domenica 30 maggio 2021

Jonathan Franzen, "E se smettessimo di fingere?", Einaudi

 

 In questo piccolissimo libro, che riproduce il testo di un articolo pubblicato sul "New Yorker" e quello di un'intervista rilasciata da Jonathan Franzen a Wieland Freund, l'autore sostiene - in maniera non semplicemente provocatoria, ci assicura - una tesi sconvolgente per chiunque coltivi una coscienza ecologica sviluppata sulla base dei parametri faticosamente definiti negli ultimi decenni: la catastrofe climatica è qualcosa che non possiamo più evitare.
 Studi recenti stabiliscono infatti che per scongiurare quell'aumento della temperatura terrestre che da qui a trent'anni provocherà una radicale e permanente modifica della fisionomia di tutte le aree climatiche presenti oggi sul pianeta, spazzerà via interi ecosistemi e renderà più difficile la vita di miliardi di uomini e di quasi tutte le specie animali, le emissioni di anidride carbonica avrebbero dovuto essere praticamente azzerate già quarant'anni fa. 
 Ora, questo assunto cambierebbe radicalmente prospettive e strategie della battaglia di tutti coloro che hanno a cuore l'ambientalismo e predicano uno stile di vita più "verde", e il giudizio sui target di tutta quella parte virtuosa della politica che cerca di farsi carico dei problemi ecologici. Gli obiettivi di una riduzione parziale delle emissioni fissati attraverso travagliatissimi accordi internazionali non da tutti sottoscritti e continuamente corretti - passando per nobili dichiarazioni d'intenti, pressioni dei lobbisti, strenua difesa di interessi economici di parte, piccoli progressi, temporanee resipiscenze, trionfalistiche rivendicazioni del successo ottenuto per ogni minuscola concessione strappata ai Paesi che più inquinano -, secondo Franzen, non servono a nulla se non a far perdere tempo.
 Agire oggi, anche in maniera molto drastica (cosa peraltro realisticamente impossibile, viste le molte resistenze dei tanti gruppi di interesse coinvolti, capaci di rallentare se non di bloccare la più timida iniziativa concretamente volta alla salvaguardia dell'ambiente), non consentirebbe di arrestare un cambiamento già in atto, e forse neppure di ritardarlo: entro pochissimi decenni - dunque durante l'esistenza della maggior partre degli uomini che sono già adulti oggi - gran parte dei ghiacci presenti ai poli e sulle catene montuose al di sopra dei 3000 metri sul livello del mare si scioglierà; vaste aree della terra si desertificheranno; il livello degli Oceani si alzerà, e alcune città costiere saranno sommerse; i cicloni e le tempeste di tipo tropicale diventeranno più frequenti e più violenti anche nelle zone fino ad oggi considerate temperate; nelle aree agricole, la coltivazione di molti prodotti diventerà più difficile, e si verificheranno più spesso tragiche carestie con ripercussioni a livello globale; imponenti migrazioni di milioni di uomini, dovute alla progressiva inabitabilità di zone ad antico insediamento umano, saranno presto eventi abituali.
 
