Piemontese, classe 1935, già
direttore di Tuttosport, Gian Paolo
Ormezzano è uno dei grandi vecchi del giornalismo sportivo italiano.
Il suo ultimo libro rappresenta
un tentativo di tracciare l’evoluzione dal secondo dopoguerra in avanti della
professione che egli ha esercitato per più di 60 anni, e di mettere a fuoco i
personaggi che più le hanno dato lustro.
Il libro è interessante e a
tratti anche appassionante, e si giova di una prosa molto efficace, precisa,
fluida e piena di accenti personali (che scade solo quando Ormezzano – come talvolta
gli capita – cerca di essere brillante a tutti i costi, e gigioneggia un po’);
più perplesso mi lasciano i presupposti francamente antimodernisti da cui parte
l’autore, convinto che l’avvento della televisione prima e di internet poi
abbia completamente rovinato il giornalismo sportivo e, probabilmente, anche lo
sport stesso (che un tempo − si lascia intendere – era sublimato dal suo
racconto scritto, che più che l’appendice costituiva il compimento dell’evento
sportivo, vissuto dagli appassionati innanzitutto proprio attraverso la lettura
dei giornali).
Il criterio seguito da Ormezzano
per individuare le linee di sviluppo della stampa sportiva tiene dunque conto
di questi presupposti, ed è basato sul progressivo mutamento dell’approccio da
parte dei giornalisti alla materia da essi trattata.
Si parte così da una prima fase,
in cui i giornalisti amavano lo sport più di quanto lo conoscessero, e
tendevano a raccontarne gli eventi con slanci lirici e fantastici più che sulla
scorta di nozioni tecniche e della puntuale verifica dei dati di realtà; i
protagonisti di questa fase erano dei veri e propri cantori, e quest’epoca si
può appunto definire “epoca dell’amore”. Fra gli sport, protagonista assoluto
fu il ciclismo, assai più popolare del calcio; non a caso, se si vuole
individuare una data simbolica in cui questo periodo ha termine, si può
prendere come punto di riferimento la morte di Fausto Coppi, il 2 gennaio 1960
(evento che vide casualmente Ormezzano, allora giovane inviato, al capezzale
del Campionissimo).
La seconda fase è quella che
Ormezzano chiama “dell’erotismo”: i giornalisti continuano ad amare la propria
professione e lo sport in generale, ma quest’ultimo diviene per loro
soprattutto oggetto di studio, di attenta e a volte sottilissima analisi, di
approfondimento in senso lato “culturale”; la stampa sportiva è chiamata a
spiegare e a enfatizzare l’evento più che a provvedere a una sua mera
descrizione a beneficio del lettore, e la sua funzione finisce per essere
quella di un moltiplicatore della passione di tifosi e spettatori, che spesso
già hanno potuto assistere alla competizione sportiva trattata negli articoli
della stampa specializzata attraverso lo schermo del televisore. La data di
passaggio da questa fase alla successiva si può forse fissare in corrispondenza
della vittoria italiana ai Campionati del mondo di calcio nel 1982.
La terza e ultima fase è quella
definita “della pornografia” (senza dare necessariamente al termine pornografia
una connotazione del tutto negativa, precisa Ormezzano, quasi che i giornalisti
sportivi contemporanei fossero obbligati a ripiegare su questo approccio allo
sport; ma non riesce a essere convincente fino in fondo). Qui i giornalisti
sportivi si vedono trasformati in garanti della metamorfosi dell’evento
sportivo in puro show.
Gian Paolo Ormezzano
I retroscena e i relativi
pettegolezzi, perciò, diventano importanti quanto la performance sportiva in
sé; il gesto atletico viene visionato un’infinità di volte e praticamente “sezionato”,
scomposto fotogramma per fotogramma ed esaminato in tutti i suoi particolari a
beneficio degli spettatori; all’evento sportivo puro e semplice si sovrappone
una serie di elementi (dai tifosi che fanno da cornice alla gara e finiscono
per essere parte dello spettacolo, alle scommesse con cui l’appassionato si
illude di conquistare una parte “attiva” nella dialettica agonistica…) volti a
creare una sorta di “realtà aumentata”, che però tende in qualche modo a
snaturare e a meccanizzare la percezione di quella che una volta era definita “realtà
effettuale”.
La “fase della pornografia” dura
tuttora, e ha come numi tutelari una televisione il cui potere è cresciuto a
dismisura e la sempre più invadente presenza dei multiformi contenuti veicolati
dalla rete internet.
I punti di riferimento
cronologici che separano una fase dall’altra sono in realtà molto
approssimativi, tanto da saltare spesso quando si tratta di riferire un
protagonista a un periodo piuttosto che all’altro, all’interno della lunga
galleria di ritratti con cui Ormezzano tratteggia il ricordo dei più grandi
giornalisti sportivi dal dopoguerra in avanti. È questa, a mio parere, la parte
di gran lunga più godibile e meglio riuscita del libro.
Ad esempio, tra i “cantori” della
fase amorosa viene annoverato un giornalista contemporaneo come Gianni Mura,
mentre lo storico telecronista Rai delle gare ciclistiche Adriano De Zan viene
inserito tra i “pornografi” (mentre forse entrambi starebbero meglio tra gli “erotisti”,
per adottare il criterio di Ormezzano).
Fra i ritratti più belli bisogna
citare quello di Vittorio Pozzo (che, oltre a essere il commissario tecnico
della nazionale italiana di calcio vincitrice per due volte di fila del
Campionato del Mondo nel 1934 e nel 1938, fu a lungo uno stimato giornalista),
impreziosito da alcuni personali ricordi dell’autore; quello di Carlin
Bergoglio, torinese riservato, avarissimo, “onesto sino allo spasimo, al masochismo”,
capace di tenere testa senza timore reverenziale agli Agnelli da direttore di Tuttosport e di cantare meglio di tutti
le gesta di Coppi, nonostante tifasse per Bartali; quello di Gianni Brera, che
ha soprattutto il pregio di non essere banalmente agiografico come quasi sempre
sono i ritratti di Brera; quello di Gianni Minà, “l’italiano più conosciuto nel
mondo da quasi mezzo secolo”, “classico esempio di talento disperso,
sparpagliato” e “di simpatia espansa, a costo di sorridere anche ai fetenti”.
E ancora, quello di Sergio Zavoli,
quelli degli indimenticabili Ciotti e Ameri, quelli – per molti versi
commoventi – di Maurizio Mosca (con Aldo Biscardi il re dei “pornografi”) e di
Candido Cannavò, quello di Gianni Clerici e Rino Tommasi (trattati insieme e anch’essi
coerentemente classificati tra i “pornografi”, seppur di un tipo del tutto
diverso da quello di Biscardi e Mosca).
Vi sono anche notevoli assenze,
naturalmente; ma non potrebbe essere diversamente.
Alla fine resta da chiedersi: in
quale categoria Ormezzano porrebbe se stesso?
Al lettore il compito di provare a darsi una risposta.
Voto: 6,5