domenica 10 gennaio 2021

Milena Agus, "Un tempo gentile", Nottetempo

 In un piccolo borgo rurale del Medio Campidano lontano dal mare, che "non ha mai avuto il fascino sardo di torbide vicende e di anfratti selvaggi", dove l'agricoltura tradizionale, gli antichi vigneti e l'allevamento sono stati abbandonati "per i carciofi e le biomasse" senza che questo abbia portato prosperità agli abitanti - rendendo anzi il paesaggio ancora più desolato -, improvvisamente arriva un composito gruppo di migranti con i volontari che li accompagnano.
 Tutti pensano a un errore: il paese non possiede strutture e risorse per poter accogliere quelli che subito la gente del posto chiama "gli invasori". O forse i politici locali, preoccupati delle proteste di chi avrebbe avuto a che fare con i migranti e i problemi che portano con sé, hanno pensato di minimizzare l'impatto di questi sgraditi ospiti relegandoli in un luogo irrilevante; il borgo, infatti, è considerato di importanza marginale da quando ha perso l'autonomia amministrativa ed è stato accorpato ad un Comune vicino, ridotto al rango di frazione.
 Il gruppo degli invasori comprende profughi di guerra provenienti dalla Siria (tali sono Said e Saida Amal, con il nipote Abdulrahman), bellissimi ragazzi e ragazze di colore, dalla "pelle di velluto nero blu"  (come Asad o Naima), provenienti dall'Africa subsahariana, bambini come il piccolo Mashmoud - che non dà confidenza a nessuno, dopo che ha visto morire tragicamente i suoi due fratelli durante la traversata del Mediterraneo -, persino una donna incinta in seguito agli stupri subiti in Libia per opera dei trafficanti di uomini. Tutti insieme formano un quadro variopinto e chiassoso, non dissimile da quelli che le cronache televisive degli sbarchi clandestini lungo le nostre coste meridionali offrono quotidianamente agli spettatori. 
 Insieme a loro vi sono i volontari, che formano una compagnia non meno eterogenea: dal distinto Ingegnere, che è abituato ad avere a che fare con clienti assai facoltosi, ama esprimersi in inglese, e non si sa se abbia una donna che lo aspetta a Cagliari, a Ziuccia, una signora di mezza età che per telefono aiuta sempre il nipote nello studio dell'Iliade; dal Professore, colto affascinante e un po' bohémien, a Lorena, la studentessa che ne è perdutamente innamorata e che lo ha seguito in questa strana avventura; da Robin un ex piccolo spacciatore per il quale occuparsi di migranti è diventata una forma di riscatto personale, al "Volontario del Porno-Shop", così chiamato perché concilia curiosamente la cura del proprio negozio per soli adulti nel nord dell'isola all'impegno a favore degli stranieri.
 Tutti costoro si stabililiscono in via provvisoria in un grande edificio molto malridotto che sorge dove le case cedono il posto alla campagna, e che in paese è significativamente definito "il Rudere". 
 Gli abitanti del borgo, superata l'iniziale sorpresa e la fase dei mugugni, si dividono nettamente in due fazioni: coloro che, con naturalezza e senza farsi troppe domande, lasciano prevalere l'umana solidarietà, decidono di mostrarsi amichevoli con i nuovi arrivati e di dare loro una mano per quanto possibile; e coloro che trasformano il proprio malcontento in aperta ostilità nei confronti degli stranieri, e non perdono occasione per manifestare la propria avversione con piccoli, crudeli dispetti o meschini atti di sabotaggio, convinti che i migranti non meritino nessuna forma di assistenza e che le organizzazioni che se ne prendono cura lo facciano non per generosità ma per mero interesse.