Jonathan Franzen
 
 Che fare, dunque? Per Franzen, cominciare a dirci con franchezza queste cose, smettere di raccontarci bugie sulla possibilità di evitare il disastro, oltre ad essere l'atteggiamento più onesto dal punto di vista filosofico, è un passo indispensabile per prepararci ad affrontare meglio la situazione non facile (per usare un eufemismo) che si verrà a creare.
 Prepararci ad affrontare la nuova situazione vuol dire innanzitutto accantonare la speranza che il nostro futuro potrà essere roseo, sradicare la convinzione che il domani sarà indefettibilmente meglio dell'oggi. Niente di tutto ciò; piuttosto, bisogna mettersi in testa che è necessario giocare in difesa ed essere solidali, se non vogliamo precipitare nell'apocalisse.
 Da una parte, occorrerà prendere provvedimenti razionali per minimizzare gli effetti dei cambiamenti climatici sui processi naturali (e quindi fare investimenti pubblici per costruire infrastrutture capaci di ridurre il rischio idrogeologico nelle regioni del pianeta più esposte a disastri ambientali, prevedere il trasferimento della popolazione delle città costiere la cui situazione appare più precaria, studiare sementi più produttive e più resistenti ai mutamenti termici e ai capricci atmosferici, e modi di coltivazione che mettano i raccolti il più possibile al riparo dalle asprezze del clima, ecc.). 
 Dall'altra, per scongiurare le conseguenze indirette di tali cambiamenti sulle comunità umane ed evitare sanguinosissimi conflitti su vasta scala, dovremo abituarci a "stringerci" nello spazio vitale residuo e a condividere le risorse: l'ondata dei migranti climatici in marcia dai Paesi più poveri a quelli più ricchi, messi in moto dall'incapacità di questi ultimi di agire per tempo per scongiurare gli effetti più drastici del cambiamento in atto, costituirà una marea non più arginabile; se vogliamo mantenere la nostra umanità e continuare a fondare il nostro stile di vita sul rispetto della libertà e dei diritti fondamentali dell'individuo, dovremo quindi necessariamente ridurre le nostre pretese in funzione di una più equa distribuzione dei beni fondamentali disponibili. 
 Un sfida - come è facile capire,vista la mentalità oggi dominante - tale da far tremare le vene e i polsi.
 Quale credito dare all'opinione, pure suffragata da numerosi studi e da proiezioni scientifiche dei mutamenti in atto sul prossimo futuro, sostenuta da uno dei più autorevoli scrittori americani contemporanei? Difficile dirlo.
 Io non so se Franzen abbia ragione, perchè non possiedo gli elementi necessari per stabilire quanto siano fondate le ricerche che vorrebbero il processo degenerativo innescato dall'anidride carbonica dispersa dall'uomo nell'atmosfera irreversibile nel medio periodo. Sospetto però - vista l'evidenza degli effetti del cambiamento climatico in corso e la resistenza di gran parte dei politici e dei detentori del potere economico ai provvedimenti necessari per cambiare rotta - che gli scenari da lui prospettati possano non essere così peregrini.
 Diciamo che un atteggiamento improntato saggiamente alla massima prudenza vorrebbe che si operasse quantomeno su due livelli: da una parte, continuare a fare pressione per costruire una consapevole coscienza ecologica nelle popolazioni e per limitare e poi eliminare (a poco a poco, se i nostri assetti economici non permettono di fare altrimenti) le emissioni di anidride carbonica nell'atmosfera. Se c'è anche solo una possibilità di scongiurare o ritardare per questa via la catastrofe climatica, essa va colta.
 D'altra parte, bisogna cominciare ragionare sui provvedimenti necessari per limitare i danni qualora la catastrofe sia davvero ormai inevitabile: in presenza di una coscienza ecologica più diffusa e più strutturata, anche i sacrifici necessari per perseguire questa seconda via risulterebbero meno indigesti.
 L'importante è rendersi conto che in questo caso è in gioco moltissimo, forse tutto: dire semplicemente "chi vivrà vedrà" non basta più. 
 
In poche parole: uno dei più autorevoli scrittori americani contemporanei sostiene in questo piccolo libro una tesi sconvolgente ma non troppo peregrina: la catastrofe climatica che da decenni si paventa è oggi, di fatto, inevitabile. Anziché continuare ad accapigliarsi su provvedimenti che, lungi dal poterla scongiurare, non sarebbero in grado neppure di ritardarla in maniera significativa, la politica dovrebbe cominciare a pensare a come limitare i danni di mutamenti che sono già in atto e che - se non affrontati con consapevolezza ed efficacia - potrebbero avere effetti apocalittici. Franzen avrà ragione o no?
 
Voto: 7 

domenica 23 maggio 2021

Giulio Mozzi, "Le ripetizioni", Marsilio

 

