sabato 30 dicembre 2017

Cesare Salvi, "Teologie della proprietà privata", Rubbettino Editore


 Libro importante, che tratta con notevole perizia giuridica e profondità filosofica una questione fondamentale per il Diritto e, più in generale, per la vita delle persone: quella della giustificazione e dei limiti della proprietà privata.
 Una riflessione sul concetto stesso di proprietà, infatti, si impone con urgenza in un'epoca in cui la globalizzazione - compiuta sull'onda di un processo storico incardinato ai principi dell'ideologia neoliberista -, avviandosi alla stagione della sua maturità, mostra (soprattutto in Occidente) i propri difetti e le proprie ricadute negative in termini di sperequazione della ricchezza, destrutturazione dei meccanismi regolatori dei diritti dei lavoratori, e incapacità di riconoscere l'interesse collettivo.
 Salvi prende le mosse dalla definizione della proprietà che viene accolta nei Codici agli albori del diritto moderno, fondato sull'individualismo giuridico, tra la fine del Settecento e l'inizio dell'Ottocento, in ambito francese (con Portalis e l'estensione del Code civil napoleonico) e in ambito anglosassone (con William Blackstone e i suoi Commentaries of the Law of England).
 Per Portalis la proprietà è "il diritto di godere e di disporre dei propri beni nella maniera più assoluta"; per Blackstone è "l'unico e dispotico dominio che una persona afferma ed esercita sulle cose esterne del mondo, in totale esclusione del diritto di ogni altro individuo nell'universo".
 Entrambi i giuristi, muovendosi in un'ottica prettamente borghese, riconoscono la sacralità e la centralità del diritto di proprietà, ma sottolineano altresì come la proprietà non si dia in natura, e sia invece una creazione del diritto positivo, che trova giustificazione nella necessità di garantire pace e sicurezza agli uomini.
 Portalis e Blackstone, insomma, attuano una consapevole secolarizzazione del diritto proprietario; eppure, come prima di loro si sentiva il bisogno di spiegare (o di contestare) l'appropriazione e l'uso dei beni ricorrendo ad argomenti che implicavano il confronto con la dimensione ultramondana, con il "volere di Dio", dopo di loro si continuerà a cercare una legittimazione della proprietà in principi astratti ipostatizzati in un valore assoluto, e quindi trasformati di fatto in una entità metafisica.
 Così, negli antichi miti delle origini (compreso quello della tradizione ebraico-cristiana, compendiato nella Genesi), Dio in principio avrebbe donato la Terra agli uomini come bene comune; l'appropriazione privata dei beni sarebbe conseguenza di una caduta (il peccato originale) capace di determinare la fine della primigenia età dell'oro, intrinsecamente "collettivista".
 In seguito, nel corso dell'antichità classica, si delineano due posizioni più circostanziate: quella che riassume in sé le ragioni del comunismo, ben rappresentata da Platone, e quella che riassume in sé le ragioni dell'individualismo proprietario, ben rappresentata da Aristotele. Il pensiero di Platone, in realtà, subisce un'evoluzione interna; se nella Repubblica afferma di fatto che virtù e proprietà sono incompatibili, e immagina alla testa dello Stato una casta di Guardiani che vivono in regime di assoluta comunanza dei beni, delle donne e dei figli, nelle Leggi egli arriva a teorizzare uno Stato caratterizzato da una ripartizione egualitaria della proprietà.
 Dal canto suo, Aristotele condivide l'opinione che la diseguaglianza nella distribuzione della ricchezza possa condurre al conflitto sociale, e vada quindi limitata; e tuttavia, in ragione della "cattiveria della natura umana", il comunismo è da rifiutare, perché produrrebbe sia una gestione inefficiente della proprietà (ciascuno si prende cura meno di ciò che è di tutti rispetto a ciò che è solo suo) sia conflitti aspri tra i comproprietari. Nella visione di Aristotele, l'egoismo proprietario dovrebbe essere temperato dalla generosità, che pure è antropologicamente parte della natura umana. Ma la soluzione da lui prospettata per contrastare le disuguaglianze - una sorta di filantropia caritatevole dei proprietari nei confronti dei non proprietari - appare quanto mai strutturalmente debole.
