È un piccolo gioiello questo
libro di Lodovico Terzi (illustre traduttore di classici inglesi, einaudiano,
per lunghi anni iscritto al PCI), che ripercorre in chiave autobiografica i due
anni tra la caduta del fascismo e la Liberazione. In quei due anni il giovane
Lodovico (classe 1925), appartenente a una famiglia altoborghese di origine
parmense che non poteva che essere filofascista, nell’infuriare della guerra,
perse entrambi i genitori, un fratello e l’amatissimo zio - un grosso burocrate
diventato segretario particolare di Benito Mussolini e per questo ucciso dai
partigiani -, e fece scelte (l’adesione all’esercito della RSI) che oggi
appaiono sbagliate, ma che furono perfettamente coerenti con la sua formazione,
il suo senso dell’onestà e l’ambiente sociale in cui si muoveva.
Di due cose, infatti, bisogna
tenere conto per capire le decisioni prese nel 1943 dal diciottenne Lodovico: in
primo luogo egli non conosceva partigiani e neppure persone che si professassero
apertamente antifasciste; in secondo luogo, l’adesione all’esercito della
Repubblica Sociale fu determinata non certo dalla devozione nei confronti del
fascismo e neppure da un astratto senso dell’onore militare o dell’onore di
patria, bensì dalla fedeltà a se stesso e alla propria visione del mondo.
Lodovico, ben consapevole che in quella confusa stagione la guerra tout court e
la guerra civile stavano per sovrapporsi e intrecciarsi, cercò pragmaticamente
di trovarsi in una posizione che gli permettesse di non intervenire in armi
contro propri connazionali e, insieme, di assumere una qualche forma di
razionale rispetto nei confronti della storia propria e della propria famiglia:
una strada intrapresa non senza indecisioni, pentimenti, momenti di
ripensamento, e lungo la quale il caso contribuì non poco a farlo proseguire
fino in fondo.
Lodovico Terzi
Il quadro che da questo testo viene fuori di quel periodo è vario, pieno di sfumature e del tutto privo di quei banali schematismi da cui sono parimenti afflitte certa storiografia "ufficiale" e tutta la storiografia "revisionista"; perché le cose umane sono sempre più complesse di come le si pensa.
Mi piace qui riportare una citazione dal libro che mi pare particolarmente significativa:
“L’onore della patria è
un’espressione retorica, un simbolo, una bandiera, e quindi non può essere
oggetto di una scelta politica. I giovani marciano dietro le bandiere , per
realizzare sul campo di battaglia le scelte politiche fatte da altri. D’altra
parte l’onore della patria, nell’uso che si fa di questa espressione un po’ enfatica,
coincide in sostanza con l’onore militare, cioè con il coraggio e la disciplina
richiesti per svolgere quella che in realtà è una funzione subalterna rispetto
alle scelte politiche. Quando la situazione è tale che anche i semplici soldati
o i giovani sono chiamati a scegliere, come nel caso di una guerra civile, il
criterio più ingannevole a cui possono appigliarsi è appunto quello dell’onore
militare, che implica una continuità perduta e una scelta già fatta.”
Voto: 8,5
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