 In questo sosfisticato romanzo, l'esperienza della realtà non si può ricondurre alle consuete dimensioni e alle regolari geometrie sulle quali è parametrata la struttura della nostra personalità come di solito ce la figuriamo: gli eventi non si concatenano l'uno all'altro secondo una lineare sequenza logica e cronologica, e l'essere umano fatica a rispecchiarsi in maniera univoca e affidabile nella propria condotta e nel suo modo di relazionarsi con i propri simili.
 L'idea stessa dell'esistenza di caratteri ben determinati e di norme di comportamento che ne sono la chiara esplicitazione va in frantumi: se la vita non è una successione di fasi conseguenti e non prevede una logica progressione, il suo racconto non può che tradursi nell'occasionale rivisitazione di una serie di sparsi frammenti di memoria il cui ordine di presentazione riveste un'importanza secondaria, e il cui peso nel definire l'aggregato di quella che chiamiamo, forse impropiamente, la nostra individualità è difficilmente stimabile a priori.
 Diverse sono le storie che si alternano, si intrecciano e si combinano nel corso della narrazione. Tutte queste storie hanno, almeno in apparenza, due fulcri in comune: il primo è Mario, che potremmo definire il protagonista del libro e, forse, l'alter ego dell'autore; il secondo è una data, il 17 giugno, giorno del compleanno di Mario e ricorrenza significativa negli eventi che il libro riporta.
 Mario è un insegnante e uno scrittore, vive a Padova - pur essendo nato a Camisano Vicentino - anche se in passato motivi di lavoro e questioni personali lo hanno spesso portato a Roma. Mario è l'elemento unificante fra i vari personaggi di cui la narrazione è costellata, e il discorso che lo riguarda dovrebbe tenere insieme le vicende eccentriche di cui via via si parla. In realtà non è così, perché la personalità di Mario è in qualche modo "esplosa": egli vive più di una vita contemporaneamente e il suo percorso esistenziale pare tutt'altro che lineare e coerente; fantasie, sogni e verità sono spesso indistinguibili negli episodi che lo vedono coinvolto, e l'incerta collocazione cronologica dei suoi ricordi indebolisce sensibilmente il loro statuto di realtà agli occhi del lettore (talvolta il passato fa premio sul presente - come quando sua madre ricorda l'esatta collocazione delle stanze nella casa dove viveva, e che sorgeva dove ora si stende il parcheggio di un supermercato. Altre volte la narrazione di un evento remoto nel tempo perde consistenza e credibilità alla luce di quello che è avvenuto in seguito e che noi già sappiamo - come quando il sinistro Santiago minaccia la piccola Agnese, che noi abbiamo già avuto modo di incontrare all'età di vent'anni). 
 Succede così che, invece di strutturarsi in maniera magari articolata ma coerente intorno alla figura di Mario, i diversi racconti proposti - ciascuno frammentato in diverse unità presentate senza seguire un ordine cronologico - precipitino nella coscienza del protagonista per riemergevi sotto forma di relitti di ricordi appannati e distorti. 
 
Giulio Mozzi
 
 C'è Lucia, il primo amore di Mario, conosciuta alla fine dell'ultimo anno di liceo, intensamente e pressoché platonicamente amata, morta improvvisamente nel pieno di un'estate, investita da un'auto sul ciglio di una strada; trasfiguratasi poi, nella sopravvivenza della memoria, nella sensazione dell'umido e sensuale contatto delle sue labbra con quelle del protagonista.
 C'è Bianca, una donna affetta da schizofrenia che è stata l'amante di Mario e che forse ha avuto una figlia da lui, Agnese. Il problema è che, da quando è rimasta incinta, Bianca si è allontanata dal protagonista, rifiutandosi categoricamente di incontrarlo, di fargli vedere Agnese o di rivelargli alcunché sulla sua vita quotidiana; salvo ripresentarsi e bussare alla sua porta tutte le volte che ha bisogno di soldi o ha un problema da risolvere. A un certo punto poi, per via del disagio mentale dal quale è affetta, Bianca viene privata della responsabilità genitoriale su Agnese, che viene affidata a un'altra famiglia e così "scompare".
