domenica 24 gennaio 2021

Edoardo Nesi, "Economia sentimentale", La nave di Teseo


 Edoardo Nesi, sulla scorta della propria storia vissuta e delle tante storie scritte, prova a ragionare in termini economici sulla fase che stiamo vivendo: quella puntuale, segnata dagli sconvolgimenti che la pandemia ha determinato, squassando dalle fondamenta interi settori produttivi - specie nel nostro Paese -, e quella più genericamente attuale, individuata dall'esaurirsi del lungo ciclo espansivo industriale iniziato intorno al 1870 e poi proseguito per oltre un secolo, per arenarsi nelle secche del nuovo millennio.
 Questi due piani si alternano e si intersecano, tenuti insieme, da una parte, dal medesimo registro espressivo - che unisce i tecnicismi del gergo economico e l'affabilità di una lingua familiare impostata sintatticamente e lessicalmente sul vernacolo toscano - e dall'altra parte da un approccio ai problemi economici che, correttamente, il titolo del libro definisce sentimentale, perché Nesi "sente" come pochi altri scrittori che è l'economia a determinare la qualità del tessuto della nostra vita quotidiana, su cui come ricami si innestano emozioni e pensieri; volenti o nolenti, è l'economia a stabilire per buona parte di noi la possibilità di essere felici.
 L'autore cita libri importanti (come The Rise and Fall of American Growth di Robert J. Gordon, facendo riferimento alla recensione del testo del premio Nobel Paul Krugman sul New York Times) e libri popolari (come World's Fair di E.L. Doctorow), intervista specialisti di Economia e Statistica (come Enrico Giovannini, già presidente dell'ISTAT), esperti di finanza come Guido Brera, tira in ballo scrittori, artisti, imprenditori e li cala nel racconto vivo della propria personale esperienza per rendere più che mai concreto ciò di cui parla: la depressione indotta dalla grande quarantena collettiva della primavera 2020, dopo la strana euforia delle prime settimane; l'apprensione per tutti quegli ambiti produttivi considerati dal Governo "non necessari", e quindi sacrificabili sull'altare della salute pubblica, anche se da sempre costituiscono il cuore pulsante del made in Italy (in particolare l'amato settore dell'industria tessile e quello collegato della moda, in cui Edoardo Nesi, fino a qualche anno fa, era impegnato in prima persona); la paura di aver vissuto il culmine di un'epoca di sviluppo irripetibile, che però ci siamo ormai lasciati alla spalle e dopo la quale non ci può che essere un lungo declino; il sospetto che l'economia digitale non porti benessere diffuso e lavoro per molti, ma solo un'illusione di progresso e la certezza di una crescente polarizzazione della ricchezza a beneficio di pochi e a discapito di tutti gli altri; il desiderio di aggrapparsi alla speranza - non si sa quanto fondata - che la capacità di guardare al futuro con ottimismo torni ad essere, come un tempo, un elemento caratterizzante dello Zeitgeist, lo spirito della nostra epoca.
 A punteggiare questo saltellante discorso con cui si cerca di costruire un'interperetazione coerente del presente, vi sono i ricordi di un tempo più felice, quello in cui uno stile di vita più leggero e senza l'ossessione del denaro, ad avere il carattere giusto, si poteva scegliere, come dimostra la parabola esistenziale di Fabio il Bernabei, il conte Mascetti di Prato; quello in cui dei piccoli artigiani potevano aspirare, con il loro lavoro, al lusso di una Mercedes; quello in cui in via Tornabuoni a Firenze era ancora aperta la libreria Seeber, con le volte affrescate e gli scaffali in legno istoriato; soprattutto, quello in cui era ancora vivo e attivo il padre di Edoardo, Alverado, imprenditore tessile.
 
