Una ricostruzione attenta, puntuale, equilibrata e non
verbosa delle vicende che portarono alla “conquista” della vetta del Cervino e
delle polemiche conseguenti la tragedia che ne scaturì, spostando per la prima
volta all’attenzione dell’opinione pubblica il dibattito sull’utilità e sulle
implicazioni etiche dell’alpinismo.
Il 14 luglio del 1865, alle 13,40, giunse sulla cima
inviolata della splendida e terribile piramide del Cervino la cordata fortunosamente
messa insieme appena due giorni prima a Zermatt dal giovane incisore inglese
Edward Whymper; ne facevano parte anche il reverendo Hudson – esperto alpinista
–, il suo amico Hadow e il nobile Lord Douglas, anch’essi inglesi, più tre
guide: Michel Croz di Chamonix, Peter Taugwalder di Zermatt e il figlio di
quest’ultimo. La Cordata di Whymper, partita dal versante svizzero, precedette
la spedizione italiana organizzata da Felice Giordano e guidata da Jean-Antoine
Carrel di Valtournenche.
Per Whymper il Cervino era ormai diventato un’ossessione: per
cinque anni aveva tentato inutilmente di salirvi, spesso partendo dal Breuil e
avvalendosi dell’aiuto di Carrel, l’uomo che conosceva la montagna meglio di
chiunque altro. Arrivare in vetta fu per lui il coronamento di un sogno.
L’euforia per il successo della squadra inglese ebbe però
brevissima durata: durante le prime fasi della discesa, Hadow scivolò, urtando
Croz che lo precedeva e trascinandolo con sé nella caduta; anche Hudson e
Douglas non resistettero allo strappo e precipitarono fatalmente per 1200 metri
fino al ghiacciaio sottostante. Whymper e le due guide vallesi si salvarono soltanto
perché Peter Taugwalder riuscì ad assicurarsi dietro una roccia, e la corda che
lo legava a Lord Douglas si spezzò.
L’incidente, secondo Messner, fu causato non solo dall’impreparazione
di Hadow a una scalata così impegnativa, ma anche da una serie di errori
derivanti dalla parziale imperizia del pur valoroso Whymper come capo spedizione:
troppo poche erano le guide che accompagnavano i “signori clienti”, poco saggio
fu l’utilizzo delle corde che Whymper stesso aveva messo a disposizione, e
sbagliata la scelta di intraprendere la discesa lasciando che il prezioso Croz
andasse da primo.
Una splendida immagine del Cervino
Tutte queste osservazioni consentono a Messner di
contrapporre la figura di Whymper, che era un bravo scalatore ed era animato da
un’autentica passione per il Cervino, ma era schiavo dell’ambizione e reso poco
lucido dall’ansia di arrivare in cima a tutti i costi per godere del prestigio
che gliene sarebbe derivato, a quella di Carrel, per il quale l’amore per la
montagna, la consapevolezza della propria perizia tecnica e il desiderio di
arrivare in vetta non andarono mai disgiunte dal senso di responsabilità nei
confronti di chi arrampicava con lui.
Due atteggiamenti che rispecchiano, in fondo, due fasi e due
componenti dell’evoluzione dell’alpinismo nei decenni che seguirono la prima
salita sul Cervino: il bisogno della pura conquista, spesso venato di retorica
nazionalistica, e spinto fino ai limiti temerarietà; e la sfida del limite
basata sulla sobria ricerca del controllo e sulla gestione responsabile delle
proprie capacità.
Il libro ha il pregio della chiarezza e, pur essendo
riconoscibile in esso l’impronta molto netta dell’ammirevole mentalità dell’autore,
è privo degli eccessi polemici in cui talvolta Messner indugia quando parla di
sé.
Voto: 6,5
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