 La ragazza ricompare poi a Mario casualmente anni dopo, quando ormai è una giovane adulta e, senza riconoscerlo, si siede con un'amica di fronte a lui su un treno. Il protagonista viene a sapere in tale circostanza che quella che suppone essere sua figlia ha posato nuda per un fotografo, che poi ha esposto la sua opera in una mostra d'arte erotica allestita da Vittorio Sgarbi. Mario la visiterà, credendo di riconoscere il corpo di Agnese da un neo sopra l'ombelico, nella stessa posizione in cui lo aveva anche sua madre Bianca.
 C'è Viola, che diventerà la moglie di Mario, con il quale conduce un'esistenza tranquilla e abitudinaria, ma che segretamente si concede per soldi ad altri uomini (anche se poi non utilizza il denaro con il quale si fa pagare le proprie prestazioni sessuali, raccogliendolo in una borsa di tela) e che incontra un'amante dal quale gode a farsi schiavizzare.
 C'è Santiago, un giovane aspro e prepotente con il quale Mario intrattiene un misterioso legame omoerotico, e che asseconda nelle proprie sconvolgenti perversioni, come quella di seviziare e di uccidere nella vasca da bagno dei cani di piccola taglia (in una delle ultime scene del romanzo, con sommo orrore, il posto del cane verrà preso da una anonima bambina, in quello che forse - vista la sua totale decontestualizzazione - è solo un incubo agghiacciante del protagonista).
 C'è il Gas, un pittore misconosciuto ma estremamente interessante, che Mario comincia a frequentare e del quale diventa a poco a poco il migliore amico, condividendo con lui il processo di genesi creativa delle sue opere.
 C'è il Terrorista Internazionale, un uomo coinvolto in alcune delle trame più oscure che hanno caratterizzato gli anni di piombo - l'epoca degli attentati senza mandanti palesi e della "strategia della tensione" -, che, nonostante l'aura sinistra che lo circonda, appare banalmente come una persona anziana che accompagna tutti i giorni il proprio cagnolino a fare pipì.
 C'è il Maestro, l'uomo che ha denunciato il Terrorista Internazionale - pagandone per anni le conseguenze - e con il quale il giovane Mario ha avuto a che fare quando lavorava nell'ufficio stampa di una potente organizzazione sindacale che il Maestro era stato chiamato a dirigere.
 Ci sono i genitori di Mario, inevitabilmente invecchiati, costantemente timorosi di perdere la propria autonomia, la memoria e la consapevolezza di sé.
 Ci sono le fototessere, residui di una vecchia istallazione dell'artista Franco Vaccari alla biennale di Venezia del 1972, in cui a un giovanissimo Mario era stato chiesto di lasciare traccia di sé con una piccola striscia di ritratti fotografici; ritratti fotografici che, però, nel tempo presente, sembrano al protagonista tutt'altro che una testimonianza fedele del se stesso di una volta.
 E poi ci sono fatti che potrebbero essere riferiti a più personaggi o a nessuno, come quello della lettera che viene recapitata a una donna adulta dal padre, che non vede più da anni ma che da ragazzina aveva l'abitudine di violentarla; senza che che questo la induca a concepire per lui odio o disprezzo. Chi è questa donna? Bianca, Viola o, addirittura, Agnese? Oppure la figlia del Terrorista Internazionale, che fa una fugace comparsa nella narrazione lasciando al pittore Gas - che vorrebbe trasformarla nella propria modella - le sue poesie da leggere?
 Alla fine, il libro si fa leggere, ed aappare anche curioso e piacevole. Rimane la sensazione che la realtà umana sia qualcosa di inafferrabile, tenuta insieme dal tenue involucro delle parole; parole che arrivano a costituire una sorta di epidermide del mondo, una morbida membrana che ci permette di entrare in contatto con esso, che lo rende conoscibile e percepibile da parte nostra; magari solo in quella maniera vagamente emotiva e ultra-razionale che è il solo modo effettivo con cui possiamo rapportarci ad esso.
 