 In ambito romano il discorso sulla proprietà si fa assai più concreto; quel processo attraverso cui viene "inventato il diritto" (si distinguono cioè fas e ius, e ogni tema viene sottoposto a una forma di disciplinamento ben distinta dalla religione, dall'etica e dalla politica) consente di definire, all'interno delle diverse forme di possesso, il dominium ex iure Quiritium quale possesso assoluto, perpetuo ed esclusivo della terra e degli schiavi. E' qui che si circoscrive il concetto di proprietà nel senso moderno del termine; ed è contro questo concetto, formulato ad uso e consumo dei ceti dirigenti, che lottarono senza successo e a costo della vita Tiberio e Caio Gracco con i loro progetti di riforma agraria (Cicerone, sulla scorta di Crisippo di Soli, tentò di giustificare goffamente dal punto di vista filosofico la legittimità dell'appropriazione delle terre - originariamente di tutti - da parte degli aristocratici con la metafora del teatro: è lecito considerare proprio ciò di cui si è preso possesso per primi esattamente come si fa a teatro quando si chiama proprio un posto che si è occupato per primi. E, riprendendo un altro pensatore stoico, Panezio di Rodi, lo stesso Cicerone arrivò ad affermare, nel De officiis, che lo Stato esiste proprio per difendere la proprietà!).
 Con l'avvento dell'era cristiana tornano a contrapporsi due visioni differenti: quella secondo cui "è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel Regno dei Cieli", che ha il suo campione in Ambrogio, per il quale la ricchezza è una forma di usurpatio (e non di occupatio occasionale di ciò che originariamente era di tutti, come sostenuto da altri, memori di Cicerone); e quella propria di Agostino, per il quale - nonostante la dimensione della proprietà prenda forma solo in conseguenza del peccato originale - la ricchezza è un dono di Dio e, se usata senza superbia, può aprire la via del Paradiso.
 Queste due correnti di pensiero percorreranno tutta la storia del Cristianesimo fino alle soglie del Novecento: san Francesco, col suo messaggio pauperistico, si farà erede ed interprete del rifiuto della ricchezza caratteristico dei primi cristiani; ma sarà in realtà l'altra tendenza a risultare vincente, con la distinzione di iure divino (per il quale i beni sono di tutti) e di iure humano (che contempla la proprietà privata), e la condanna come eretica dell'affermazione secondo la quale Cristo e gli Apostoli "nihil proprium habuisse".  

 Cesare Salvi

  Una parziale composizione del contrasto tra le due posizioni, e una duratura sistemazione teorica della trattazione della proprietà privata da parte della Chiesa si avrà con Tommaso d'Aquino, per il quale il possesso dei beni non è naturale per l'uomo, dato che ogni cosa appartiene a Dio, e tuttavia gli uomini possono fare uso di ciò che è messo loro a disposizione dal Creatore. La proprietà privata deriverebbe non dal peccato originale, bensì dalla ragione umana: possedere beni propri può essere non solo legittimo, ma anche utile e razionale, purché se ne faccia un uso da cui possa trarre vantaggio l'interesse generale. Sostanzialmente, da Tommaso fino agli ultimi giusnaturalisti, il pensiero europeo affermerà la destinazione universale dei beni e, insieme, il riconoscimento condizionato della proprietà privata.
 Occorre arrivare a John Locke per riscontrare una sostanziale evoluzione nell'elaborazione filosofica della questione. Per Locke la proprietà privata è il frutto del proprio lavoro, e dunque la manifestazione della libertà personale; in questo modo il filosofo inglese prende le distanze tanto dalle tendenze egualitarie (compendiate ad esempio da Thomas More, che nell'isola di Utopia non prevede la proprietà privata), quanto dall'assolutismo di matrice hobbesiana, e conferisce un fondamento laico alla logica del capitalismo nascente (ben diverso dalle giustificazioni accampate dall'etica protestante di Lutero o di Calvino, per i quali la ricchezza è la manifestazione patente della Grazia divina: i poveri, i "non eletti", esclusi dalla Grazia divina, vanno governati e repressi).
