e che contiene dei fogli dattiloscritti. 
 Aperta la busta e messosi a leggere, il narratore (o meglio, quello che in termini narratologici dovremmo definire "narratore di primo grado") viene catturato dal racconto che quei fogli riportano. Lo scrivente, un certo Friedrich (a tutti gli effetti il "narratore di secondo grado"), ricostruisce ciò che gli accadde nel mese di settembre del 1991 quando, in qualità di consulente di una piccola casa editrice, si era recato a Küsnacht - la cittadina in cui visse e morì Carl Gustav Jung, in Svizzera, sul lago di Zurigo - in occasione di un convegno di psicoanalisi, con l'intenzione di trovare autori per una nuova collana dedicata a questa materia. 
 Lì Friedrich aveva conosciuto un singolare personaggio, un sacerdote esperto di psicoanalisi e inserito fra i relatori del convegno, che alloggiava nella sua stessa pensione. Il sacerdote, padre Cornelius - che, incontrato una prima volta lungo un sentiero in un bosco nei pressi dell'abitato, lo aveva messo in guardia contro il morso delle volpi portatrici della terribile rabbia silvestre -, era stato avvicinato dal giovane editor una sera subito dopo la cena e, davanti a un boccale di birra, gli aveva raccontato una storia affascinate e inquietante insieme, che Friedrich sceglie di riportare integralmente come la ascoltò dalla viva voce del sacerdote (trasformando costui, di fatto, in un "narratore di terzo grado"). 
 Dieci anni prima del loro incontro, nel 1981, padre Cornelius era stato inviato in qualità di viceparroco in un villaggio di poco più di mille anime stretto in una cupa vallata fra le Alpi svizzere. Il villaggio, Dichtersruhe (in tedesco "Il riposo del poeta"), era noto per aver ospitato per un paio di notti Goethe di ritorno dal suo viaggio in Italia, anche se nessuno poteva stabilire con certezza dove Goethe avesse alloggiato.
 Nonostante l'apparente vocazione turistica, il villaggio era così poco accogliente nei confronti di chiunque venisse da fuori che padre Cornelius si era subito trovato in difficoltà nel tentativo di avvicinare i suoi parrocchiani. Sembrava che non ci fosse modo di indurli a considerarlo uno di loro.

