sabato 4 luglio 2020

Marta Barone, "Città sommersa", Bompiani


 Città sommersa appartiene senza dubbio al novero dei libri "necessari": quei libri che originano da una riflessione o da un percorso di ricerca dettati da un intimo, impellente bisogno di chiarezza, e si concretizzano in un atto comunicativo che è, autenticamente, il tentativo di condivisione della certezza di una importante conoscenza acquisita.
 Per Marta Barone, l'impulso a ricostruire i momenti salienti della vita di suo padre Leonardo nasce dopo la morte di quest'ultimo, avvenuta a causa di un tumore al fegato, e il ritrovamento di una memoria difensiva redatta negli anni ottanta, per il terzo grado di giudizio del processo che - dopo diversi mesi di detenzione - lo avrebbe assolto definitivamente dall'accusa di essere stato un fiancheggiatore del gruppo terroristico di Prima Linea.
 L'arresto di Leonardo Barone, medico ed esponente di spicco della sinistra extraparlamentare, era stato provocato dalla falsa testimonianza di un "dissociato", che aveva fatto il suo nome forse per acquistare credito presso gli inquirenti (peraltro, ritrattando in seguito le proprie dichiarazioni senza essere creduto) e aveva sostenuto che l'uomo era stato scelto per medicare due terroristi feriti durante un'azione di sangue in quanto parte integrante dell'organizzazione. Il soccorso, in realtà, era stato prestato per puro spirito umanitario, e Leonardo Barone non era mai stato un terrorista; aveva anzi criticato più volte pubblicamente l'opzione della lotta armata e preso le distanze da conoscenti ed ex compagni che, invece, fra le braccia del terrorismo erano finiti davvero.
 I rapporti di Marta col padre non erano mai stati idilliaci, anzi, a tratti erano stati decisamente difficili, connotati da un'insofferenza di fondo per la quale la figlia (come succede) tendeva a vedere soprattutto i difetti di quel genitore che si era presto separato dalla madre della scrittrice, Margherita, e aveva spesso fatto scelte di vita che sembravano strambe, ed era sempre senza un soldo; che era sicuramente carismatico ma tendeva a raccontare bugie inutili e, a volte, quando era in mezzo agli altri, mostrava un'allegria che sapeva un po' di affettazione.
 Marta, fra l'altro, era a conoscenza del suo arresto del 1982 e della sua incriminazione, ma non aveva mai mostrato particolare interesse per la cosa, non aveva mai sentito l'esigenza di approfondire quanto accaduto (tutte cose che avevano preceduto la sua nascita), né di indagare su altri episodi della vita invero assai movimentata di Leonardo.
 Il ritrovamento postumo di quel vecchio documento giudiziario, però, fa scattare qualcosa; fa nascere nell'autrice la consapevolezza che le vicende che hanno coinvolto il padre sono state più complesse e sofferte di quanto avesse mai sospettato e che, nel tempo da lui vissuto in qualche modo da protagonista - un'epoca aspra e confusa, che aspetta ancora un'analisi storica equanime, quale sarebbe fondamentale per capire meglio l'Italia di oggi -, la sua parabola esistenziale aveva costituito un'avventura eccezionale e, nello stesso tempo, esemplare di un'età di sogni, di utopie, di generosità, di impegno, di rabbia, di violenza sconosciuti alle generazioni successive.
 Sulla base di quella consapevolezza nasce la voglia e il bisogno di indagare su ciò che è stato; indagare attraverso le testimonianze dirette di chi è ancora in vita, attraverso gli archivi, attraverso le fotografie superstiti e le memorie familiari. E' da questa indagine e dai suoi risultati in parte inattesi e sorprendenti che prende forma il libro.
 I motivi di interesse del testo sono molteplici: in primo luogo la ricostruzione della vita stessa di Leonardo Barone (nel rigore della ricerca oggettivizzato dall'autrice nella sigla L.B., come se fosse un'altra persona rispetto al padre che ha conosciuto), che fu una vita assolutamente fuori dal comune: nato in Puglia, a Monte Sant'Angelo, a metà degli anni quaranta e lì cresciuto, si allontanò dalla famiglia d'origine durante la giovinezza, segnata prima dagli studi di Medicina a Roma (con la partecipazione all'occupazione de La Sapienza e ai disordini di Valle Giulia) e poi dall'adesione a Servire il Popolo, il Partito Comunista Marxista-Leninista, il movimento ultra-radicale guidato da Aldo Brandirali.

