domenica 10 maggio 2020

Valeria Parrella, "Almarina", Einaudi


 Libro esemplare sotto diversi punti di vista: per equilibrio stilistico, concretezza realistica, intensità emotiva, compattezza narrativa.
 Elisabetta Maiorano è un'insegnante di matematica che presta servizio presso il carcere minorile dell'isola di Nisida, sotto la collina di Posillipo, all'estremità sud-occidentale del quartiere napoletano di Bagnoli. Elisabetta ha poco più di cinquant'anni e da alcuni mesi ha perso il marito Antonio, portato via improvvisamente da un infarto.
 La sequenza dell'arrivo in ritardo in ospedale - dato che, al momento del malore di Antonio, ella stava facendo lezione, e come sempre aveva dovuto lasciare il telefono cellulare sul quale l'avevano cercata in una cassetta di sicurezza all'ingresso della casa di correzione -, del bacio al cadavere del marito già freddo disteso su un tavolo dell'obitorio, del dolore ostentato dalle cognate (che sembravano voler reclamare il monopolio della pena per la morte del fratello), del funerale durante il quale l'unico elemento consolatorio è stato lo sguardo aperto a un affetto sincero del Comandante delle guardie penitenziarie del carcere, pesa ancora come un macigno sul cuore della protagonista.
 Il suo con Antonio, del resto, è stato un autentico legame d'amore, fatto di complicità, dedizione e consonanza di vedute; non perfetto, certo, e non privo di incomprensioni, di attriti, di momenti di appannamento, ma proprio per questo più vero e appassionato, e tale da suscitare una nostalgia senza fine.
 Anche ora che Elisabetta sta recuperando a poco a poco il desiderio di vivere - e magari di avere un uomo accanto -, il sentimento della mancanza del marito, che all'inizio sembrava aggredirla da ogni lato alla sola vista degli oggetti che gli erano appartenuti, o delle stanze che l'avevano visto ridere e parlare, si è rintanato nel fondo della sua coscienza, annidandovisi stabilmente e diventando parte della sua rimodellata identità.
 Il rimpianto più grande di Elisabetta è quello di non avere avuto figli: la gravidanza non era arrivata per via naturale, e anche un tentativo di inseminazione artificiale era andato a vuoto; così la coppia aveva avviato il lungo iter per accedere all'adozione di un bambino, ma la morte di Antonio ha vanificato del tutto il faticoso percorso compiuto.
 I giovani detenuti di Nisida, naturalmente, costituiscono per la protagonista, in qualche modo, dei sostituti dei figli che non sono arrivati. E tuttavia, la notevole problematicità di alcuni di loro, unita al fatto che tutti gli allievi, a un certo punto e senza preavviso, spariscono per sempre dall'orizzonte della loro insegnante - o perché hanno espiato la pena, o perché per decisione del Tribunale vengono affidati ai servizi sociali, o perché, essendo stati condannati a lunghe pene detentive, raggiungono l'età stabilita per passare dal carcere minorile a un penitenziario riservato agli adulti - sconsiglia a educatori e custodi di farsi completamente carico dal punto di vista emotivo delle loro vicende.  
 Eppure non è facile mantenere il necessario distacco per chi ha fatto una scelta come quella di Elisabetta Maiorano che, rientrata a Napoli dopo aver insegnato per anni a Treviso, una volta ottenuta una cattedra di ruolo, ha optato per la scuola di Nisida immaginando solo molto vagamente quello che la aspettava. Nonostante la strafottenza che qualche volta gli allievi mostrano, nonostante il palese disinteresse per la matematica di alcuni di loro, nonostante la scarsissima attitudine alla materia dei più, infatti, frequentando quotidianamente quei giovani cresce la consapevolezza che alla maggior parte di loro è stata di fatto negata l'adolescenza, e qualche volta anche l'infanzia; che, nel migliore dei casi, essi usciranno dal carcere per tornare nell'ambiente in cui sono cresciuti, e l'ambiente in cui sono cresciuti è il motivo principale per il quale si trovano in carcere.

 Valeria Parrella

 E poi, come si fa a non stare dalla loro parte, quando li vede giocare a pallavolo insieme alle guardie, allegri e spensierati come dei ragazzini? Quando si legge la gioia nei loro occhi per il pane che hanno imparato a sfornare frequentando il laboratorio di arti bianche? Quando uno di loro scopre di saper risolvere brillantemente un'equazione e si sente all'altezza di chiunque altro, anche se non potrà mai coltivare il suo talento, perché presto la vita lo porterà lontanissimo dai banchi di una scuola?
 A volte accade che questo senso di solidarietà sfoci in un affetto più profondo: è quello che accade a Elisabetta quando incontra Almarina.
 Almarina è una ragazza romena di 16 anni arrestata per un piccolo furto dopo essere fuggita dalla casa famiglia a cui era stata destinata al suo arrivo in Italia insieme al fratellino, da cui è stata subito separata perché il bambino è stato destinato all'adozione.
 La sua storia è costellata di atrocità: violentata ripetutamente dal padre incestuoso quando ancora era una ragazzina, è rimasta incinta e ha poi dovuto ricorrere all'aborto; alla morte della madre, la nonna ha caricato lei e il fratello su un furgone diretto verso l'Italia per evitarle una vita d'inferno sotto lo stesso tetto del genero degenerato. Per pagarsi il viaggio e proteggere il bambino, però, Almarina ha dovuto concedersi più volte alle sue scorte. Così, è arrivata al termine del viaggio psicologicamente distrutta, solo per vedersi allontanare dall'unico affetto che le è rimasto.
 In classe, nel carcere, Elisabetta si rende conto a poco a poco dell'interesse di Almarina per i libri, e comincia a prestargliene qualcuno dei suoi. Da lì nasce un rapporto che cresce lentamente, fino a quando il direttore del carcere, a Natale, concede alla ragazza settantadue ore di permesso, e la protagonista la porta a casa sua, la lascia stare con lei, le regala dei vestiti, la aiuta a truccarsi e a mettersi lo smalto sulle unghie.
 Da quel momento, Elisabetta Maiorano comincia a cullare l'idea di richiedere l'affido di Almarina; un desiderio che - contro ogni norma - non la abbandonerà neppure quando Almarina, scontata la sua pena, per lo sgomento della protagonista, lascerà di punto in bianco Nisida per essere affidata alla comunità guidata da don Valentino, a Pozzuoli, destinata agli orfani gettati dalla solitudine e dalla mancanza di sostegno sul greto dell'illegalità..
 Elisabetta lotterà così per superare tutte le consuetudini giuridiche e tutti i problemi procedurali pur di provare a intraprendere e a percorrere fino in fondo la strada piena di incognite ma irresistibilmente attraente di questo nuovo legame.
 Il romanzo è emozionante senza ostentare sentimentalismo: la voce di Elisabetta Maiorano, che narra la sua storia e quella di Almarina in prima persona, viene resa vibrante da una scrittura tesa - precisa ma istintiva - a tratti nervosa, con scatti che sprigionano un sapore autentico e ne enfatizzano la potenza espressiva.
 La vicenda narrativa si viene costruendo progressivamente attraverso piccoli guizzi poetici e più distesi flussi verbali che, accostati gli uni agli altri, compongono un resoconto letterario palpitante, fremente, pieno di vita e di vivacità, percorso da bagliori simili a quelli che attraversano un quadro divisionista.
 Il risultato complessivo è tale da rimanerne conquistati.

Voto: 8

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