sabato 4 aprile 2020

Patrick Modiano, "Il nostro debutto nella vita", Einaudi


 Anche questo testo teatrale, come tutti i romanzi di Modiano, insiste sul tema della misteriosa persistenza della memoria, della potenza dei ricordi che impregnano gli ambienti frequentati dagli uomini al punto da ricreare il mondo, da permettere di rimpiazzare la realtà incidentale del momento storico attuale con la realtà stratificata e molteplice che scaturisce dal sovrapporsi al presente di tutti i tempi passati, con i fantasmi di tutti coloro che li vissero e li popolarono.
 Protagonista del dramma è Jean, che torna a molti anni di distanza dalla prima volta nel teatro in cui, da giovane, quando era ancora un aspirante scrittore, aveva fatto parte di una compagnia teatrale e aveva conosciuto Dominique, che interpretava la parte di Nina nella messa in scena del Gabbiano di Checov. 
 Muovendosi nella platea deserta, sul palcoscenico, dietro le quinte e nei camerini dismessi, facendosi aiutare da Robert Le Tapia, il vecchio direttore di scena rimasto in carica fin dai giorni che il protagonista ricorda, Jean prova a rievocare l'epoca in cui, nella Parigi degli anni sessanta, lui e Dominique erano innamorati e la ragazza sembrava essere avviata verso una luminosa carriera da attrice. Jean, invece, allora portava sempre con sé il manoscritto del suo primo romanzo: addirittura, durante i suoi spostamenti, legava al polso con un bracciale e una catena la valigetta che lo conteneva per paura che glielo sottraessero per distruggerlo.
 In quel tempo la madre di Jean, Elvire, attrice a sua volta (ma con ben poca fortuna), tentava di scoraggiare l'amore fra il figlio e Dominique, forse gelosa del successo sul palcoscenico della ragazza, forse semplicemente schiava di una logica edipica; mentre Cavaux, l'uomo che viveva con lei (probabilmente senza che fra i due vi fosse una relazione di natura sessuale), un polveroso giornalista-scrittore con la pretesa di rimpiazzare agli occhi di Jean la latitante figura paterna, cercava di dissuadere il ragazzo dal dedicarsi alla scrittura o, piuttosto, tentava di imporgli - in maniera anche piuttosto oppressiva - il suo stile, i suoi gusti letterari e il suo modo di vedere il mondo. 
 Con tutte le loro patetiche fragilità, la loro ansia impaurita e il loro atteggiamento aggressivo, Elvire e Cavaux incarnano la società tradizionale colma di contraddizioni, semi-paralizzata, corrosa dall'interno dai propri reumatismi morali e terrorizzata dalla marea montante delle novità che troverà espressione nel movimentismo giovanile della fine del decennio.

 Patrick Modiano

 Di fronte al pressing ossessivo e incalzante di Elvire e Caveaux, Jean e Dominique erano stati costretti a sottrarsi a un confronto che, inevitabilmente, si sarebbe trasformato in uno scontro, e a difendere con tenacia la propria autonomia e i propri risicati spazi di intimità, arrivando a dormire insieme dentro il teatro: il camerino era diventato la loro alcova, e la messa in scena del dramma dello scrittore russo lo spazio ideale entro il quale le loro personalità prendevano forma, in una sorta di mise en abyme delle dinamiche della vita reale che rischiava quasi di trasformarsi in una trappola per i due giovani: Dominique, Jean, Caveaux ed Elvire, infatti, sembravano destinati a ricalcare i ruoli di Nina, Treplev, Trigorin, Arkadina.
 Ma Jean era ben risoluto a scongiurare l'accostamento: come aveva avuto modo di ripetere più volte a Dominique, lui non si sarebbe ucciso come accade invece a Treplev alla fine del dramma.
 E tuttavia della logica dei rapporti che intercorrono fra i personaggi teatrali, nella rievocazione di cui consta la piece, anch'egli rimane in qualche modo prigioniero, dato che nelle sue divagazioni oniriche che richiamano in vita gli avvenimenti di tanto tempo prima trovano posto le stesse componenti su cui Cechov ha voluto insistere: amore, morte, sopraffazione, ambizioni artistiche frustrate.
 Solo attraverso la ferma rivendicazione della propria libertà, Jean è riuscito a sottrarsi ai ruoli che altri pretendevano fossero ritagliati su misura per lui e a fare in modo che il suo "debutto nella vita" non ne sia stato nel contempo il culmine e il compimento, con la conseguenza del definitivo accantonamento dei propri sogni e delle proprie speranze.
 Eppure il Jean scrittore realizzato di oggi non può fare a meno di rimpiangere e di andare alla nostalgica ricerca di tutto quello che è stato, anche dei contrasti di quegli anni. Perché? Forse perché gli amori confinati al tempo della gioventù sono i soli che durano? O perché il rimpianto è parte integrante della nostra natura? O forse perché l'essenza della vita sta nella perpetua ricapitolazione di quanto si è sperimentato?
 Anche in questo caso, anche esplorando la scrittura teatrale, che gli è meno consueta rispetto a quella narrativa, Modiano riesce a catturarci con il suo stile originale, semplice e affascinante, che sviluppa sempre le stesse idee cardine, ma dissimula una profondità e una complessità quasi vertiginose; uno stile lontanissimo dall'esibito realismo vernacolare - o addirittura caricaturale - che oggi va tanto di moda. Uno stile che potremmo definire "abissale", e che fa indubbiamente di questo scrittore, mentre è ancora in vita, un classico.

Voto: 7  

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