Libro vincitore del premio Strega
2018. Si tratta di uno strano romanzo, una sorta di coltissimo vagabondaggio
letterario attorno alla figura di Gerda Taro, la fotografa compagna di Robert
Capa morta nel 1937, schiacciata da un cingolato alle porte di Madrid durante
la Guerra civile spagnola.
Il libro è diviso in tre parti
precedute da un prologo - in cui viene messo in scena il funerale di Gerda a
Parigi, dove i suoi resti furono trasferiti per essere tumulati nel cimitero di
Père Lachaise -, e seguite da un epilogo, in cui, sulla base di documenti,
testimonianze e congetture, si prova a ricostruire la storia dei negativi delle
sue fotografie - e di altri scatti che la ritraevano insieme a Capa -, arrivati
rocambolescamente in Messico dopo uno spericolato viaggio nella Francia
occupata dai nazisti e poi attraverso l’Oceano grazie al coraggio di Chiki
Weisz. Sulla scorta di quelle fotografie, fra l’altro, Helena Janeczek tenta di
inferire come si sarebbe evoluta la storia d’amore fra Gerda e Robert Capa se
la ragazza non avesse fatto una fine così tragica.
Le tre parti principali di cui si
compone la narrazione sono costituite dalla trasposizione ad opera della voce
narrante degli immaginari flussi di coscienza di tre personaggi storici che
furono molto vicini a Gerda Taro e che, in epoche diverse della loro esistenza,
sentono tornare di prepotenza nei loro pensieri il ricordo di quella ragazza
assolutamente spiazzante, la cui contagiosa spensieratezza poteva essere presa
per un tratto frivolo quando invece era una straordinaria dimostrazione di
vitalità e carattere in un periodo storico quantomai cupo.
Il primo dei tre flussi di
coscienza è quello di Willy Chardack, medico cardiologo - fra gli inventori del
pacemaker – che nel 1960, a Buffalo, dopo aver ricevuto un’inattesa telefonata
da un antico conoscente, mentre passeggia per i lunghi rettifili della città
americana (assecondando l’abitudine tutta europea della flânerie, estranea
all’utilitarismo statunitense), rievoca gli anni lontani della gioventù, quando
era innamorato di Gerda Pohorylle, come tutti coloro che le ronzavano attorno,
del resto.
Chardack – detto “il Bassotto” – era allora
uno studente di medicina di estrazione altoborghese, costretto, come molti
altri tedeschi di origine ebraica, a espatriare a Parigi dall’avvento di
Hitler. Anche Gerda (di famiglia ebrea polacca stabilitasi in Germania) era a Parigi ma, meno ricca di lui, doveva adattarsi a
lavori da dattilografa per sopravvivere; i due erano anche stati brevemente
fidanzati, poi Chardack aveva dovuto ritirarsi in buon ordine di fronte
all’irrequietezza e all’indipendenza della ragazza, che, dopo aver conosciuto
il fotografo ungherese André Friedmann (a cui proprio Gerda aveva suggerito di
assumere il nom de plume di Robert
Capa), si era dedicata essa stessa alla fotografia e, animata da ideali
socialisti, era partita per la Spagna dove avrebbe documentato la guerra in
corso accompagnandosi all’esercito repubblicano.
Il secondo stream of
consciousness è quello di Ruth Cerf, modella e poi impiegata essa stessa presso
lo studio fotografico di Capa, amica e compagna di stanza di Gerda negli anni
più duri, quelli in cui entrambe erano così povere da non potersi permettere
neppure il metrò.
La riflessione di Ruth è
collocata dall’autrice poco dopo la morte di Gerda, prima della guerra
destinata a sconvolgere l’Europa, quando la ragazza, sposatasi da poco, sta
progettando il trasferimento in Svizzera, a Berna, al seguito del marito. Per
lei l’occasione per ricordare è offerta da un colloquio con il dolce Chiki
Weisz, amico d’infanzia e fedele collaboratore di Capa, che l’aiuta a depurare
il suo giudizio sull’amica dall’ombra di qualche riserva e della residua
gelosia, per riscoprirne l’indole giocosa, naturalmente trasgressiva,
istintivamente libertaria.