In poche parole: con Le ripetizioni Giulio Mozzi descrive un mondo in cui l'esperienza della realtà è priva di qualsiasi consequenzialità di tipo logico-cronologico, e in cui la personalità stessa del protagonista subisce una destrutturazione sulla base dell'irriducibile varietà dei suoi modi di essere e di una assoluta mancanza di linearità nei suoi ricordi. 
Così, di fronte alla costitutiva inafferrabilità dell'esistenza, soltanto le parole - autentica epidermide del mondo - possono permetterci di tenere insieme la nostra individualità e di entrare in contatto (magari solo emotivamente) con ciò che è percepibile e conoscibile da parte nostra.

Voto: 6,5

domenica 9 maggio 2021

Marguerite Yourcenar, "L'opera al nero", Feltrinelli


 Di Marguerite Yourcenar, in Italia, ultimamente, si legge e si fa leggere quasi esclusivamente Memorie di Adriano, il romanzo che, nella ricostruzione della biografia del grande imperatore, celebra il punto di maggiore splendore toccato dalla Romanità, il modello umano in cui si incarnava la mentalità che essa esprimeva, e il suo portato filosofico, compendio della visione del mondo propria dell'età classica prima della diffusione e del trionfo del cristianesimo.
 C'è però un altro testo della scrittrice francese che merita di essere ricordato e letto; è anch'esso un romanzo storico-filosofico e si intitola L'opera al nero.  
 L'opera al nero è ambientato nell'Europa nel Cinquecento, nell'epoca in cui il Rinascimento si estingue nell'irrigidimento dottrinario che Riforma protestante e Controriforma portano con sé, e nei prodromi nelle guerre di religione. Protagonista della storia raccontata è Zenone, figlio illegittimo di un giovane e affascinante prelato italiano, Alberico de' Numi, e di Hilzonde, sorella sedicenne di un ricco mercante, banchiere e imprenditore tessile fiammingo. Nato a Bruges nel 1509, Zenone - come sovente capitava allora ai figli illegittimi cresciuti in famiglie abbienti - viene destinato dallo zio Enrico-Giusto Ligre alla carriera ecclesiastica, e per questo riceve una vasta istruzione letteraria, filosofica e teologica sotto la guida del dotto canonico Bartolomeo Campanus. 
 Il temperamento curioso e trasgressivo di Zenone, tuttavia, non può accontentarsi di una cultura tutta e solo libresca: la sua ricerca del sapere non disdegna un'indagine "dal vero" dell'anatomia umana - perseguita grazie al legame col barbiere-chirurgo Jean Myers -, e l'esperienza dei principi della fisica e della meccanica, esplorati  in collaborazione con l'amico Colas Gheel, un tessitore rozzo ma abile che lo aiuta a costruire dei telai meccanici capaci di svolgere da soli il lavoro di più operai.
 A vent'anni, Zenone decide di lasciare la casa dove è nato e di mettersi in viaggio: in qualità di medico, alchimista e protoscienziato vivrà per più di trent'anni nelle corti di mezza Europa e del mondo arabo, al servizio di Signori e sovrani fra i più illustri dell'epoca, maturando a poco a poco assunti filosofoci che, pubblicati, lo esporranno all'accusa di eresia; tanto che, al suo ritorno a Bruges più che cinquantenne, sarà costretto a nascondersi sotto la falsa identità di Sebastiano Theus.
 A Bruges, dopo la tragica morte del vecchio barbiere-chirurgo, presso l'abitazione del quale si è sistemato, Sebastiano Theus trova posto come medico interno presso il convento dei Cordiglieri, con il Priore dei quali (uomo colto e sensibile, capace di elevarsi al di sopra dei pregiudizi del suo tempo) ha stretto una profonda amicizia. 
 Qui, nel 1569, a tradirlo involontariamente è il suo giovane collaboratore frate Cipriano che, coinvolto insieme ad altri novizi in una boccaccesca storia di convegni carnali con una fanciulla di nobili origini - durante i quali la ricerca del piacere sessuale si confonde con giochi e fantasie che si prestano a riecheggiare riti pagani e vecchie utopie teologicamente eterodosse -, costretto sotto tortura a indicare i suoi complici, fa il nome del suo medico. 
 A quel punto Zenone, posto di fronte al dilemma se essere giustiziato come peccatore carnale o essere processato come eretico, sceglie la seconda via e rivela la sua identità. Il processo gli consentirà di esporre le sue teorie difendendole in punta di logica; cosa che non gli risparmierà, nonostante i buoni uffici del suo vecchio maestro, il canonico Campanus, e del vescovo medesimo, la condanna al rogo. Prendendo in mano la propria sorte, Zenone si darà allora la morte da sé, aprendosi le vene come un antico filosofo. 
 
Una giovanissima Marguerite Yourcenar
 
 A dispetto delle accuse di "anacronismo" che vennero formulate all'uscita del libro a proposito delle idee attribuite ad alcuni dei personaggi, L'opera al nero riesce ad analizzare con notevole finezza quella sospensione tra pensiero magico, misticismo, fanatismo religioso, utopismo, materialismo e approccio scientifico alla conoscenza che è una condizione archetipica della mente umana e uno degli eterni dilemmi della psicologia di ogni uomo; e, contemporaneamente, fu una caratteristica della turbolenta evoluzione della mentalità nel periodo storico preso in esame.
 Nello stesso tempo, la Yourcenar mette in relazione con assoluta naturalezza religione, ideali filosofici, dinamiche del potere e lotta di classe come forse nel 1968 - anno di pubblicazione del romanzo - sembrava scontato, mentre oggi purtroppo non lo è.
 Interessante il titolo, che fa riferimento alla prima fase del processo alchemico, quella legata al colore nero, che si compie con la dissociazione degli elementi e la purificazione della materia; nella storia esemplare di Zenone è come se questo passaggio si realizzasse a nome di tutta l'umanità (in un duplice senso: perché Zenone attraversa le false convinzioni della sua epoca per avviarsi a un diverso metodo di ricerca della verità, e perché Zenone alla fine sacrifica la sua stessa vita per creare i presupposti, autodistruggendosi, di un più puro modo di esistere).
 Vi sono pagine davvero meravigliose  nel romanzo, capitoli che da soli valgono l'opera intera di molti scrittori: mi piace qui citare quelle in cui si descrive la nascita e l'evoluzione dell'amore tra Hilzonde - abbandonata da Alberico de' Numi, richiamato a Roma presso la curia pontificia, e poi rimasta "vedova" - e il vecchio e mite Simone Adriansen, folgorato dagli ideali comunitari e pauperisti degli Anabattisti; quelle in cui si parla dell'avventura grandiosa e allucinante degli Anabattisti al potere a Munster, e della sua terribile conclusione nel 1535, quando la città fu assediata, presa e saccheggiata dalle truppe cattoliche e da quelle luterane, coalizzate contro quella forma di radicale comunismo evangelico predicata dai "fratelli in Cristo", che minacciava l'autorità di principi e cardinali; quelle della morte di Benedetta Fugger, maldestramente assistita dalla sua pavida cugina Marta Adriansen durante la peste di Colonia; quelle della "passeggiata" di Zenone da Bruges fino al mare del Nord, con il proposito, poi accantonato, di imbarcarsi per l'Inghilterra; e poi quelle finali, del processo e della morte di Zenone, cariche di pietà e di orrore, di forza e di bellezza.
 Resta alla fine l'impressione di un testo che, per quante volte lo si rilegga, è sempre in grado di dire qualcosa di nuovo e di riservare sorprese.
 
