domenica 2 agosto 2015

Dario Crapanzano, "Arrigoni e l'assassinio del prete bello", Mondadori


 In una fresca mattina di primavera, nei giorni che precedono la Pasqua del 1953, il catamucc, un povero diavolo che si è inventato una piccola attività imprenditoriale raccogliendo i mozziconi di sigaretta abbandonati sul selciato per poi riciclarne il trinciato, scopre su una panchina di piazzale Bacone a Milano il cadavere di un uomo con un coltello piantato nel petto. Presto ci si rende conto che il morto è un sacerdote: don Luciano Fontevivo, della parrocchia di San Sigismondo, detto “il prete bello”, generalmente ammirato dai fedeli per la sua generosità e il suo attivismo, ma criticato dai più tradizionalisti per le sue idee progressiste − e bersaglio di qualche pettegolezzo per via delle belle donne che spesso lo circondano, secondo alcuni non tanto per le sue doti pastorali quanto per il suo fascino e la sua prestanza fisica.  
 Il caso, assai delicato dal momento che coinvolge un uomo di Chiesa (per quanto piuttosto originale) nell’Italia perbenista e un po’ bigotta degli anni cinquanta, viene affidato alle cure dell’esperto commissario Arrigoni e dei suoi brillanti agenti. Tra un succulento pranzo in trattoria e un sigaro toscano, Arrigoni svilupperà la sua indagine cercando di mettere a fuoco gli ambienti e i personaggi con cui don Luciano aveva a che fare: un parroco di larghe vedute, una perpetua con un passato da soubrette, due affascinanti parrocchiane, l’arcigno prefetto che amministra con severità l’oratorio di San Sigismondo, una bella penitente, un investigatore privato con un passato nella legione straniera e la sua procace collaboratrice. Quando la soluzione del mistero sembrerà ormai fuori portata, l’acume e lo spirito di osservazione dell’agente Di Pasquale porteranno all’individuazione del colpevole, svelando una verità capace di mettere a tacere tutte le malelingue.

Milano, Piazzale Bacone negli anni cinquanta

 Più che sul ritmo e sull’esplorazione psicologica delle raffinate logiche del crimine, i romanzi polizieschi di Crapanzano – e questo non fa eccezione − sono basati sulla resa della suggestiva atmosfera della Milano degli anni cinquanta, ancora magicamente sospesa tra le miserie del dopoguerra e il benessere del boom. Il gusto per la descrizione di quel mondo spesso porta il narratore a trascurare addirittura lo sviluppo dell’indagine per abbandonarsi a digressioni che tendono a trasformarsi in veri e propri pezzi di storia del costume, talvolta caratterizzati da un eccesso di didascalismo (rischiando di indugiare anche sull’ovvio, come quando si ritiene necessario specificare che la Democrazia Cristiana era allora “il partito al potere”).
 L'effetto finale è tutt'altro che spiacevole, soprattutto per chi conosce un poco Milano; certo, gli amanti dei thriller propriamente detti potrebbero storcere il naso.

Voto: 6

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