martedì 14 luglio 2015

Reinhold Messner, "Cervino. Il più nobile scoglio", Corbaccio (traduzione di M. Carozzi)



 Una ricostruzione attenta, puntuale, equilibrata e non verbosa delle vicende che portarono alla “conquista” della vetta del Cervino e delle polemiche conseguenti la tragedia che ne scaturì, spostando per la prima volta all’attenzione dell’opinione pubblica il dibattito sull’utilità e sulle implicazioni etiche dell’alpinismo.
 Il 14 luglio del 1865, alle 13,40, giunse sulla cima inviolata della splendida e terribile piramide del Cervino la cordata fortunosamente messa insieme appena due giorni prima a Zermatt dal giovane incisore inglese Edward Whymper; ne facevano parte anche il reverendo Hudson – esperto alpinista –, il suo amico Hadow e il nobile Lord Douglas, anch’essi inglesi, più tre guide: Michel Croz di Chamonix, Peter Taugwalder di Zermatt e il figlio di quest’ultimo. La Cordata di Whymper, partita dal versante svizzero, precedette la spedizione italiana organizzata da Felice Giordano e guidata da Jean-Antoine Carrel di Valtournenche.
 Per Whymper il Cervino era ormai diventato un’ossessione: per cinque anni aveva tentato inutilmente di salirvi, spesso partendo dal Breuil e avvalendosi dell’aiuto di Carrel, l’uomo che conosceva la montagna meglio di chiunque altro. Arrivare in vetta fu per lui il coronamento di un sogno.
 L’euforia per il successo della squadra inglese ebbe però brevissima durata: durante le prime fasi della discesa, Hadow scivolò, urtando Croz che lo precedeva e trascinandolo con sé nella caduta; anche Hudson e Douglas non resistettero allo strappo e precipitarono fatalmente per 1200 metri fino al ghiacciaio sottostante. Whymper e le due guide vallesi si salvarono soltanto perché Peter Taugwalder riuscì ad assicurarsi dietro una roccia, e la corda che lo legava a Lord Douglas si spezzò.
L’incidente, secondo Messner, fu causato non solo dall’impreparazione di Hadow a una scalata così impegnativa, ma anche da una serie di errori derivanti dalla parziale imperizia del pur valoroso Whymper come capo spedizione: troppo poche erano le guide che accompagnavano i “signori clienti”, poco saggio fu l’utilizzo delle corde che Whymper stesso aveva messo a disposizione, e sbagliata la scelta di intraprendere la discesa lasciando che il prezioso Croz andasse da primo. 

 Una splendida immagine del Cervino

 Tutte queste osservazioni consentono a Messner di contrapporre la figura di Whymper, che era un bravo scalatore ed era animato da un’autentica passione per il Cervino, ma era schiavo dell’ambizione e reso poco lucido dall’ansia di arrivare in cima a tutti i costi per godere del prestigio che gliene sarebbe derivato, a quella di Carrel, per il quale l’amore per la montagna, la consapevolezza della propria perizia tecnica e il desiderio di arrivare in vetta non andarono mai disgiunte dal senso di responsabilità nei confronti di chi arrampicava con lui.
 Due atteggiamenti che rispecchiano, in fondo, due fasi e due componenti dell’evoluzione dell’alpinismo nei decenni che seguirono la prima salita sul Cervino: il bisogno della pura conquista, spesso venato di retorica nazionalistica, e spinto fino ai limiti temerarietà; e la sfida del limite basata sulla sobria ricerca del controllo e sulla gestione responsabile delle proprie capacità.
 Il libro ha il pregio della chiarezza e, pur essendo riconoscibile in esso l’impronta molto netta dell’ammirevole mentalità dell’autore, è privo degli eccessi polemici in cui talvolta Messner indugia quando parla di sé.

Voto: 6,5

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