In poche parole: sebbene di Marguerite Yourcenar, in Italia, si legga e si citi ormai quasi solo le Memorie di Adriano, esiste almeno un altro testo della scrittrice francese che non smette di brillare e che, per quante volte lo si rilegga, è sempre in grado di dire qualcosa di nuovo: L'opera al nero
Anch'esso è un romanzo storico-filosofico, ambientato però nelle Fiandre del Cinquecento, l'epoca in cui lo slancio del Rinascimento si estingue nell'irrigidimento dottrinario che la Riforma protestante e la Controriforma portano con sé, e nei prodromi delle guerre di religione. Protagonista della vicenda raccontata è Zenone, medico, teologo, alchimista, protoscienziato, che attraversa il secolo e l'Europa di allora alla ricerca di una conoscenza che - come avviene nella prima fase del processo alchemico - forse può avere origine solo dall'olocausto dei fondamenti filosofici di ogni idea pregressa sull'uomo, su Dio e sul mondo la civiltà cristiana pretenda di consegnare alla modernità.
 
Voto: 8 

domenica 2 maggio 2021

Alice Urciuolo, "Adorazione", 66th a2nd

 
 Ad una considerazione un poco superficiale, viziata da pregiudizi contenutistici, il libro potrebbe sembrare banale e persino frivolo: il racconto delle turbolenze emotive di un gruppo di ragazzi e - soprattutto - di ragazze di una cittadina di provincia abbastanza caratterizzata, poco lontana da Roma, alle prese con gli azzardi, gli smarrimenti, le ansie, le incertezze identitarie dell'adolescenza all'ombra di un grande dolore che, appena un anno prima, ha colpito la comunità di cui fanno parte.
 In realtà, l'incursione nella facinorosa avventura della formazione emotiva dei protagonisti diventa uno strumento per avviare una riflessione sulla mentalità dominante nel nostro Paese e sui suoi aspetti critici, di cui gli adulti sono i custodi e i responsabili, e di cui i contraddittori comportamenti dei giovani finiscono per essere (magari anche nei loro aspetti contrastivi) lo specchio fedele. 
 Il romanzo è ambientato a Pontinia, comune in provincia di Latina nel mezzo delle distese dei campi bonificati dal fascismo (di cui nella zona si contano non pochi nostalgici), attraversati da un reticolo ortogonale formato dalle principali vie di comunicazione parallele alla costa e dalle migliare che tagliano verso l'interno. 
 L'anno scolastico è appena finito e sta per cominciare l'estate; la prima estate senza Elena, uccisa nell'agosto precedente, a soli diciassette anni, dal fidanzato Enrico, malato di gelosia e afflitto da un patologico bisogno di controllo su di lei. Per tutti i giovani della cittadina che conoscevano la ragazza, i lunghissimi mesi estivi e l'avvicinarsi del tragico anniversario della morte di Elena diventano un tempo di vuoto angoscioso su cui incombe la necessità di fare i conti con tutte le questioni che l'attonito, frastornato e ostinato silenzio degli adulti dopo il delitto ha lasciato in sospeso: lo spettro della precarietà che si stende come un'ala grigia sulla vita di ciascuno; il bisogno di non restare prigionieri delle proprie paure; l'obbligo di gestire i propri legami sentimentali con senso di responsabilità e consapevolezza, cercando di ignorare i pregiudizi della gente intorno; soprattutto, l'urgenza di capire come svincolare una volta per tutte la prepotenza delle emozioni che travolgono e obnubilano la mente dagli accessi di aggressività e di violenza istintiva che la pesante ipoteca di atavici preconcetti socialmente radicati sui ruoli di genere - e sull'interpretazione di valori quali la fedeltà, la lealtà e la correttezza in ambito sentimentale - sembrano, se non incoraggiare, certo giustificare. 
 Per ognuno dei protagonisti questi problemi assumono un aspetto diverso a seconda del punto in cui essi sono colti nel corso del loro percorso di crescita. C'è ad esempio Vanessa, che era la migliore amica di Elena, ha diciotto anni ed è la più bella ragazza di Pontinia. Fidanzata fin da quando era poco più di una bambina con Gianmarco Crociara, uno studente universitario figlio del più grande e ricco costruttore della zona, è considerata da tutti già destinata a un fastoso matrimonio. In realtà Gianmarco, che pure la venera, non è mai riuscito a capirla fino in fondo, non è in grado né di ascoltarla davvero né di soddisfarla a letto, e le dà spesso l'impressione di trattarla come un oggetto prezioso e delicato ma privo di volontà propria. 
 
