martedì 23 agosto 2016

Rossana Campo, "Dove troverete un altro padre come il mio", Ponte alle Grazie


 La scomparsa di un genitore in età adulta obbliga quasi sempre a fare i conti con il proprio passato, e in qualche modo a ritarare la propria percezione di sé; è come se venisse meno uno dei principali artefici e testimoni della formazione della nostra personalità, e anche uno dei depositari della sua sostanza, e questo ci costringesse a farci carico con maggiore consapevolezza di quello che siamo in effetti.
 E' ciò che accade a Rossana Campo, e da qui nasce il libro.
 Tale processo, tuttavia, si innesta nel suo caso su qualcosa di più: sulla rivendicazione orgogliosa di una "diversità" che la scrittrice sente sua, esattamente come era propria del padre, cui sovente costò la riprovazione altrui e qualche volta perfino l'emarginazione da parte dei cosiddetti "normali". Per questo lei lo capiva meglio di chiunque altro: loro due erano membri della stessa tribù di "Apache".
 Renato Campo era un'anima libera e una personalità anarchica, insofferente di ogni disciplina. La totale inaffidabilità in famiglia e sul lavoro era l'altra faccia della sua irriducibile allegria, della sua incredibile, zingaresca voglia di vita.
 Renato era un carabiniere: si era trasferito in Liguria dall'Italia meridionale, nella sede che gli era stata assegnata dal suo Comando, insieme alla moglie Concetta, sorella di un commilitone molisano. Quella del carabiniere era la professione meno adatta a lui che si potesse immaginare; eppure aveva ricevuto persino una decorazione per essersi distinto durante il servizio, salvando una donna nel corso di un'alluvione a Savona e aiutandola a partorire.
 Renato era uno spaccone, un contaballe, e amava bere; un whisky dietro l'altro, in certi squallidi baretti di provincia, bettole puzzolenti "di fumo, di sudore e di piscio", popolate di vecchi, dove si faceva accompagnare dalla figlia bambina di nascosto dalla moglie. Per questo, e per la sua inaffidabilità, a un certo punto, verso la fine degli anni sessanta, fu buttato fuori dall'Arma dei Carabinieri.
 Fino a quel momento aveva bevuto con spensieratezza, per festeggiare, per cercare lo swing, come soleva dire; da quel momento in poi bevve per dimenticare i suoi guai e le ingiustizie di cui si sentiva vittima, e divenne cupo e scontroso, anche in famiglia.
 In realtà anche prima avrebbe avuto qualcosa da dimenticare: nato nel 1932, cresciuto in una famiglia povera con dieci fratelli, aveva dovuto imparare presto a cavarsela da solo, negli anni terribili della guerra, fra la fame, i tedeschi, le bombe. Quando aveva 12 anni, il suo migliore amico era saltato in aria su una granata tedesca, ed era stato letteralmente ridotto a brandelli.
 Negli anni peggiori, dopo l'espulsione dall'Arma, questi ricordi dolorosi, insieme all'alcolismo e all'emarginazione dovuta al fatto di essere considerato uno spostato, un fallito, un "terrone", contribuirono ad alimentare in lui una psicosi a tratti devastante.
 Eppure, a dispetto dei pronostici nefasti dei medici che lo avevano in cura, dei malanni, dei numerosi incidenti avuti alla guida da ubriaco, Renato era arrivato a 82 anni senza mai smettere di bere, senza mai rinnegare se stesso e il proprio spensierato approccio alla vita.
 Per questo, agli occhi della figlia che si sente così simile a lui, egli appare come una sorta di eroe mitico, un idolo rock dalla vita spericolata.

Rossana Campo

 Il libro è piuttosto bello, a tratti perfino commovente, e sorretto da una struttura stilistica in cui la narrazione si integra perfettamente. Per celebrare la "diversità" del padre, Rossana Campo elabora infatti uno stile rustico, ibrido, artificiosamente vernacolare, in cui accenti di spiccata oralità, mimetici del parlato (tanto nella sintassi quanto nel lessico), si mescolano a riferimenti colti, che rimandano a un mondo di letture lontano ma in fondo non del tutto estraneo a quello raccontato. Una lingua che ricalca un idioletto famigliare di per sé rappresentativo dell'ambiente, degli stati d'animo, delle personalità, dei modi di essere che si cerca di rievocare. Giova riportare un esempio per darne un'idea:
 "A me invece mi piace com'è fatto Renato, mi piace che è spavaldo, sbruffone, che si spara la posa per cose insensate e cerca sempre di tirar fuori cazzate a tutta birra. A me piace così, anche perché quando hanno cercato di mandarmi all'asilo delle suore e io non ci sono voluta andare e mi sono buttata per terra urlando e scalciando per protesta, lui ha capito che non mi dovevano forzare, che tanto pure se mi sparavano io dalle cape 'e pezza non ci sarei andata. Infatti mi ha detto: Tu Rossanì, sei come me, non c'è verso di farti accettare la disciplina, non ci stanno cazzi! Concetta, niente asilo per la piccerella, questa è una testa matta come me! Poi, rivolto a me spiega: E quanto alle suore o a qualunque altra persona che si permette di romperti la uallera, sai che ci devi dire? Tu ci dici: ha detto mio padre, jatevenneaffanculo!".
 Il risultato finale è efficace, e Rossana Campo si dimostra un'eccellente interprete di questo modo di fare letteratura.

Voto: 7-

P.S. A margine della critica del libro in questione, è forse il caso di rilevare come impostazioni stilistiche simili a quella qui proposta sono assai apprezzate, in questo periodo, dagli editor delle case editrici italiane. Le contaminazioni linguistiche declinate in chiave autobiografica piacciono, soprattutto quando rispecchiano - o pretendono di rispecchiare - l'esotismo della provincia italiana in cui il pubblico crede, anche con una punta di nostalgia, di riconoscersi. La moda è tanto diffusa che sembra quasi che non si possa fare narrativa in altro modo oggi in Italia.
Ma nella nostra tradizione letteraria di breve e medio termine, modelli di scrittura diversi non mancano.   

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