 Marta Barone

 Nell'estrema frammentazione della sinistra extra-parlamentare di allora, Servire il Popolo costituiva l'opzione maoisticamente più estrema: il sentimento antiborghese si traduceva per i militanti nella pretesa di adeguare i propri costumi a una frugalità autopunitiva che portava a privarsi innaturalmente e insensatamente di qualunque cosa; nel fervore ideologico, il rifiuto dell'intellettualismo frivolo si spingeva fino a combinare "matrimoni comunisti" fra studenti - o professori, o avvocati, o medici - e operai che non tenevano minimamente conto di quanto la coppia potesse essere ben assortita.
 L.B. aveva navigato fra questi eccessi senza perdere il lume della ragione, mantenendo salda la propria stella polare, la volontà di aiutare i più deboli, di stare accanto a loro: a Torino, dove era stato mandato dal partito per presidiare la piazza operaia più importante d'Italia, era stato l'anima di manifestazioni pubbliche, convegni, comizi davanti alle fabbriche, proteste e occupazioni per garantire un alloggio decente a immigrati costretti ad ammassarsi in baracche e tuguri malsani.
 Poi due eventi avevano segnato l'esistenza di Leonardo determinandone una svolta: i fatti tragici di via degli Artisti, dove un militante del Pcil-m - un minatore sardo rozzo e violento - aveva ucciso a coltellate davanti ai suoi occhi attoniti il suo migliore amico, accorso in difesa della moglie data all'uomo dal partito, una giovane professoressa di lettere che egli aveva aggredito in preda alla gelosia; e, successivamente, nella seconda metà degli anni settanta, lo scioglimento dello stesso Pcil-m, del quale una diversa temperie socio-economica, insieme all'assurdo estremismo di Brandirali, aveva determinato l'esaurirsi della funzione storica.
 Mentre tanti a quel punto avevano tristemente optato per la lotta armata, egli aveva continuato, ostinatamente, a portare avanti in altre organizzazioni un'opera di paziente propaganda politica a favore di una società più giusta, promuovendo un confronto attivo, razionale, pacifico fra le diverse anime della sinistra.
 Sventuratamente, un destino oscuro - come quello che in quegli anni sommerse molti innocenti - lo aveva colpito proprio nella fase in cui i gruppi armati stavano esaurendo il proprio propellente: vennero allora l'accusa ingiusta e la lunga detenzione (durante la quale egli riprese gli studi e si laureò in giurisprudenza). Rilasciato, cambiò vita, fece l'operaio, poi si laureò di nuovo in Psicologia e divenne psicoterapeuta.
Da un mestiere all'altro, da una donna all'altra (nel frattempo, era nata anche Marta), sempre intellettualmente onesto e fedele a se stesso, fino alla fine. A decent life come, all'inglese, chiosa uno di quelli che lo conoscevano meglio.
 Il secondo motivo di interesse del libro è l'immersione totale negli anni ruggenti della contestazione per restituirne fedelmente mentalità, ragioni, ombre, implicazioni sociologiche ed economiche: perché, ripercorrendo l'esperienza di L.B., ci si rende conto che, a Torino come in altre città italiane, le stesse strade che percorriamo oggi quotidianamente e a cuor leggero furono teatro non molto tempo fa di eventi terribili, sconvolgenti, che devono necessariamente essere ben impressi nella memoria di chi si avvia oggi verso l'età anziana.
 A tal proposito, c'è qualcosa di Patrick Modiano in alcune pagine di Marta Barone: la sottolineatura del fatto che i luoghi in cui viviamo devono certamente conservare l'impronta degli eventi e dei sentimenti di cui furono teatro e che, quando li conosciamo, ne modellano metafisicamente la visione, la percezione. Credo che in questa impressione emotiva, più che in ogni altra cosa, sia riconoscibile l'impronta della storia.
 Il terzo motivo di interesse risiede nello stile: Marta Barone, a dispetto della giovane età, si dimostra una scrittrice colta e raffinata, in grado di sciogliere nelle parole la lezione degli autori che ha letto e studiato, e di riformularne i contributi in una scrittura originale, capace come poche altre di modellare concetti astratti fino a farli diventare oggetti osservabili, manipolabili, conservabili.
 Per tutte queste ragioni Citta sommersa è un libro che vale la pena leggere e meditare.
 Di certo fa parte di quel gruppo di opere che avrebbero meritato il premio Strega più di chi lo ha conquistato.

Voto: 7,5

Nessun commento:

Posta un commento