domenica 25 ottobre 2020

Andrea Bajani, "Dimora naturale", Einaudi

 Questa raccolta di poesie di Andrea Bajani consta di 50 componimenti (i primi quarantanove contrassegnati da un numero progressivo, l'ultimo preceduto dal simbolo dell'infinito), ciascuno costituito da otto versi di varia misura: in una partitura metrico-prosodica assolutamente libera, l'endecasillabo compare solo episodicamente, mentre abbondano esempi di versi che, pur riproducendone la scansione, ne travalicano il numero di sillabe; piuttosto rare, anche se non del tutto assenti, le rime.
 Ogni poesia è caratterizzata da una notevole leggibilità; si rifuggono, infatti, costrutti sintattici aggrovigliati, espressioni troppo peregrine, formule ermetiche. Nonostante questo, il discorso non tende affatto alla prosa: la brevità e il ritmo del dettato, infatti, portano a enfatizzare un'immagine o un concetto - spesso incorniciato dall'efficacia di un singolo verso o di una coppia di versi - che assume un significato di spicco, valorizzato da una rete di rimandi creata intorno ad esso. 
 Prendiamo il componimento n. 13: 
"Questo gabbiano, per esempio / che porta il mare sul terrazzo. / Qual è lo scempio, mi domando, / la mia dimenticanza, ignorare / quanto dista il litorale, oppure / il suo disorientamento, prendere / una palazzina anni cinquanta / per la propria dimora naturale?"
 L'immagine poetica centrale è quella del gabbiano, con tutto il suo potere evocativo (derivante anche da una lunga tradizione letteraria), per nulla intaccata, anzi accresciuta dal fatto di essere fuori contesto. Su di essa, e sulle reazioni che suscita, si sviluppa una riflessione che insiste sul tema del progressivo distacco emotivo dell'uomo dall'ambiente naturale di cui fa parte; è tutto da stabilire se questo scollamento vada maggiormente a detrimento dell'uomo stesso, ormai incapace di rapportarsi correttamente alla natura e di leggerne l'alfabeto, o delle entità che dell'ambiente naturale sono ancora parte integrante a pieno titolo - gli animali soprattutto. 
 Quello del rapporto dell'uomo con la natura, del resto, è il tema unificante dell'intera raccolta. L'idea di partenza, declinata liricamente in molti modi diversi, è che l'uomo non possa in alcun modo prescindere dalla sua "animalità", dalla natura biologica del suo essere, che nessun pensiero metafisico può rimpiazzare e obliterare.
 Della natura l'io lirico osserva i fenomeni e, insieme, si rieduca a sentirsi parte. In questo senso, le sovrastrutture culturali che inducono a interpretare metaforicamente, riducendoli alla misura delle nostre elucubrazioni, processi che sono semplice manifestazione dei cicli naturali (come l'arrivo dell'inverno, ad esempio) vengono smantellate in nome di una più precisa e serena constatazione della realtà che ci circonda (si veda il componimento n. 17: "A volte è questione di un istante, / l'inverno arriva come un crollo / le foglie tutte insieme vanno giù. / Oggi invece è solo illusionismo, / la caduta delle foglie d'improvviso / si fa volo, toglie lo spazio sottostante. / Sembrava una morte a precipizio / e invece sono rondini che vanno.").
 La pretesa di essere "speciali", di essere superiori agli altri animali e di godere di uno statuto particolare all'interno del novero dei viventi deve essere ampiamente ridimensionata (componimento n. 19: "Ecco, non siamo poi così diversi / dalle seppie che colorano i fondali / e traducono in cromatica l'attacco / e la difesa. Non abbiamo i loro / gialli, forse, la nostra tavolozza / è meno estesa. Ma guàrdati / allo specchio, l'amore ti fa rossa, / il bianco è il tuo colore della resa."; o ancora, componimento n.29: "Chi glielo dice, e in quale lingua, / alla marmotta o allo stambecco / chi glielo dice adesso al picchio / alla vipera e a camoscio, chi dice / alla foglia sconfinata per il vento / che c'è una soglia, che è dentro / un altro stato, che chi l'ha detto / che la terra è uguale dappertutto.").
 
Andrea Bajani

  Tutto ciò non comporta però il rifiuto della specificità dell'uomo, della sua vocazione per il pensiero astratto; il ragionamento, e l'elaborazione letteraria che lo porta a esprimere in maniera verbalmente complessa le sue emozioni - soprattutto attraverso la poesia - si possono in certo senso considerare il suo "verso" naturale (componimento n.5: "Forse è proprio la voce della specie / questo pervicace battere e levare / sulle lettere, la riga che va via / e sprisce dentro il bianco terso. / Non è un grugnito o un miagolio / è un po' belato un po' starnazzo. / E' la poesia, lo strazio vocale di ogni io. / Bello o brutto, è il verso che facciamo.").
 La capacità di astrazione, il fatto di poter contare su un cervello particolarmente "performante", tuttavia, non devono essere visti come un privilegio; sono piuttosto una condanna (componimento n.30: "Risulta assai evidente, a guardarci / in una piazza, qual è la punizione / per la mela, qual era l'intenzione / che ha fatto del volo una caduta. / L'inserimento del cervello dentro / il cranio è la vendetta più spietata: / cercate invano, cercatela in eterno, / una ragione a questa insensatezza."). 
 Una condanna che la nostra vocazione per il divino, il nostro bisogno - in fondo sempre insoddisfatto - di cercare conforto in una superiore entità ultraterrena non fa altro che acuire (componimento n. 41: "Pare sia un fatto proprio degli umani / credere al divino, mettersi a pregare, / pensarsi niente davanti all'universo. / Per gli animali sembra sia diverso, / senza le parole il mistero diventa / mangiare e sopravvivere alla caccia: / finire nel presepe con Gesù bambino, / o dentro l'arca, è soltanto tempo perso.").
 Unica consolazione l'età infantile, quella che più ci avvicina l'uomo alla condizione animale e dunque all'armonia con la natura e, in qualche modo, alla felicità (componimento n.39: "Finisce tutto in tenerezza, dopo / la poppata, con le dita spalancate, / l'estasi del godimento disarmato.").
 Proprio a una originale e malinconica rievocazione dell'infanzia è dedicata quella che per me è la più bella delle poesie della raccolta, la numero 2:

Come mai di colpo poi spariscono
senza dare spiegazioni, come mai
nessuno vuole più sentire il verso
del cavallo, nessuno dice più nitrito,
raglio, nessuno vuole più un barrito.
Sono grandi glaciazioni, gli animali
se ne vanno dalle case nottetempo.
Ci si sveglia e non c'è più l'infanzia.

In poche parole: 50 poesie, tutte dello stesso numero di versi - e tutte giocate sull'efficacia di una scrittura lirica diretta e pianamente evocativa - per cercare di ristabilire il corretto rapporto tra uomo e natura; quella che è la nostra casa e, nel contempo, la nostra condizione fondamentale, ma che l'essere umano, reso superbo dalla propria capacità di coltivare il pensiero astratto, tende a misconoscere e a dimenticare.   

Voto: 6,5

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