Libro della scrittrice spagnola Cristina Grande uscito 2009, dallo stile accattivante e dalla splendida copertina.
La vita di Renata e Maria,
gemelle eterozigoti nate nel 1964 nella Spagna franchista, cresciute in un
villaggio presso Saragozza e poi trasferitesi con la madre in città, nonostante
un’infanzia trascorsa in seno a una famiglia nutrita di sicurezze borghesi, è
priva di punti di riferimento realmente solidi. Tanto che Renata, che racconta
in prima persona la loro storia, fatica persino a dare coerenza temporale alla
propria narrazione, e si muove continuamente tra passato remoto e passato
prossimo, tra il tempo dell’infanzia e quello dell’età adulta, componendo a
poco a poco un lacunoso mosaico di ricordi che sono per lo più lo specchio del
disorientamento esistenziale suo e della sorella.
Le due ragazze crescono così
chiedendosi se il proprio disagio sia frutto di difetti ad esse intrinseci o
sia invece dovuto al fatto che gli esseri umani sono costretti a fare i conti
con una natura irrimediabilmente “traditrice”.
Cristina Grande
Questo profondo disorientamento
conduce Maria a scivolare nella dipendenza dalle droghe, e Renata a sviluppare
una sorta di bulimia erotica che la porta a finire a letto con un incalcolabile
numero di uomini, compromettendo la possibilità stessa di coltivare qualsiasi
relazione stabile (il titolo allude ambiguamente proprio a questa instabilità
sentimentale di Renata). Esiste una possibile via d’uscita dal dolore contenuto
e costante che tutto questo comporta o si tratta di una condizione destinata a
protrarsi indefinitamente?
Con una scrittura sobriamente
analitica, linda ed efficace, Cristina Grande costruisce questo piccolo,
delizioso romanzo in cui la sofferenza, attutita dal filtro della nostalgia del
passato che rende più piacevoli i ricordi, diviene leit-motiv esistenziale, elemento essenziale dell’esperienza
individuale e fulcro di una visione del mondo che pare sempre suggestivamente
emergere dietro un vetro appannato.
Voto: 7
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