 Si pongono qui anche le premesse oggettive del moderno individualismo proprietario, esaltato dalle teorie liberiste di Adam Smith e recepito, come si è detto, dal Diritto francese e da quello inglese (e, di fatto, anche da quello americano; anche se, nella Dichiarazione d'Indipendenza, Thomas Jefferson, fra i diritti fondamentali, sostituisce al diritto alla proprietà quello alla "ricerca della felicità", aprendo un fertile dibattito tra gli studiosi, e ponendo una questione che è tornata d'attualità ai nostri giorni).
 La "nuova teologia" che assimila proprietà e libertà verrà - come è noto - contrastata nel corso dell'Ottocento da un'altra teologia secolare nascente di senso contrario, quella marxista. Già Pierre-Joseph Proudhon, nel 1840, definisce apoditticamente la proprietà "un furto"; più complessa è la posizione assunta nel Capitale da Marx, per il quale la proprietà privata dei mezzi di produzione è la negazione stessa della giustizia e della libertà.
 Del resto, l'urgenza sempre maggiore con cui si pone nel concreto della realtà sociale di quegli anni la "questione operaia" porterà anche la Chiesa cattolica ad aggiornare le proprie posizioni: la Rerum Novarum di Leone XIII, nel 1891, segna la nascita della cosiddetta "dottrina sociale della Chiesa", che costituirà una delle basi per una revisione delle formulazioni del liberismo classico.
 Dal punto di vista politico, la critica dell'equivalenza tra proprietà e libertà avrà esiti differenti e spesso drammatici: da una parte, l'abolizione marxista della proprietà privata come premessa di una società libera condurrà paradossalmente, in Unione Sovietica e negli altri Paesi che ne seguiranno il modello, a un sistema giuridico illiberale; dall'altra, laddove - come nell'Italia fascista - la critica coinvolgerà insieme il liberismo proprietario e le altre libertà, l'esito sarà un "Capitalismo di Stato" di matrice autoritaria.
 Si affermerà però anche un terzo modello, alla costruzione del quale contribuirono sia l'influenza della dottrina sociale della Chiesa, sia i nuovi apporti apporti di diversi studiosi riconducibili all'area del socialismo democratico e a quella del liberalismo. Il modello è quello che prende piede negli Stati Uniti del New Deal e - successivamente - nelle Costituzioni degli Stati dell'Europa Occidentale dopo la Seconda guerra mondiale, dove i diritti di libertà sono affermati, ma la proprietà non ne fa più parte.
 Concettualmente, questo approccio mette a fuoco il fatto che i caratteri propri dei diritti fondamentali (che sono universali, indisponibili, e hanno la loro base direttamente nella Legge) non si ritrovano nei diritti proprietari (che sono singolari - la loro titolarità da parte di un individuo esclude tutti gli altri - disponibili, e hanno la loro base non direttamente nella Legge, ma nei titoli previsti dalla Legge, come ad esempio i modi di acquisto della proprietà). Così, i diritti fondamentali implicano eguaglianza giuridica; i diritti patrimoniali, invece, "disuguaglianza in diritto". Ai diritti di proprietà si può dunque legittimamente applicare una "clausola sociale": l'interesse generale costituisce un limite riconosciuto alla loro inviolabilità.
 Secondo Cesare Salvi, l'approdo a questo assetto giuridico inaugura una sorta di "età dell'oro" dell'Occidente, che durerà per circa un trentennio dopo la fine della Seconda guerra mondiale. A decretarne la fine è l'affermazione dell'ideologia neoliberista sulla scorta della quale viene portato a compimento il processo di globalizzazione dei mercati e di "finanziarizzazione" dell'economia: la ricchezza risulta allora sganciata dai meccanismi produttivi e dal lavoro, trionfa una nuova forma di individualismo proprietario, e il Mercato diventa un nuovo Dio, le cui logiche sono ritenute incontestabilmente giuste e, dunque, cogenti (non è un caso che nell'odierna Costituzione europea non ci sia traccia dell'opzione sociale prevista da molte delle Costituzioni nazionali dei singoli Stati che compongono l'Unione).
