In una fresca mattina di primavera, nei giorni che precedono
la Pasqua del 1953, il catamucc, un
povero diavolo che si è inventato una piccola attività imprenditoriale
raccogliendo i mozziconi di sigaretta abbandonati sul selciato per poi
riciclarne il trinciato, scopre su una panchina di piazzale Bacone a Milano il
cadavere di un uomo con un coltello piantato nel petto. Presto ci si rende
conto che il morto è un sacerdote: don Luciano Fontevivo, della parrocchia di
San Sigismondo, detto “il prete bello”, generalmente ammirato dai fedeli per la
sua generosità e il suo attivismo, ma criticato dai più tradizionalisti per le
sue idee progressiste − e bersaglio di qualche pettegolezzo per via delle belle
donne che spesso lo circondano, secondo alcuni non tanto per le sue doti
pastorali quanto per il suo fascino e la sua prestanza fisica.
Il caso, assai delicato dal momento che coinvolge un uomo di
Chiesa (per quanto piuttosto originale) nell’Italia perbenista e un po’ bigotta
degli anni cinquanta, viene affidato alle cure dell’esperto commissario
Arrigoni e dei suoi brillanti agenti. Tra un succulento pranzo in trattoria e
un sigaro toscano, Arrigoni svilupperà la sua indagine cercando di mettere a
fuoco gli ambienti e i personaggi con cui don Luciano aveva a che fare: un
parroco di larghe vedute, una perpetua con un passato da soubrette, due
affascinanti parrocchiane, l’arcigno prefetto che amministra con severità l’oratorio
di San Sigismondo, una bella penitente, un investigatore privato con un passato
nella legione straniera e la sua procace collaboratrice. Quando la soluzione
del mistero sembrerà ormai fuori portata, l’acume e lo spirito di osservazione
dell’agente Di Pasquale porteranno all’individuazione del colpevole, svelando
una verità capace di mettere a tacere tutte le malelingue.
Milano, Piazzale Bacone negli anni cinquanta
Più che sul ritmo e sull’esplorazione psicologica delle
raffinate logiche del crimine, i romanzi polizieschi di Crapanzano – e questo
non fa eccezione − sono basati sulla resa della suggestiva atmosfera della
Milano degli anni cinquanta, ancora magicamente sospesa tra le miserie del
dopoguerra e il benessere del boom. Il gusto per la descrizione di quel mondo
spesso porta il narratore a trascurare addirittura lo sviluppo dell’indagine per
abbandonarsi a digressioni che tendono a trasformarsi in veri e propri pezzi di
storia del costume, talvolta caratterizzati da un eccesso di didascalismo
(rischiando di indugiare anche sull’ovvio, come quando si ritiene necessario
specificare che la Democrazia Cristiana era allora “il partito al potere”).
L'effetto finale è tutt'altro che spiacevole, soprattutto per chi conosce un poco Milano; certo, gli amanti dei thriller propriamente detti potrebbero storcere il naso.
L'effetto finale è tutt'altro che spiacevole, soprattutto per chi conosce un poco Milano; certo, gli amanti dei thriller propriamente detti potrebbero storcere il naso.
Voto: 6
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