Milena Agus

 Nemmeno gli stranieri, peraltro, sono contenti del luogo al quale sono stati destinati: la meta ultima del loro viaggio è il Nord Europa, o comunque il Continente; un contesto dove poter costruire davvero un futuro per sé e per i propri figli. Il paese, invece, è così squallido da non consentire di sperare in un domani migliore.
 Il fatto è che, a poco a poco, i rapporti reciproci che si stabiliscono tra "invasi" e "invasori" consentono in qualche modo al paese di sbocciare a nuova vita: il Rudere viene sistemato e reso più accogliente (cosa che l'Amministrazione comunale, in tanti anni, non era mai riuscita a fare, nonostante l'intenzione dichiarata di trasformarlo in un centro di aggregazione sociale); su un appezzamento di terreno incolto viene addirittura creato un neighbourhood garden o, per dirlo alla sarda, un "poderetto del vicinato" capace di riportare in voga colture che nelle campagne campidanesi sono state abbandonate da tempo. Gli stranieri riescono persino nel miracolo di fare finalmente uscire dal loro borioso isolamento le due "Dame" del villaggio, donna Ruth e sua figlia Lina, moglie e figlia dell'ultimo Sindaco del borgo, che aprono la propria antica, elegante dimora ai nuovi venuti e ai loro accompagnatori.
 Le vicende a volte terribili dei migranti inducono nel gruppo delle mature - ma non ancora vecchie - donne che costituiscono il nerbo della comunità paesana, precedentemente anestetizzate dalla propria quotidiana routine, un ripensamento di tutta la propria esistenza: il rapporto con i mariti, troppo assorbiti dai propri impegni per badare a loro; la lontananza dei figli, a loro volta emigrati, dopo aver studiato, in città che consentissero loro di esercitare professioni più interessanti di quelle che sarebbe stato possibile svolgere nel luogo d'origine; il buon uso del proprio tempo.
 Gli stranieri, a loro volta, si rendono conto che i componenti della comunità paesana - almeno della sua parte più accogliente - costituiscono degli interlocutori con i quali ricominciare a rapportarsi civilmente dopo anni di sofferenze, di soprusi subiti, di trattamenti indegni di esseri umani; persone con le quali imparare a discutere, o addirittura a litigare, senza mai venire meno al reciproco rispetto.
 I mesi di permanenza dei migranti nel borgo finiscono così per configurarsi come una parentesi felice: un "tempo gentile" che - è facile prevederlo - verrà rimpianto a lungo da tutti coloro che l'hanno vissuto. 
   Milena Agus riesce a narrare in maniera esemplare l'esperienza dell'incontro tra italiani e migranti senza edulcorare la realtà, senza ricorrere a facili semplificazioni e senza indugiare in pigri ideologismi; ricorrendo invece a quella rappresentazione stilizzata del mondo che è tipica del suo modo di fare letteratura e che risulta, in questo caso, quantomai efficace. 
 La scrittrice, infatti, non rinuncia al realismo nella descrizione di luoghi e personaggi: certi aspetti della Sardegna di oggi (e di quella di una volta, richiamata anche attraverso numerose citazioni deleddiane) emergono con assoluta chiarezza, e niente viene nascosto né delle sofferenze patite dai migranti, né dell'istintiva ostilità nei loro confronti di buona parte degli italiani, né delle difficoltà di interazione fra persone di cultura e provenienza differenti. Tuttavia, vi è nelle descrizioni una ricerca di "tipizzazione" che tende a rendere ogni situazione e ogni personaggio esemplare, capace di vivere al di fuori della situazione o del contesto specifico che lo esprime e di diventare un simbolo.
 Significativo, fra l'altro, è il fatto che a essere individualizzati e a risultare memorabili siano soprattutto gli stranieri e i volontari; gli italiani appartenenti alla comunità paesana vengono relegati nell'anonimato della coralità (tanto più quelli ostili ai migranti), quasi non sapessero esprimere pensieri originali o non avessero ormai cose particolarmente interessanti da raccontare.
 L'effetto complessivo che si ottiene è diverso da quello provocato da molti libri ascrivibili alla categoria della "letteratura dell'immigrazione": non si formulano giudizi recisi, non si fa leva sulla compassione, non si cerca di suscitare né rabbia, né raccapriccio, né indignazione nel lettore, non si porta neppure testimonianza di un fatto che non può assolutamente essere dimenticato. 
 Piuttosto, il romanzo prova a mostrare come la cordialità - quello che dovrebbe essere il più semplice e naturale degli atteggiamenti umani - possa contribuire a superare di slancio tutte le difficoltà e tutti gli attriti che normalmente nascono nell'incontro fra genti diverse.

In poche parole: facendo leva sulla sua particolare tecnica di stilizzazione della realtà, Milena Agus narra la storia dell'incontro fra gli abitanti di un piccolo centro del Medio Campidano e un composito gruppo di migranti destinati a passare alcuni mesi nell'entroterra sardo in attesa di essere ricollocati altrove. Dopo le difficoltà iniziali, grazie alla buona volontà di alcuni tra gli stranieri e delle più tolleranti fra le donne del paese, il periodo di convivenza si viene configurando come "un tempo gentile", capace di far sbocciare a nuova vita quel borgo sonnolento e marginale. Un miracolo che solo in nome della cordialità si riesce a compiere.
 
Voto: 6 +

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