Edoardo Nesi
 
  Il ricordo di Alverado, a cui il libro è dedicato, informa di sé l'intero testo. Alverado, con il suo nome inverosimile e altisonante, con il suo senso pratico, il suo amore per il lavoro, la sua legittima ambizione, il suo spirito di iniziativa, il suo fiuto per gli affari diventa un simbolo di quel culmine - secondo gli storici dell'economia toccato negli anni settanta del Novecento - dell'epoca di maggior benessere che la storia dell'umanità abbia conosciuto, quella innescata nella seconda metà dell'Ottocento dalle "grandi invenzioni", ovvero dal maturare delle applicazioni tecnologiche delle grandi scoperte scientifiche degli anni precedenti, e proseguita per decenni con una crescita impetuosa sostenuta da una mentalità dominante informata ai valori borghesi della libera iniziativa, della fiducia in se stessi e del desiderio di sperimentare, capace di investire a cascata tutti i ceti produttivi nell'Occidente sviluppato, spazzando via persino il ricordo della miseria dei secoli precedenti.
 La coloritura nostalgica che la narrazione assume deriva dal dubbio fondato che la prospettiva di una crescita continua che ha caratterizzato l'epoca dei nostri padri e dei nostri nonni - la constatazione che oggi va meglio di ieri, e la convinzione che domani andrà indefettibilmente meglio di oggi - sia in effetti irrecuperabile, nonostante l'ottimismo (illusorio?) con cui molti riconoscono alla rivoluzione informatica la facoltà di creare nuovi posti di lavoro, o predicano la necessità di puntare sull'economia sostenibile e "green" per dare nuovo impulso al mercato. Se vogliamo essere realisti dobbiamo ammettere che, oggi più che mai, sono valide le parole del Guicciardini, per il quale De' futuri contingenti non v'è scienza.
 Per la verità, molte delle convinzioni dell'autore su una presunta età dell'oro - che in Italia, come in altri Paesi occidentali, avrebbe raggiunto l'acme negli anni cinquanta, sessanta e settanta del secolo scorso -, per quanto suggestive, non sembrano poggiare su solide basi: Nesi sembra ignorare totalmente tutti i contrasti e le battute d'arresto che hanno costellato il secolo delle "magnifiche sorti e progressive" dell'economia occidentale, il gran numero di coloro che questo sviluppo ha lasciato indietro, il peso non piccolo del colonialismo e dell'imperialismo nel processo di crescita che ha determinato la massima espansione di diversi comparti produttivi occidentali, e - non ultimo - il fatto che quel modello di sviluppo basato sui tradizionali "valori borghesi" incorporasse già i fattori che, a un certo punto, hanno determinato, nel contesto di un mercato finalmente globalizzato, prima una brusca frenata e poi l'inizio di un lento declino per l'economia di quelle regioni del mondo che più avevano in precedenza beneficiato di quello che Gordon chiama "il Secolo Speciale".
 Pur tenendo conto di tutto ciò, Economia sentimentale, come parecchi altri libri di Edoardo Nesi, ha un suo fascino indubilitabile e una sua utilità: prima di tutto, restituisce all'economia, al lavoro, alle attività produttive quel ruolo di primo piano che hanno nella vita di tutti noi - ma che la maggior parte delle opere narrative (quelle in cui la vita dovrebbe trovare posto in tutti i suoi aspetti) sembra ignorare - e lega tutte queste cose alla nostra visione del mondo, alle intime passioni e agli affetti che modellano il nostro modo di essere; poi, cosa ancora più importante, porta a interrogarsi su problemi dalla cui soluzione dipenderà moltissimo del futuro nostro e dei nostri figli. Per questo, nonostante i suoi limiti, lo considero un libro da leggere.
 
In poche parole: De' futuri contingenti non v'è scienza afferma Francesco Guicciardini; e questo sembra più che mai vero se guardiamo alla fase economica che stiamo attraversando, caratterizzata da instabilità, incertezze, problemi che la pandemia ha esasperato mettendo in ginocchio interi settori produttivi, quelli considerati "non necessari", e quindi sacrificabili sull'altare della salute pubblica, anche se da sempre costituiscono il cuore pulsante del made in Italy, basato sul riconoscimento dell'importanza del suprefluo. Eppure Edoardo Nesi non rinuncia ad analizzare la situazione e a esplorare le possibilità di ricostruire una speranza di recupero futuro. Lo fa con l'aiuto delle opinioni dei migliori economisti, degli specialisti di finanza e di statistica e anche delle visioni degli scrittori più amati, ma soprattutto sulla scorta della nostalgia per l'età che ci siamo lasciati alla spalle, quella iniziata nel 1870 e culminata negli anni settanta del Novecento, che egli - forse un po' troppo acriticamente e in maniera non del tutto fondata - considera l'epoca di maggior benessere diffuso che la storia del mondo abbia conosciuto. L'epoca della quale lo scrittore riconosce nel caro ricordo della figura del padre Alverado, imprenditore del tessile a Prato, un esempio paradigmatico. 

Voto: 6

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