Paolo Maurensig

 Solo dopo qualche tempo padre Cornelius aveva notato un particolare che gli aveva fornito la chiave per conquistare il cuore dei cittadini di Dichtersruhe: moltissimi fra i valligiani, indipendentemente dall'età, dalla professione, e dal ceto sociale di appartenenza, scrivevano. Scrivevano, e si recavano all'ufficio postale con le voluminose buste contenenti i loro manoscritti per spedirli a qualcuno dei maggiori editori del Paese, nella speranza di vedere le loro opere trasformate in libri stampati, rilegati, distribuiti e venduti.
 Scriveva l'anziano parroco del villaggio, sempre chiuso nel suo studio profumato di legno di pino; scriveva il borgomastro; scrivevano i gestori delle principali locande del luogo, ciascuna delle quali pretendeva di conservare tracce del passaggio di Goethe; scrivevano gli artigiani, i giardinieri, i camerieri, le casalinghe; scrivevano gli adulti e scrivevano i ragazzi. Sembrava davvero che tutti scrivessero a Dichtersruhe.
 Padre Cornelius aveva allora cominciato a inserire nei suoi sermoni riferimenti letterari, e accenni a quanto fossero nobili e difficili i mestieri del poeta e del narratore; e la chiesa, prima semideserta, in occasione delle funzioni domenicali aveva magicamente cominciato a presentarsi traboccante di fedeli.
 Un giorno, però, preannunciato da una strana epidemia di rabbia silvestre - portata da frotte di volpi che nessuno riusciva a individuare e a catturare, ma che di notte facevano ben sentire i loro tetri guaiti -, era giunto a Dichtersruhe, su una macchina nera con i vetri oscurati condotta da un autista, un misterioso individuo che si faceva chiamare Bernhard Fuchs, e diceva di essere un importante editore di Lucerna. Fuchs si era presentato con un progetto capace di mandare in fibrillazione l'intera cittadinanza: installare nel villaggio alpino, nel nome di Goethe, una filiale della sua prestigiosa casa editrice. 
 Tutti gli aspiranti scrittori di Dichtersruhe, con il parroco e il borgomastro in testa, erano andati in estasi di fronte alla prospettiva di avere a portata di mano colui che avrebbe potuto realizzare i loro sogni segreti. Solo padre Cornelius aveva riconosciuto subito la terribile natura di quel personaggio:  agli occhi del sacerdote, Bernhard Fuchs (in italiano "Bernardo la Volpe"), chiaramente, altri non era che il diavolo in persona, venuto a traviare i suoi fedeli con la più subdola delle tentazioni, capace di titillare quant'altre mai il loro amor proprio e la loro vanità.
 Padre Cornelius, nonostante l'immediata agnizione, non aveva potuto impedire che il sedicente editore si insediasse in un appartamento messo a disposizione dal borgomastro, che destinasse agli uffici della sua filiale due locali concessi dal parroco, e che su sua iniziativa venisse istituito un premio letterario che sembrava fatto apposta per gratificare le più smodate ambizioni degli abitanti di Dichtersruhe.
 Ognuno dei cittadini aveva diligentemente consegnato alla giuria del premio, nella quale lo stesso padre Cornelius era stato incluso, il proprio manoscritto, e si era messo ad attendere il responso degli "esperti" chiamati a leggerlo.
 Sommerso da una massa irriducibile di composizioni per lo più sciatte e illeggibili, padre Cornelius era stato costretto a cominciare a respingere a uno a uno tutti i manoscritti passati in rassegna, scatenando l'odio inestinguibile dei loro autori, e una feroce gelosia collettiva  nei confronti di chi ancora non era stato bocciato dai giudici del concorso.
 Infine, quando la situazione era divenuta ingovernabile, e Bernhard Fuchs si era palesato per un impostore, padre Cornelius si era fatto carico del malcontento generale, si era recato nell'appartamento dell'editore e lo aveva freddato senza pietà con un revolver che qualcuno aveva recapitato al suo indirizzo: quasi che il diabolico piano del demonio contemplasse il proprio omicidio come compimento definitivo del malvagio capolavoro accuratamente architettato. 
 Friedrich, il consulente editoriale che aveva raccolto la testimonianza di padre Cornelius, riprendendo la parola racconta come al termine della serata fosse andato a dormire con l'angoscia nel cuore e, per tutta la notte, fosse stato tormentato dal lamento angoscioso delle volpi. Il giorno dopo, al suo risveglio, aveva scoperto che il sacerdote era scomparso; il corpo senza vita di padre Cornelius sarebbe poi stato ritrovato in fondo a un dirupo con il volto sfigurato, probabilmente proprio dalle volpi, e dopo il ritrovamento sarebbe venuto a galla il suo passato: il suo controverso rapporto con un allievo del seminario in cui aveva insegnato, l'omicidio commesso, e i dieci anni passati in un manicomio criminale dal quale era stato da poco dimesso, solo all'apparenza completamente ristabilito.
 Informazioni apprendendo le quali il lettore è portato a sospettare che il diavolo in persona fosse non Bernhard Fuchs, ma lo stesso padre Cornelius.
 Creando una gustosa, avvincente e articolata allegoria, Paolo Maurensig riflette sullo iato esistente tra i nostri sogni e la realtà e, nel contempo, sull'assurdo moralismo insito nella pretesa di stabilire regole censorie capaci di stigmatizzare quei sogni e di ricondurli entro l'alveo di norme precise e realisticamente fondate. 
 Il risultato ottenuto dallo scrittore goriziano è un racconto lungo che sembra quasi uscito dalla penna di Dino Buzzati.
 Da rimarcare la splendida copertina dell'edizione italiana del testo.

Voto: 6+

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