Helena Janeczek
La terza parte del libro è quella
in cui si sviluppa la lunga divagazione di Georg Kurtizkes, uomo brillante e
amato dalle donne, storico fidanzato di Gerda prima che essa incontrasse Robert
Capa, militante socialista e “responsabile” dell’introduzione di Gerda nei
litigiosissimi ambienti della sinistra rivoluzionaria. Georg, oltre a innescare
la riflessione di Willy Chardack con la sua telefonata intercontinentale, è
l’uomo che – girando con la sua vespa per le strade di Roma, dove lavora presso
la Fao – attraverso i suoi pensieri ci fornisce il maggior numero di
informazioni su Gerda, della quale, oltre a essere stato a lungo innamorato,
aveva conosciuto la famiglia, aveva seguito la crescita intellettuale e aveva
osservato da vicino l’ultima trasformazione, essendo partito anch’egli come
volontario per la guerra in Spagna, medico al servizio dell’esercito
Repubblicano.
L’immagine di Gerda Pohorylle
Taro che viene fuori da queste disparate testimonianze è una sorta di bizzarro
ritratto originato dalla sovrapposizione di una serie di istantanee prese in
momenti diversi e da prospettive differenti; un ritratto forse incapace di
ricondurre il suo soggetto a una visione unitaria, ma ricco di dettagli e –
ancora più – di suggestioni, come solo le opere d’arte sanno essere.
Gerda è la ragazza capace di
leggerezza e di eleganza, con un gusto per la moda e per le cose belle di
fronte al quale i “materialisti storici” erano soliti storcere il naso.
Gerda è la seduttrice, capace di
suscitare sentimenti in tutti gli uomini con cui entra in contatto – più in
virtù del suo modo di fare che della sua peraltro conclamata avvenenza −,
capace di sfruttare i vantaggi che da questa situazione le derivano senza farsi
troppi scrupoli, eppure, con tutto ciò, in grado di conservare la sua
originaria innocenza.
Gerda è la donna pragmatica,
perfettamente consapevole della propria condizione e delle imprescindibili
necessità economiche che la vita comporta, capace di attivarsi di conseguenza e
di cavarsela in ogni situazione.
Gerda è la donna libera e
politicamente matura, capace di scegliere con assoluta lucidità quali ideali
sposare, capace di maturare rapidamente la propria coscienza alla luce di
quegli ideali, capace di sacrificarsi per il proprio credo.
Gerda è la ragazza brillante e
spiritosa, capace di sdrammatizzare in qualunque circostanza, singolarmente
portata all’ironia e all’autoironia.
Gerda è la donna indipendente e
ostinata, capace di imporsi alle pretese maschili, capace di prendere le
proprie decisioni senza rendere conto a nessuno.
Gerda è la professionista abile e
tenace, capace di impadronirsi in poco tempo della tecnica fotografica, e di
dedicarsi al suo nuovo mestiere con tutta se stessa.
Gerda è l’amante tenera e
appassionata, capace di legarsi all’uomo che ama con straordinaria naturalezza,
senza esitazioni e ripensamenti.
Tutto questo gioco di
sovrapposizioni prospettiche è sostenuto da uno stile spesso e
intellettualmente denso, certo non semplice e forse neppure assolutamente
preciso, ma sempre concentrato ed arrembante: un lavoro di grande impegno e di
alta scuola.
Devo ammettere che il mio gusto
personale poco si ritrova in questa elaborata impalcatura, che cresce per
continue aggiunte, e in questa sottile, studiatissima trama di riferimenti
incrociati, che si estende senza posa; eppure non posso che guardarla ammirato
e riconoscerne l’efficacia.
Voto: 6,5
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