 Il pensiero neoliberista si basa su tre paradigmi: il primo è quello che vede nella proprietà un diritto naturale, come la libertà; il maggior teorico di questa idea è Nozick, che riprende Locke depurandolo però da ogni scrupolo sociale.
 Il secondo afferma che la libertà del potere economico dalle ingerenze del potere politico è necessaria per garantire la libertà politica tout court; i capofila di questo orientamento sono Von Hayek e Milton Friedman, che sostiene come la storia dimostri la stretta connessione tra libertà politica e libero mercato. Curiosamente proprio gli allievi di Friedman appartenenti alla scuola di Chicago furono chiamati con il beneplacito del maestro a privatizzare l'economia cilena sotto Pinochet; e nel mondo abbondano gli esempi in cui dittatura e libero mercato vanno a braccetto. Del resto, più recentemente, un altro teorico del neoliberismo, Pipes, ha abbandonato ogni finzione liberale, affermando che "la proprietà privata è più importante del diritto di voto".
 Il terzo paradigma afferma che la proprietà privata assicura efficienza economica e massimizza la ricchezza collettiva. Ma la storia recente ci dimostra come, se pure l'economia di mercato è mediamente più efficiente di un'economia pianificata e totalmente statalizzata, il capitalismo finanziario, basato sull'assenza assoluta di limiti nella proprietà della ricchezza, non solo è socialmente ingiusto (per cui la massimizzazione della ricchezza collettiva non conta nulla per la collettività, se quella ricchezza non viene più equamente distribuita), ma è anche economicamente inefficiente (concentrazioni di ricchezza sempre maggiori nelle mani di pochi individui finiscono per inceppare il sistema economico).
 Di fronte alle palesi carenze del Neoliberismo trionfante, in una fase in cui la sinistra postmarxista pare ridotta quasi all'afasia, le critiche più profonde al sistema dominante - quelle da cui forse può partire la sua destrutturazione - provengono soprattutto dai più recenti sviluppi della dottrina sociale della Chiesa cattolica, e dagli esiti delle ricerche di alcuni studiosi di estrazione ancora una volta liberale e socialdemocratica.
 Sul versante cattolico, è il caso di citare le acute critiche mosse al sistema capitalista da Giovanni Paolo II (ritenuto da molti, a torto, un pontefice reazionario) e l'enciclica Laudato si' di papa Francesco, in cui si afferma che l'uomo è chiamato a scegliere tra l'amore civile e politico e l'amor habendi, espressione dell'egoismo che alberga in ciascuno di noi.
 Il teorico della liberaldemocrazia John Rawls, dal canto suo, ha ripreso la distinzione (già presente in Marx) tra beni personali e beni produttivi. Le libertà fondamentali che devono essere garantite a tutti comprendono la proprietà dei beni personali ma non quella dei beni produttivi e delle risorse naturali. Il filosofo tedesco Ernst Wolfgang Bockenforde, invece, ritiene che occorra rovesciare il primato dell'individualismo proprietario - vale a dire l'idea che intorno a una forma storicamente determinata di proprietà, individualistica ed esclusivistica, si realizzi la fine della storia - per valorizzare l'antica idea secondo la quale i beni della terra sono destinati a tutti gli esseri umani; da qui sarebbe necessario partire per definire i nuovi limiti del diritto proprietario.
 A conti fatti, secondo Cesare Salvi, le premesse teoriche e antropologiche per porre fine all'egemonia del neoliberismo (e alle sue conseguenze: la frammentazione, l'individualismo, la crisi dei valori) esistono; perché questo risultato venga concretamente perseguito, tuttavia, occorre una "rivoluzione culturale" che consenta a tradizioni differenti di convergere politicamente verso un unico obiettivo.
 Il saggio dell'ex senatore e ministro ulivista ha il grande pregio della sintesi e la capacità di porre in modo non banale e con una scrittura sufficientemente chiara problemi veri, che chiunque si occupi non superficialmente di politica con la pretesa di lavorare per bene comune dovrebbe approfondire. Da leggere.

Voto: 8 

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