domenica 31 maggio 2020

Jonathan Bazzi, "Febbre", Fandango libri


 E' il mese di gennaio del 2016 quando Jonathan, 31 anni non ancora compiuti, comincia ad avere la febbre; non una febbre alta, ma fastidiosa, insistente e alla lunga spossante e, dunque, tale da impedirgli di condurre una vita normale.
 Il protagonista-narratore, che dà lezioni di yoga presso diverse palestre milanesi per mantenersi e, contemporaneamente, porta avanti gli studi universitari, è presto costretto a interrompere qualsiasi attività: anche solo alzarsi dal divano, a quel punto, è diventata una fatica improba. E' indispensabile allora andare alla ricerca della causa clinica di questo malessere indeterminato capace di prosciugare il fisico e la mente, di togliere ogni brio e persino, a poco a poco, di spegnere la voglia di vivere.
 Il calvario di Jonathan fra studi medici, ambulatori, ospedali, diagnosi sbagliate, angoscia e depressione si intreccia con il suo racconto biografico, condotto a partire dalla primissima infanzia, quasi che in esso egli speri di rintracciare la causa prima del suo malessere. Anzi, la narrazione comincia addirittura dal momento del suo concepimento a metà degli anni ottanta, fra i palazzoni delle case popolari di Rozzano: "Rozzangeles", tipica espressione della periferia milanese cresciuta grazie all'immigrazione proveniente dal sud Italia, quasi un pezzo di Meridione mal trapiantato accanto alla Tangenziale Ovest e qui stentatamente sopravvissuto all'ombra dell'altissima torre di cemento della Telecom. Un'origine vissuta quasi come uno stigma di cui è difficile liberarsi.
 A Rozzano la madre e il padre di Jonathan sono due ragazzi come tanti: famiglie proletarie, pochi studi alle spalle, scarse prospettive per l'avvenire. La madre Concetta, detta Tina - alta meno di 160 cm ma bellissima -, ha solo 18 anni quando rimane accidentalmente incinta; l'arrivo del bambino costringe lei e Roberto detto Roby, 21 anni, a prolungare innaturalmente un legame che non può funzionare per via della loro immaturità, della loro incompatibilità caratteriale e della sostanziale diversità delle famiglie dalle quali provengono.
 Tina è dura, a tratti aspra, tende a fidarsi solo degli uomini "sbagliati" di cui si innamora. Roberto è strafottente, incostante, incapace di pensare ad altri che a se stesso: fin da subito tradisce Tina, lavora solo quando vuole comprare qualcosa che desidera, si veste come Renato Zero, suona in una band insieme a Biagio Antonacci, si preoccupa poco del bambino. E anche quando inizia a lavorare come poliziotto, conduce una vita di fatto indipendente da quella della moglie e di Jonathan.
 La contrapposizione fra Tina e Roby è ribadita da quella dei due gruppi dei rispettivi congiunti: la famiglia di Tina (con la giovane nonna Lidia, casalinga, il nonno Sisino, operaio, gli zii ancora bambini) è tutta napoletana, rumorosa, melodrammatica e sboccata; quella di Roberto, invece, è una famiglia di piccoli impiegati, ed è una famiglia "mista", con il dispotico e violento nonno Pier orgogliosamente milanese e la nonna Nuccia siciliana.
 Presto i genitori di Jonathan si separano, e da quel momento, dato che Tina comincia a lavorare (prima come donna delle pulizie, poi come cassiera, poi come rappresentante di prodotti di bellezza, poi come operatrice di mense scolastiche) facendo orari incompatibili con la cura di un bambino, e Roby continua a comportarsi come se non avesse un figlio, il piccolo cresce fra la casa dei nonni materni e quella dei nonni paterni. E' un bambino riservato, che non ama la compagnia di altri amichetti e istintivamente disprezza i modelli "machisti" imperanti nel suo ambiente: gli piace giocare con le bambole della zia Tata e, nelle fiabe e nei cartoni animati, i personaggi con cui tende a identificarsi sono sempre le eroine femminili.

Jonathan Bazzi

 Jonathan Bazzi afferma di non avere vissuto, come accade a molti altri, l'esperienza del momento catartico della "scoperta" della propria omosessualità, ma di avere sempre saputo fin dalla scuola materna di preferire i maschi alle bambine.
 Ciò non significa che il periodo dell'infanzia, quello dell'adolescenza e quello successivo dell'ingresso nella piena giovinezza, con la progressiva presa d'atto della propria identità e delle proprie predilezioni sessuali, non sia problematico e tempestoso per lui. Tra i disagi familiari, un inferiority complex di natura sociale e le difficoltà di relazione derivanti dall'omofobia diffusa nel contesto scolastico, Jonathan fatica a trovare la sua strada: perderà due anni dopo la fine della scuola media prima di acquisire la determinazione per mettersi seriamente sui libri, con un'acribia e un perfezionismo che lo porteranno a diventare il migliore studente di tutto il suo liceo.
 Dal punto di vista sentimentale, però, il protagonista vive a lungo una scissione fra il bisogno d'amore - che lo porta a idealizzare i ragazzi bellissimi su cui focalizza l'attenzione - e l'impulso sessuale, che lo induce a cercare su internet uomini rozzi, brutti, spesso molto più grandi di lui, con cui consumare brevi avventure a sfondo carnale che lo lasciano sfibrato e scontento di sé. Anzi, la necessità di esplorare faticosamente le pieghe della propria ambivalente inclinazione verso gli uomini per diventare pienamente padrone delle proprie scelte pare distrarlo perfino dall'istinto di conservazione, facendogli dimenticare l'esigenza di tenere sotto controllo la propria salute, di sottoporsi periodicamente, per prudenza, al test dell'Hiv anche senza avere intrapreso comportamenti particolarmente rischiosi.
 E' su questo tema che le due linee narrative - quella che racconta i disagi del presente e quella che ricostruisce le vicende del passato -, che si alternano e si rincorrono per buona parte del testo, trovano un punto di convergenza e una saldatura: perché il malessere a cui il protagonista-narratore è soggetto si rivela essere conseguenza di una sieropositività che non aveva mai sospettato e, insieme, di un profondo stato d'ansia cresciuto senza che egli se ne rendesse bene conto.
 L'Aids, oggi, se lo si riconosce in tempo e se lo si cura, può essere tenuto molto bene sotto controllo, e permette a chi ne è stato contagiato di condurre una vita perfettamente normale, riducendo a zero la propria carica virale. Jonathan, che ha avuto la fortuna di non infettare il proprio compagno Marius, riesce così a trasformare la traumatica rivelazione della propria positività all'Hiv in un'occasione di rinascita, di apertura di sé al mondo, senza più paure né timidezze, senza sudditanza nei confronti di atteggiamenti scioccamente discriminatori.
 Il romanzo riesce a essere molto coinvolgente, soprattutto per ciò che riguarda la linea narrativa in cui si ricostruisce la biografia del protagonista, ed è sicuramente importante per la sua capacità di parlare di omosessualità con franchezza onestà e sobrietà, senza l'animosità tipica di chi vuole prendersi delle rivincite. Inoltre ha il merito di tornare a parlare di Aids, di Sieropositività e delle loro ricadute sui comportamenti individuali e sugli atteggiamenti collettivi: temi che il dibattito sociologico ha decisamente messo da parte dopo la sovraesposizione degli anni ottanta e novanta del Novecento. Per questo vale la pena leggere il libro, nonostante non sia straordinariamente originale dal punto di vista stilistico e risulti un po' schematico dal punto di vista strutturale.

Voto: 6,5     

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