Alice Urciuolo
 
 Ci sono Giorgio e Vera, cugini di Vanessa, che sentono terribilmente la mancanza di un padre, dato che il loro si è separato dalla moglie Enza per trasferirsi al nord con la sua nuova compagna. Giorgio è coetaneo di Vanessa e suo confidente privilegiato, era segretamente innamorato di Elena e, dopo la sua morte, ha sviluppato un atteggiamento iperprotettivo nei confronti della sorella. Vera, che ha sedici anni, dal canto suo passa per essere una ragazza forte ed estroversa, non sente certo il bisogno della tutela del fratello e crede di sapere sempre quello che vuole.
 Al contrario la sua amica del cuore, Diana, anch'essa sedicenne, nonostante sia una studentessa molto brillante (e coltivi con grande determinazione il sogno di diventare un giorno un medico, tanto da essersi già comprata un manuale di anatomia umana con i soldi messi da parte a poco a poco sulle mancette dei suoi genitori), soffre di un vero e proprio complesso di inferiorità rispetto a Vera; complesso di inferiorità che nasce dall'insicurezza dovuta a una grande voglia color fragola che le copre la parte alta di una coscia e una porzione di una natica, e fa sì che non si faccia mai vedere in costume dai propri coetanei, nemmeno al mare. L'insicurezza le impedisce anche di dichiararsi a Giorgio, di cui è da tempo disperatamente innamorata.
 Come succede agli adolescenti, i pochi mesi che separano il termine delle lezioni dall'anniversario dell'assassinio di Elena bastano a cambiare tutto: Vanessa, alla ricerca della propria indipendenza e - ancor di più - della propria identità, rifiuta di partire con Gianmarco per una costosa vacanza che lui le avrebbe offerto coi soldi di papà per mettersi a lavorare come cameriera a Sabaudia, nel ristorante sulla spiaggia di Massimo e Diletta, i genitori di Diana; qui conoscerà per caso Arianna, una ragazza di Firenze, con cui intreccerà una relazione capace di farla sentire finalmente e pienamente se stessa, e chiuderà quindi la sua storia con Gianmarco (con grande delusione di sua madre e una reazione decisamente cafonesca da parte della famiglia di lui).
 Vera, senza neppure accorgersene, diventerà preda di una travolgente passione per Christian, un amico di suo fratello, già fidanzato con Teresa, che del resto non ha nessuna intenzione di lasciare nonostante la sua tendenza a tradirla continuamente. L'appagamento fisico ed emotivo che il giovane le regala impedirà a Vera di vedere le cose come stanno, le toglierà tutti i suoi saldi punti di riferimento, la farà litigare con Diana e la condurrà a imprudenze capaci di renderla ridicola agli occhi degli amici e di scatenare infine la violenta reazione di Giorgio che, per difendere la sorella, aggredirà fisicamente Christian mostrandosi assai più fragile di quanto gli altri lo giudichino proprio per via del suo nervosismo e della sua mancanza di autocontrollo.
 Diana, dal canto suo, supererà tutti i complessi derivanti dalla voglia di cui si è sempre vergognata grazie a un film, Belle de jour, che un ragazzo più grande di lei conosciuto su Instagram le suggerisce di guardare. Da quel momento diventerà una vera e propria "mangiatrice di uomini", senza alcun riguardo per il buon senso e la prudenza; si concederà così nel giro di poche settimane - in un crescente, parossistico bisogno di ricevere conferme del proprio fascino e della propria ritrovata sicurezza - a Jacopo, a Marco, a Giorgio (con il quale non troverà però quel feeling a lungo agognato) e, infine, persino a un medico ultraquarantenne passato da Sabaudia senza moglie e figli per sistemare la casa per le vacanze. La sua incontenibile vitalità e la sua assoluta concentrazione su se stessa esaspereranno i suoi rapporti già tesi con Vera; con la quale ritroverà però la sintonia perduta quando l'una si renderà conto che Christian non è intenzionato a lasciare Teresa per lei, e l'altra si ritroverà costretta a fare un test di gravidanza per via di un consistente ritardo nel ciclo metruale, col terrore di essere incinta e di non essere neppure in grado di appurare l'identità del padre del bambino. Solo quando il rischio di una gravidanza indersiderata a sedici anni risulterà scongiurato, le due ragazze potranno cercare di riflettere più serenamente su quello che gli ultimi mesi di vita hanno insegnato loro; peraltro, senza la garanzia di evitare nuovi errori.
 Il romanzo si regge su una scrittura non troppo raffinata ma semplice e molto scorrevole, e si legge tutto d'un fiato. L'adozione del punto di vista interno (che, a rotazione, permette al lettore di entrare nella coscienza di quasi tutti i personaggi principali) consente di porre in evidenza problemi che spesso le cronache portano in primo piano nell'Italia di oggi, e che riguardano la violenza di genere, la conquista da parte delle donne di una nuova consapevolezza di sé, la fluidità sentimentale e sessuale di parecchi giovani, le profonde trasformazioni dell'istitutzione familiare, il rapporto tra i social network e la strutturazione dell'identità personale durante l'adolescenza, la crisi della mascolinità tradizionale.
 I maschi sono senz'altro coloro che escono peggio dalla vicenda raccontata: Christian è un traditore seriale della propria fidanzata, con la quale è incapace della benché minima sincerità, sebbene l'inquietudine in lui indotta dalla depressione della madre lo possa parzialmente scusare; Gianmarco è schiavo della propria ingombrante famiglia, la non arginata invadenza della quale contribuisce a fargli perdere Vanessa, cui pure vuole molto bene; Giorgio, in confusione totale, riesce a far disamorare di sé Diana, a perdere la confidenza della cugina Vanessa, ad allontanare l'ex fidanzata Melissa - nei confronti della quale sfiora la violenza carnale - e a compromettere la stima nutrita per lui dalla sorella Vera, che cerca maldestramente di difendere interferendo con la sua vita sentimentale e ricorrendo intollerabilmente ai pugni contro l'amico Christian, reo di farla soffrire; Claudio, stimato medico ultraquarantenne, cede per pura libidine alle lusinghe improvvise della sedicenne Diana, senza alcun riguardo per la propria famiglia e per la propria storia. 
 Il prevalente punto di vista femminile porta la voce narrante a essere invece un poco più indulgente con le ragazze che, se non altro, risultano tutte - se non più lucide - almeno più limpide nelle loro drastiche scelte, nei loro colpi di testa e perfino nei loro spropositi.
 
