lunedì 1 agosto 2016

Lodovico Terzi, "Due anni senza gloria", Einaudi


 È un piccolo gioiello questo libro di Lodovico Terzi (illustre traduttore di classici inglesi, einaudiano, per lunghi anni iscritto al PCI), che ripercorre in chiave autobiografica i due anni tra la caduta del fascismo e la Liberazione. In quei due anni il giovane Lodovico (classe 1925), appartenente a una famiglia altoborghese di origine parmense che non poteva che essere filofascista, nell’infuriare della guerra, perse entrambi i genitori, un fratello e l’amatissimo zio - un grosso burocrate diventato segretario particolare di Benito Mussolini e per questo ucciso dai partigiani -, e fece scelte (l’adesione all’esercito della RSI) che oggi appaiono sbagliate, ma che furono perfettamente coerenti con la sua formazione, il suo senso dell’onestà e l’ambiente sociale in cui si muoveva.
 Di due cose, infatti, bisogna tenere conto per capire le decisioni prese nel 1943 dal diciottenne Lodovico: in primo luogo egli non conosceva partigiani e neppure persone che si professassero apertamente antifasciste; in secondo luogo, l’adesione all’esercito della Repubblica Sociale fu determinata non certo dalla devozione nei confronti del fascismo e neppure da un astratto senso dell’onore militare o dell’onore di patria, bensì dalla fedeltà a se stesso e alla propria visione del mondo. Lodovico, ben consapevole che in quella confusa stagione la guerra tout court e la guerra civile stavano per sovrapporsi e intrecciarsi, cercò pragmaticamente di trovarsi in una posizione che gli permettesse di non intervenire in armi contro propri connazionali e, insieme, di assumere una qualche forma di razionale rispetto nei confronti della storia propria e della propria famiglia: una strada intrapresa non senza indecisioni, pentimenti, momenti di ripensamento, e lungo la quale il caso contribuì non poco a farlo proseguire fino in fondo.

Lodovico Terzi

 Il quadro che da questo testo viene fuori di quel periodo è vario, pieno di sfumature e del tutto privo di quei banali schematismi da cui sono parimenti afflitte certa storiografia "ufficiale" e tutta la storiografia "revisionista"; perché le cose umane sono sempre più complesse di come le si pensa.
 Mi piace qui riportare una citazione dal libro che mi pare particolarmente significativa:
 “L’onore della patria è un’espressione retorica, un simbolo, una bandiera, e quindi non può essere oggetto di una scelta politica. I giovani marciano dietro le bandiere , per realizzare sul campo di battaglia le scelte politiche fatte da altri. D’altra parte l’onore della patria, nell’uso che si fa di questa espressione un po’ enfatica, coincide in sostanza con l’onore militare, cioè con il coraggio e la disciplina richiesti per svolgere quella che in realtà è una funzione subalterna rispetto alle scelte politiche. Quando la situazione è tale che anche i semplici soldati o i giovani sono chiamati a scegliere, come nel caso di una guerra civile, il criterio più ingannevole a cui possono appigliarsi è appunto quello dell’onore militare, che implica una continuità perduta e una scelta già fatta.”

Voto: 8,5

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