In poche parole: ad una considerazione un poco superficiale, viziata da pregiudizi contenutistici, Adorazione potrebbe sembrare un libro banale e persino frivolo: il racconto delle turbolenze emotive di un gruppo di ragazzi e - soprattutto - di ragazze di una cittadina di provincia poco lontana da Roma, alle prese con gli azzardi, gli smarrimenti, le ansie, le incertezze identitarie dell'adolescenza all'ombra di un "grande dolore" che, appena un anno prima, ha colpito la comunità di cui fanno parte.
 In realtà, l'incursione nella facinorosa avventura della formazione emotiva dei protagonisti diventa uno strumento per avviare una riflessione sulla mentalità dominante nel nostro Paese e sui suoi aspetti critici, di cui gli adulti sono i custodi e i responsabili, e di cui i contraddittori comportamenti dei giovani finiscono per essere (magari anche nei loro aspetti contrastivi) lo specchio fedele e, insieme, un'occasione di spietata denuncia. Così il romanzo, con la sua scrittura semplice e scorrevole, riesce a mettere in perfetta evidenza questioni che spesso le cronache portano in primo piano nell'Italia di oggi e che costituiscono nodi cruciali del dibattito pubblico: dalla violenza di genere alla conquista da parte delle donne di una nuova consapevolezza di sé, dalla fluidità sentimentale e sessuale di tanti giovani alla profonda trasformazione dell'istituzione familiare, dal rapporto tra i social network e la strutturazione dell'identità personale durante l'adolescenza alla crisi della mascolinità tradizionale.

Voto: 6,5